Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12267 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 12267 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/05/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 21454/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME E COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME con procura speciale in atti.
-RICORRENTI- contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende con procura speciale in atti.
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CONTRORICORRENTE- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MESSINA n. 6/2019, depositata il 07/01/2019.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 20/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso, chiedendo l’ accoglimento del ricorso.
Udito l’avv. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 6/2019, la Corte di appello di Messina ha dichiarato NOME COGNOME erede ab intestato di NOME COGNOME deceduto in data 22.9.2000, e ha disposto la riduzione delle donazioni ricevute dai convenuti NOME e NOME COGNOME condannandoli, anche quali eredi di NOME COGNOME moglie del de cuius, al pagamento di €. 67.611,40 , oltre rivalutazione ed interessi.
Nell’asse ereditario di NOME COGNOME erano compresi immobili e denaro; la COGNOME aveva sostenuto in appello, a confutazione della sentenza di primo grado, di aver inteso ottenere la quota ab intestato e non la legittima, lamentando che il Tribunale avesse sottostimato le abitazioni e le botteghe, non avesse incluso nell’asse il valore di due macellerie gestite dai fratelli, avesse erroneamente calcolato interessi e la rivalutazione ed avesse mal interpretato la domanda, negando che l’attrice avesse chiesto la divisione.
La Corte di merito, preso atto dell’assenza di disposizioni testamentarie, ha ritenuto che l’attrice avesse chiesto anche la divisione dell’asse; ha respinto l ‘istanza di sospensione del giudizio per la pendenza di altra causa in cui era in discussione la concessione in comodato di un immobile caduto in successione, donato alla figlia NOME reputando che l’esito di quel giudizio non influisse sulla successione; ha ritenuto infondate le critiche alla stima effettuata dal consulente ma ha incluso nell’asse anche il valore di una azienda, ritenendo indimostrato che il de cuius l ‘avesse venduta con una delle due scritture private prodotte in giudizio, tempestivamente disconosciute.
Quindi, stabilito il valore del patrimonio ereditario in €.1161.083,83 , pari alla somma tra il relictum ( €. 386.956,12 ) e il donatum ( €. 774.127,75 ), ha quantificato in €. 258.016,638 il valore della quota spettante all’attrice (pari ai due noni dell’intero) ,
da cui ha detratto il valore delle donazioni ricevute da quest’ultima (€. 122.975,84), per un importo finale di €. 135.222,798, che ha posto a carico dei due fratelli e della madre secondo le rispettive quote, con interessi compensativi dalla domanda sulle somme rivalutate anno per anno fino alla data della pronuncia e con ulteriori interessi legali dalla sentenza al soddisfo, regolando le spese processuali.
Per la cassazione della sentenza NOME ed NOME COGNOME hanno proposto ricorso in 7 motivi. NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il Procuratore Generale ha fatto pervenire conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli articoli 542,565, 713 c.c., 345 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per aver la Corte d’appello ritenuto che l’attrice avesse proposto una domanda di divisione, introdotta tardivamente solo in appello.
Il motivo è infondato.
L ‘interpretazione della domanda avanzata in ricorso si concentra su singole espressioni della citazione, senza valorizzare il significato complessivo e il risultato pratico perseguito dalla parte, essendo imprescindibile non la sola formulazione letterale ma il suo contenuto sostanziale, con riguardo alle finalità che la parte intendeva perseguire, oltre che in relazione ai presupposti logici, alle pretese in fatto e alle ragioni in diritto esposte in citazione (Cass. 3611/1980; Cass. 5897/1998; Cass. 5708/1981).
La domanda non era finalizzata alla sola quantificazione della quota spettante ab intestato; era invece esplicita la richiesta di ottenere il controvalore in denaro quale modalità di divisione e la restituzione dei beni che competevano all’attrice sull’eredità paterna in qualità di erede legittima, avendo anche chiesto di essere riammessa alla gestione delle aziende.
La domanda di divisione era stata espressamente formulata, come correttamente ritenuto dal giudice di appello.
Il secondo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo e la violazione degli articoli 737, 2697, 556, 2556 c.c., 115 e 116 c.p.c..
La Corte di merito sarebbe incorsa nell’errore di ritenere che i ricorrenti fossero i diretti beneficiari di una donazione delle aziende gestite dalla RAGIONE_SOCIALE, donazione rimasta indimostrata e per il cui accertamento era necessaria la deduzione e la prova del carattere simulato delle vendite documentate dalle scritture private prodotte in giudizio. Anche le autorizzazioni commerciali dimostravano che l’attività era esercitata dalla RAGIONE_SOCIALE quale cessionaria delle aziende con atti registrati in data 31.12.1998, occorrendo che l’attrice desse preliminarmente prova che le aziende erano state donate. Si assume che NOME COGNOME aveva implicitamente riconosciuto che le dotazioni aziendali appartenevano alla società allorquando aveva affermato di esser stata estromessa dalla gestione, contestando che l’azienda al momento della successione -fosse di proprietà del de cuius, che l’aveva già ceduta alla RAGIONE_SOCIALE Vinci, come comprovato alle autorizzazioni comunali in atti. La Corte di merito, non essendosi avveduta della totale carenza di prova della titolarità dell’azienda in capo al de cuius, avrebbe omesso di esaminare circostanze decisive e violato il criterio dell’onere della prova.
Il motivo è infondato.
L’appartenenza di un’unica azienda all’asse da dividere, e non di entrambe le aziende reclamate dall ‘ attrice, è tema esaminato dalla Corte d’appello che ha ritenuto inutilizzabili, poiché tempestivamente disconosciuti, i due contratti di vendita delle aziende dal de cuius alla RAGIONE_SOCIALE e perciò indimostrato che quei beni strumentali all’esercizio dell’attività di macelleria fossero usciti dal patrimonio paterno prima dell’apertura della successione.
Già sotto tale profilo è esclusa una violazione dell’articolo 360 numero 5 c.p.c.. La norma contempla, inoltre, un vizio della sentenza che deriva dall’omessa considerazione di un dato accadimento o fatto, in senso storico o materiale.
Non c ostituiscono un ‘fatto’, agli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. 14802/2017; Cass. 21152/2014); gli elementi istruttori; le domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, ovvero i motivi di appello (Cass. 1539/2018; Cass. 21257/2014; Cass. 22799/2017; Cass. 6835/2017).
2.1. Quanto alla mancanza di prova del carattere simulato delle vendite aziendali, tale tema poteva veniva in rilievo solo dopo aver accertato l’avvenuta conclusione di quelle cessioni di cui era chiesto di accertare la simulazione.
La Corte di merito ha invece negato lo stesso perfezionamento delle vendite affermando che l’azienda non era mai fuoriuscita dal patrimonio paterno, ricadendo in comunione, e ciò non perché quei contratti fossero simulati, ma perché non erano stati mai conclusi.
L’intestazione delle licenze commerciali in capo alla RAGIONE_SOCIALE non era decisiva poiché non dimostrava necessariamente la titolarità delle dotazioni e il perfezionamento della cessione aziendale (pur non occorrendo la prova scritta ad probationem della cessione , potendo esser dimostrata dai ricorrenti, terzi rispetto alla società, con ogni mezzo: Cass. 564/1979; Cass. 930/1975) , potendo l’azienda trovarsi nella disponibilità dell’imprenditore a vario titolo (affitto, comodato, etc. etc.).
In sostanza, le violazioni denunciate sono insussistenti come pure la lamentata violazione dell’articolo 360 n. 5 c.p.c., sia in considerazione del fatto che tutti gli elementi illustrati in ricorso sono stati valutati, sia per assenza di decisività delle circostanze addotte dai ricorrenti a confutazione della pronuncia.
Il terzo motivo denuncia l ‘ omesso esame di un fatto decisivo, evidenziando che già nel corso dell’istruttoria di primo grado il giudice aveva affidato al consulente il compito di valutare l’asse ereditario con esclusione dei beni la cui appartenenza fosse contestata, per cui la questione della titolarità delle aziende era stata rimossa dal processo anche alla luce delle dichiarazioni dell’attrice, che aveva lamentato di essere stata estromessa dalla gestione degli esercizi commerciali, riconoscendone la titolarità in capo ai due fratelli.
Il motivo è sotto più aspetti infondato.
In primo luogo, come già precisato, l’art. 360 n. 5 c.p.c. consente di censurare l’eventuale pretermissione di un fatto materiale e non riguarda gli effetti dei provvedimenti emessi in corso di giudizio, aventi, peraltro, natura ordinatoria ed inidonei a pregiudicare la decisione finale, dovendo il giudice rivalutare la questione dell’appartenenza delle aziende al patrimonio da dividere riproposta con i motivi di appello.
Analogamente non costituisce fatto decisivo, agli effetti di cui si discute, il contenuto delle difese e delle eventuali ammissioni delle parti in causa, dovendo comunque escludersi che NOME COGNOME avesse riconosciuto per implicito la proprietà delle aziende in capo ai fratelli, avendo, al contrario, esplicitamente rivendicato anche su tali cespiti i propri diritti successori.
Il quarto motivo denuncia la violazione degli articoli 542, 555, 556, 564, 581 c.c. e vizio di motivazione.
I ricorrenti censurano la sentenza nella parte in cui ha quantificato il valore delle aziende sulla base delle scritture di vendita che aveva già ritenuto inutilizzabili. La Corte di merito sarebbe poi incorsa nell’errore di calcolare la quota di 2/9 a NOME COGNOME sull’asse composto dal relictum (costituito dalla somma di € 346.824,75), ma non sul donatum e senza tener conto della quota disponibile.
Sostengono i ricorrenti che l’attrice aveva agito a tutela della quota di riserva e che, quindi, le competeva un 1/6 dell’asse il cui valore, escluse le aziende e il valore delle donazioni ricevute in vita ( € 122.795,84), era pari al minor importo di €. 6225,43.
Il motivo è parzialmente fondato.
4.1. Il valore dell’azienda caduta in successione è stato quantificato sulla base delle risultanze della c.t.u., tenendo conto delle caratteristiche dei beni, della loro ubicazione e delle superfici, pervenendo ad un importo solo confermato dal contenuto delle scritture di vendita disconosciute, non già desunto da tali elementi documentali che la sentenza aveva già ritenuto inutilizzabili.
4.2. NOME COGNOME è deceduto ab intestato e NOME COGNOME ha chiesto la riduzione delle donazioni fatte ai coeredi per ottenere non la quota di riserva, pari ad 1/6 dell’asse (art. 542, comma secondo, c.c.), ma per recuperare alla massa beni da computare per il corretto calcolo della quota ab intestato ai sensi dell’art. 5 81 c.c. (2/9).
La domanda era volta a ottenere la liquidazione del controvalore della quota, non la quota in natura; non vi è menzione nella sentenza, né sul punto il ricorso solleva obiezioni, riguardo all’eventuale dispensa delle donazioni dalla collazione, profilo il cui esame che deve ritenersi precluso in questa sede (Cass. 1521/1980).
4.2. E’ necessario premettere che, nel caso in cui alla successione concorrano eredi legittimi che siano anche legittimari, la determinazione delle quote è regolata dall’art. 553 c.c. secondo cui, quando sui beni lasciati dal defunto si apre in tutto o in parte la successione legittima, nel concorso di legittimari con altri successibili, le porzioni che spetterebbero a questi ultimi si riducono proporzionalmente nei limiti in cui è necessario per integrare la quota riservata ai legittimari, i quali devono imputare a questa, ai sensi dell’art. 564 c.c., quanto hanno ricevuto dal defunto
in virtù di donazioni o di legati. La norma trova applicazione anche i chiamati alla successione siano tutti legittimari (Cass. 1521/1980).
In caso di insufficienza del relictum a soddisfare i loro diritti, per avere il de cuius effettuato in vita donazioni eccedenti la quota disponibile, la riduzione, pronunciata su istanza del legittimario, ha funzione integrativa del contenuto economico della quota ereditaria spettante ex lege, determinando il concorso della successione legittima con quella necessaria.
Il legittimario, erede ab intestato, non abdica in tal caso al titolo di erede legittimo in favore del titolo di legittimario, né alla quota ereditaria conseguita in virtù della successione intestata in favore della quota riservata. La successione necessaria, determinata dalla pronuncia di riduzione, non implica un’autonoma ragione di vocazione del legittimario all’eredità, ma ha soltanto una funzione integrativa del contenuto economico della vocazione di cui il legittimario è già investito ab intestato. Scopo della domanda è far sì che la quota di successione intestata si adegui, in valore, alla quota di riserva tramite la riduzione delle donazioni e dei legati (così testualmente, Cass. 16535/2020).
4 La Corte di merito ha proceduto alle operazioni divisionali, riconoscendo alla resistente la quota di 2/9, che ha calcolato sul valore complessivo dell’asse risultante dalla riunione fittizia tra il relictum (composto dal denaro presente nel patrimonio ereditario al momento dell’apertura della successione, pari ad €. 346.824,75, incrementato dal valore dell’azienda di INDIRIZZO ossia € 40131,37), e del donatum, costituito dagli immobili di cui il de cuius aveva disposto per donazione (€. 774.127,15), per un importo finale di €. 1.161.083,87 su cui ha calcolato la quota spettante all’attrice, detraendo il valore delle donazioni ricevute.
In tal modo la sentenza ha erroneamente attribuito all’attrice non la quota ab intestato (2/9) adeguata, in valore, a quella di riserva (1/6), ma la quota di 2/9 calcolata su un importo risultante dalla
riunione fittizia di relictum e donatum e senza tener conto della disponibile.
Per contro, era necessario anzitutto determinare l’importo spettante a NOME COGNOME sul relictum in base alla quota ab intestato, secondo il valore netto dell’asse al momento dell ‘apertura della successione, detratti i debiti.
Rilevata poi l ‘esistenza di donazioni effettuate dal de cuius ai coeredi, la Corte di merito avrebbe dovuto stabilire, oltre al valore della massa ereditaria, quello della quota disponibile e della quota di legittima, procedendo alla riunione fittizia, cioè meramente contabile, tra attivo netto e “donatum”, costituito dai beni di cui era stato disposto a titolo di donazione, da stimare, in relazione ai beni immobili ed ai beni mobili, secondo il loro valore al momento dell’apertura della successione e, con riferimento al valore nominale, quanto alle donazioni in denaro (Cass. 12919/2012) ed imputare, infine, le liberalità fatte al legittimario.
Qualora l’importo che l’attrice avrebbe potuto ottenere sul relictum fosse risultato inferiore alla legittima, sarebbe stato necessario adeguare, nel valore, la quota ab intestato a quella indisponibile mediante la riduzione delle donazioni eccedenti la quota disponibile, avendo cura di non pregiudicare i diritti di riserva spettanti agli altri legittimari che avevano ricevuto le donazioni.
Il quinto motivo di ricorso lamenta la violazione degli artt. 1224, 1282, 1284 c.c., per aver la sentenza riconosciuto gli accessori sulla somma riconosciuta a NOME COGNOME con decorrenza dalla domanda e non dalla consulenza o dalla sentenza di primo grado o di appello; avrebbe inoltre trascurato che non era stata chiesta la divisione e che i coeredi non erano tenuti ad alcuna restituzione.
Il motivo è infondato.
Deve anzitutto ribadirsi che NOME COGNOME aveva effettivamente proposto l’azione di divisione e restituzione .
Va inoltre data continuità al principio secondo cui la corresponsione degli accessori, di cui non è posta in discussione la spettanza, decorreva dalla domanda di riduzione e non dalla pronuncia, poiché se è vero che solo con la proposizione della domanda, e non dall’apertura della successione, le donazioni o le disposizioni testamentarie lesive perdono effetto, la retroattività degli effetti della sentenza risponde, tuttavia, all’esigenza di evitare che la durata del processo possa risolversi a danno della parte vincitrice, differendo la maturazione degli accessori del credito (Cass. 1079/1970; Cass. 41/1978; Cass. 4709/2020).
6. Il sesto motivo lamenta la violazione degli art. 542, 737, 581 e 1805 c.c., contestando al giudice distrettuale di non aver dato il dovuto rilievo al giudicato di cui alla sentenza d’appello n. 283/2017, che aveva stabilito che l’immobile donato in nuda proprietà a NOME COGNOME le era stato concesso in comodato prima dell’apertura della successione ed era stato sempre utilizzato dalla donataria anche dopo la morte del de cuius, non potendo ritenersi gravato dall’usufrutto in favore della moglie del de cuius . Pertanto il valor e del bene andava calcolato per l’int ero suo valore e non al 60%, dovendosi inoltre tener conto del godimento dell’immobile per il periodo precedente a ll’apertura della successione .
Il motivo è infondato.
L a concessione in comodato dell’immobile successivamente donato in nuda proprietà all’attrice non era assimilabile ad una donazione, suscettibile di incidere sulle operazioni divisionali mediante la considerazione delle utilità ricevute dal comodatario prima dell’apertura della successione (Cass. 24866/2006 che esclude un obbligo di collazione del comodatariocoerede; Cass. 27259/2017).
L’arricchimento procurato dalla donazione non coicide con il vantaggio che il comodatario trae dall’uso personale e gratuito della cosa comodata, poiché detta utilità non costituisce il risultato finale dell’atto posto in essere dalle parti, come nella donazione,
ma il contenuto tipico del comodato stesso, dovendo escludersi anche l’obbligo di imputazione ex art. 564 , ultimo comma, c.c. per le utilità di cui aveva beneficiato l’attrice prima dell’apertura della successione.
Doveva tenersi conto delle vere e proprie donazioni ai fini dell’imputazione (art. 564 c.c.), ma anche del l’esistenza dell’usufrutto incidente sul valore del donatum, essendo indiscusso che la donazione aveva ad oggetto la nuda proprietà, restando irrilevante che, come dedotto dai ricorrenti, il bene fosse stato materialmente sempre utilizzato dalla donataria e non dall’usufruttuaria , dato che la stessa esistenza del diritto reale veniva ad incidere sul valore della donazione.
Il settimo motivo denuncia la violazione dell’art. 91 c.p.c., sostenendo che le spese non potevano gravare sui ricorrenti, essendo totalmente infondata la domanda proposta da NOME COGNOME
Il motivo è assorbito, dovendo il giudice del rinvio procedere ad una nuova liquidazione delle spese in base all’esito finale della causa.
E’ accolto il quarto motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, sono respinti gli altri, ad eccezione del settimo che è assorbito.
La sentenza è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il quarto motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, respinge gli altri motivi, ad eccezione del settimo che è dichiarato assorbito; la sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda