Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24805 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24805 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 20106-2021 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 68/2021 della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZIONE DISTACCATA di TARANTO, depositata il 23/02/2021 R.G.N. 14/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/06/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Contratto a tempo determinato e altro
R.G.N.20106/2021
COGNOME
Rep.
Ud 10/06/2025
CC
Fatti di causa
NOME COGNOME premesso di avere prestato attività lavorativa in favore della RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE in forza di dieci contratti a termine dal 22.4.2002 all’11.4.2011 e in forza di tre contratti di somministrazione stipulati con Adecco Italia S.p.a. dal 2.5.2012 al 31.8.2014, ha chiesto al Tribunale di Taranto che fosse dichiarata la nullità del contratto di lavoro del 22.4.2002 e successive reiterazioni, nonché la costituzione di un rapporto lavorativo a tempo indeterminato e la condanna della società al pagamento delle dovute differenze retributive.
L’adito Tribunale ha rigettato la domanda sia per intervenuta decadenza, ai sensi del combinato disposto dell’art. 32 legge n. 183/2010 e art. 6 legge n. 604/1966, risultando tardiva l’impugnazione del lavoratore presentata solo il 26.9.2014, relativamente ai contratti stipulati sino al 2013, sia perché, relativamente all’ultimo (dall’1.7.2014 al 31.7.2014 con proroga al 31.8.2014) il contratto era conforme all’art. 1 co. 1 lett. a) d.l. 34/2014; ha specificato, infine, che per tutti i contratti precedenti non era configurabile la violazione della disciplina ex art. 5 co. 4 D.lgs. n. 368/2001, in materia di successione di contratti a termine, peraltro inapplicabile trattandosi di attività stagionale.
La Corte di appello di Lecce, Sezione Distaccata di Taranto, ha confermato la pronuncia di primo grado sottolineando che l’impugnazione dell’ultimo dei contratti di somministrazione a termine non si estendeva a tutti i pregressi contratti succedutisi nel t empo, senza tacere che l’apposizione del termine ben si coordinava, nel caso in esame, con la natura stagionale dell’attività (intesa sindacale 17.3.018 in atti) e che, nell’ipotesi di contratto di somministrazione di lavoro la
legittimazione faceva capo al somministrante e non all’utilizzatore.
Avverso la sentenza di secondo grado NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi cui ha resistito con controricorso RAGIONE_SOCIALE
La società ha depositato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
Ragioni della decisione
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, degli artt. 34 co. 4 legge n. 183/2010, art. 5 co. 4 bis D.lgs. n. 368/2001 e art. 24 co. 1 Cost. Si sostiene che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto che, per fare valere la illegittima successione di contratti a termine per superamento del limite massimo di cui all’art. 5 co. 4 bis D.lgs. n. 368/2001, l’istante avrebbe dovuto impugnare nel termine di decadenza di cui all’art. 32 legge n. 183/2010 tutti i singoli contratti succedutisi nell’arco temporale dedotto in giudizio (2002 -2014); si deduce, invece, che il lavoratore, quando impugni nel rispetto del termine di decadenza un solo contratto, qualunque esso sia, che risultasse stipulato dopo la maturazione del limite di trentasei mesi per effetto di intercorsi contratti pregressi, aveva diritto a conseguire la declaratoria di illegittimità di quel contratto in quanto stipulato in assenza delle condizioni legittimanti la sua conclusione.
Con il secondo motivo si obietta la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, degli artt. 11 e 12 delle preleggi, dell’art. 1362 co. 1 cod. civ. e dell’art.
116 co. 1 cpc, perché la Corte di appello, nel ritenere assorbente la eccezione di decadenza dalla impugnativa dei contratti precedenti all’ultimo, ha sostanzialmente omesso di esaminare la questione concernente l’applicabilità dell’Accordo del 17.3.2008 c irca la natura stagionale dei contratti in questione: in particolare, omettendo di valutare che, prima dell’Accordo sindacale in questione, confluito tra gli allegati al contratto collettivo nazionale, l’attività di produzione e distribuzione di birra non era inclusa nel DPR n. 1525/1963 (richiamato dall’art. 5 co. 4 ter D.lgs. n. 368/2001) né la Circolare del Ministero del Lavoro del 16.1.1964 avrebbe mai potuto modificare o integrare con valore normativo l’elenco tassativo dettato nel DPR n. 1525/1963 sopra citato.
4. Il primo motivo è fondato.
La gravata sentenza non è, infatti, in linea con il recente orientamento affermatosi in sede di legittimità secondo cui, in tema di successione di contratti di lavoro in somministrazione a termine, ove l’impugnazione stragiudiziale venga rivolta solo nei confronti dell’ultimo contratto della serie, il giudicato sull’intervenuta decadenza dall’impugnativa dei contratti precedenti non preclude l’accertamento dell’abusiva reiterazione, atteso che la vicenda contrattuale, pur insuscettibile di poter costituire fonte di azione diretta nei confronti dell’utilizzatore per la intervenuta decadenza, può rilevare come antecedente storico che entra a far parte di una sequenza di rapporti, valutabile, in via incidentale, dal giudice, al fine di verificare se la reiterazione delle missioni del lavoratore presso la stessa impresa utilizzatrice abbia oltrepassato il limite di una durata che possa ragionevolmente considerarsi temporanea,
sì da realizzare una elusione degli obiettivi della Direttiva 2008/104, come interpretata dalla Corte di Giustizia con sentenze del 14 ottobre 2020 in causa C-681/18 e del 17 marzo 2022 in causa C-232/20 (Cass. n. 22861/2022 e Cass. n. 4960/2023).
La impugnazione dell’ultimo contratto di somministrazione (dall’1.7.2012 al 31.7.2014 poi prorogato fino al 31.8.2014), avvenuta il 29.9.2014, comunque richiedeva, pertanto, da parte dei giudici del merito, una valutazione incidentale su tutta la sequenza dei contratti intercorsi tra le parti ai fini di verificare la sussistenza delle condizioni legittimanti la conclusione dell’ultimo in un contesto di dedotto superamento dei trentasei mesi.
Il secondo motivo è anche esso fondato.
Deve preliminarmente evidenziarsi che le argomentazioni in ordine alla natura stagionale dell’attività (ritenuta dalla Corte territoriale tale in base all’intesa sindacale del 17.3.2008, senza alcuna altra spiegazione), così come l’altra affermazione che, nell’ipotesi di contratto di somministrazione di lavoro la legittimazione fa capo al somministrante (col quale è intercorso il rapporto contrattuale del lavoratore) e non all’utilizzatore, sono state svolte ad abundantiam , senza cioè che fossero la conseguenza di statuizioni minime della pronuncia, costituite dalla sequenza ‘fatto, effetto, norma, suscettibili di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia.
In quanto prive di effetti giuridici, esse non determinano alcuna influenza sul dispositivo della decisione per cui, effettivamente, le stesse non possono qualificarsi autonome rationes decidendi e, quindi, è ravvisabile una omessa
valutazione sul punto oggetto della censura, a prescindere dalla ritenuta decadenza.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere accolto.
La gravata sentenza deve essere cassata e la causa va rinviata alla Corte di appello di Bari, individuata quale giudice di rinvio, che procederà ad un nuovo esame tenendo conto del citato principio di diritto in tema di decadenza nell’ipotesi di successione di contratti a termine e di contratti di somministrazione a termine e provvederà, altresì, alle determinazioni sulle spese anche del presente giudizio.
PQM
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza e rinvia alla Corte di appello di Bari, quale giudice di rinvio, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 giugno 2025