Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 32586 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 32586 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 14/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11593/2023 R.G. proposto da :
COGNOME e NOMECOGNOME rappresentati e difesi da ll’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE unitamente all ‘ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliati presso gli indirizzi PEC indicati dai difensori
-ricorrenti-
contro
COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di ROMA n. 1923/2023 depositata il 16/03/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
LOCAZIONE AD USO DI ABITAZIONE.
R.G. 11593/2023
COGNOME
Rep.
C.C. 14/10/2024
C.C. 14/4/2022
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ai sensi dell’art. 447 -bis cod. proc. civ. NOME ed NOME COGNOME convennero in giudizio NOME COGNOME davanti al Tribunale di Rieti, chiedendo che fosse dichiarato risolto il contratto di locazione ad uso abitativo esistente tra le parti e relativo ad un immobile sito a Contigliano.
A sostegno della domanda esposero, tra l’altro, che la loro dante causa NOME COGNOME aveva stipulato con il convenuto, in data 24 maggio 2007, il contratto di locazione suindicato e che essi erano subentrati all’originaria locatrice a seguito della donazione del diritto di usufrutto che ella aveva disposto in loro favore. Aggiunsero che nel contratto era fatto divieto al conduttore sia di sublocare l’immobile che di apportare modifiche al medesimo e che il COGNOME aveva violato entrambi i divieti, poiché aveva sublocato o comunque concesso in comodato ad un proprio parente una parte dell’immobile e aveva profondamento modificato l’assetto dello stesso, creando al piano terra un diverso e autonomo appartamento, nel quale il familiare aveva anche trasferito la propria residenza.
Si costituì in giudizio il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda.
Espletata prova per interrogatorio e per testi, il Tribunale accolse la domanda, dichiarò risolto, alla data del 29 dicembre 2015, il contratto di locazione, condannò il Barascu al rilascio del bene per la data del 31 marzo 2018, alla riconsegna agli attori di una serie di beni mobili siti all’interno dell’appartamento e al pagamento delle spese processuali.
La decisione è stata impugnata dal convenuto soccombente e la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 16 marzo 2023, in totale riforma di quella del Tribunale, ha rigettato le domande proposte da NOME ed NOME COGNOME e li ha condannati alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
Ha osservato la Corte territoriale che il nostro ordinamento riconosce e tutela l’ospitalità la quale, «anche non temporanea e protratta nel tempo, non concreta un’ipotesi di presunzione di sublocazione», dal momento che da essa «non è dato presumere una detenzione autonoma di tutto o parte dell’immobile locato derivante dalla concessione in comodato» e che la durata di simile permanenza, soprattutto se riguardante parenti o affini entro il quarto grado, non costituisce indizio decisivo dell’esistenza di un comodato. Nel caso specifico, la presenza di una cucina al piano terra dell’immobile locato non consentiva di ritenere dimostrata la tesi dei locatori, anche perché in quel piano esistevano già l’allaccio alla conduttura idrica ed un rubinetto, per cui non poteva «ritenersi intervenuta un’apprezzabile modificazione dello stato dei luoghi». D’altra parte, era incontestato che tra il piano terra e il piano superiore dell’immobile fosse sempre rimasta una comunicazione costituita da una scala alla quale si aveva accesso da una porta di vetro.
Quanto, poi, all’ulteriore motivo di appello col quale il COGNOME aveva contestato anche la condanna alla restituzione di numerosi beni mobili, la Corte capitolina ha rilevato che anch’esso era meritevole di accoglimento, posto che nel contratto di locazione l’immobile risultava non ammobiliato e che l’ammissione del conduttore relativa alla presenza di tali beni si collegava all’ulteriore precisazione per cui l’originaria locatrice li aveva lasciati sul posto per evitare di dover sostenere le spese per trasferirli altrove.
Contro la sentenza della Corte d’appello di Roma propongono ricorso NOME ed NOME COGNOME con unico atto affidato a due motivi.
Resiste NOME COGNOME con controricorso.
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile con una proposta di definizione anticipata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., depositata dal Consigliere relatore in data 27 febbraio 2024.
Avverso tale proposta i ricorrenti hanno chiesto che il ricorso venga collegialmente deciso; la trattazione è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc. civ. e il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art.360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia e violazione dell’art. 21 della legge n. 253 del 1950, degli artt. 1453, 1455 e 1571 cod. civ. e degli artt. 4 e 10 contratto di locazione esistente tra le parti.
I ricorrenti rilevano che la sentenza impugnata avrebbe violato le suindicate norme per aver ritenuto «di escludere la sussistenza, in ipotesi, di un’autonoma detenzione da parte del Sig. NOME e dei suoi familiari dell’immobile per cui è causa, invocando impropriamente il concetto di ospitalità, da un lato dilatandone i confini oltremisura e dall’altro ritenendo sussistente nella specie un rapporto di ospitalità, traendo il proprio convincimento da elementi manifestamente discordanti ovvero palesemente travisando gli elementi di prova di segno contrario».
Dopo aver richiamato i principi enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di ospitalità e di prova dell’esistenza di un comodato, i ricorrenti osservano che la Corte d’appello li avrebbe violati, non considerando che la mera detenzione dell’immobile, anche se protratta per un tempo più o meno lungo, non può costituire prova di un’autonoma detenzione, ma ne costituisce comunque un indizio. Le risultanze istruttorie, invece, dimostravano proprio l’esistenza della sublocazione (o comodato) e
la Corte d’appello le avrebbe ignorate o lette comunque in modo non corretto. L’esistenza della cucina al piano terra sarebbe un elemento significativo e la presenza di una scala tra i due piani dovrebbe essere considerata una comunicazione solo apparente, tale da non escludere l’esistenza del comodato (o subaffitto).
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., vizio di motivazione in combinato disposto con l’art. 115 cod. proc. civ., per aver manifestamente travisato gli elementi di prova assunti nel corso dell’istruttoria.
I ricorrenti -pur dichiarandosi consapevoli del fatto che in sede di legittimità non può invocarsi una nuova valutazione dei fatti -rilevano che la Corte d’appello avrebbe commesso un errore di percezione in relazione a circostanze che erano state oggetto di discussione tra le parti. Richiamati i principi giurisprudenziali sul travisamento della prova, i ricorrenti lamentano che la Corte d’appello avrebbe travisato «la forza probatoria degli elementi emersi nel corso dell’istruttoria», pur avendo la medesima richiamato i principi in tema di onere probatorio a carico del locatore al fine di dimostrare la sussistenza di un rapporto di sublocazione; onere che, nella specie, era stato dagli attori «ampiamente ed esaustivamente assolto».
Il Collegio dà atto che è stata depositata la seguente proposta di definizione anticipata.
«Il primo motivo è inammissibile; in disparte l’intreccio, nella intestazione, di riferimenti a tipi di vizio tipologici diversi, uno dei quali peraltro evocato anche secondo paradigma non più attuale («vizio di motivazione ex art. 360 n. 3 su un punto decisivo della controversia e per violazione delle norme …), il motivo lungi dall’evidenziare l’affermazione che in sentenza riveli una erronea impostazione qualificatoria, sotto i profili indicati, della fattispecie così come accertata, intende investire proprio tale accertamento di fatto, sollecitandone una inammissibile revisione in questa sede, peraltro anche in termini inosservanti degli
oneri di cui agli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 c.p.c.; il secondo motivo è parimenti inammissibile: al termine di una diffusa illustrazione astratta sul concetto di «travisamento di prova», i ricorrenti omettono di evidenziare su quale elemento di prova sia caduto l’errore percettivo, limitandosi a rimandare a quelli evocati nel primo motivo come oggetto di erronea valutazione del materiale istruttorio; propone la definizione del ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. con pronuncia di inammissibilità».
Rileva la Corte che le considerazioni svolte nella trascritta proposta meritano integrale condivisione.
A fronte di tale motivazione, infatti, l’istanza avanzata dai ricorrenti, ai sensi dell’art. 380 -bis .1., secondo comma, cod. proc. civ., in data 17 aprile 2024, non contiene alcuna contestazione della proposta, riservandosi di farlo con la memoria. In memoria, in realtà, i ricorrenti non hanno fatto altro che ripetere quanto già detto nei due motivi di ricorso, senza confrontarsi con la proposta.
Il primo motivo di ricorso, infatti, si risolve nella sollecitazione di una diversa valutazione dei fatti attraverso l’apparenza della violazione di legge, mentre il secondo enuncia una serie di principi sul travisamento della prova senza però dire dove, in effetti, tale travisamento si sarebbe manifestato . Ed invero appare evidente che il richiamo alla sentenza 5 marzo 2024, n. 5792, delle Sezioni Unite di questa Corte è completamente inconferente, posto che la censura di cui al secondo motivo non prospetta una svista concernente il fatto probatorio in sé, quanto, piuttosto, un evidente tentativo di contestare la sentenza impugnata in ordine all’accertamento relativo alla sussistenza o meno di un contratto di sublocazione; il che è, evidentemente, una questione in tutto diversa.
5. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.
A tale esito segue la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 13 agosto 2022, n. 147, nonché la condanna al pagamento di
un’ulteriore somma, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., in favore della controparte e al versamento di un’ulteriore somma in favore della cassa delle ammende (art. 96, quarto comma, cod. proc. civ.).
Sussistono inoltre i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 1.700, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge, nonché al pagamento della somma di euro 1.000 ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. in favore della controparte e della somma di euro 500 ai sensi dell’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ., alla cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza