Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3900 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3900 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20313/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
avverso sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 964/2018 depositata il 9.4.2018.
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16.1.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con decreto ingiuntivo n. 16563 del 2008 il Tribunale di Roma ha accolto il ricorso monitorio di RAGIONE_SOCIALE, subappaltatore nell’appalto pubblico affidato da RAGIONE_SOCIALE, stazione appaltante, a RAGIONE_SOCIALE, appaltatore principale, e ha ingiunto a RAGIONE_SOCIALE il pagamento di € 261.182,71, oltre accessori, quale residuo corrispettivo per i lavori svolti (muratura e posa in opera di barriere antirumore in un cantiere TAV).
Il Tribunale di Roma, in seguito all’opposizione di RAGIONE_SOCIALE, si è dichiarato incompetente e la causa è stata riassunta dinanzi al Tribunale di Bologna.
Con sentenza del 15.4.2016 il Tribunale di Bologna ha condannato la RAGIONE_SOCIALE a pagare alla RAGIONE_SOCIALE la somma di € 176.086,56, oltre i.v.a. e interessi commerciali dal 15.12.2008 e spese di lite.
Avverso la predetta sentenza di primo grado ha proposto appello RAGIONE_SOCIALE, a cui ha resistito l’appellata RAGIONE_SOCIALE.
La Corte di appello di Bologna con sentenza del 9.4.2018 ha accolto il gravame e ha rigettato, in riforma della sentenza di primo grado, la domanda di RAGIONE_SOCIALE, a spese compensate del doppio grado.
La Corte di appello ha accolto il primo motivo di impugnazione e ha ritenuto la nullità del contratto di subappalto, autorizzato con ordine di servizio n.129 del 9.7.2007 del Direttore dei lavori ing. COGNOME, e quindi successivamente alla stipula del contratto di subappalto effettuata il 15.2.2007, avvenuta peraltro ben dopo l’inizio dei lavori nel novembre del 2006, sulla base del principio della necessità dell’autorizzazione preventiva da parte della stazione appaltante.
Avverso la predetta sentenza, notificata in data 30.4.2018, con atto notificato il 27.6.2018 ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE, svolgendo due motivi.
Con atto notificato il 31.7.2018 ha proposto controricorso RAGIONE_SOCIALE, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.
La controricorrente ha presentato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia nullità della sentenza di secondo grado per violazione degli art.111 Cost e 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., e lamenta omessa pronuncia e/o decisione sulla proposta eccezione di inammissibilità dell’atto di appello di controparte.
Il motivo è inammissibile laddove denuncia omissione di pronuncia relativamente a una eccezione processuale, implicitamente, ma inequivocabilmente, rigettata dalla Corte di appello con l’esame e l’accoglimento del motivo di appello.
Secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Sez. 2, n. 20718 del 13.8.2018; Sez. 5, n. 29191 del 6.12.2017; Sez. 1, n. 24155 del 13.10.2017); analogamente non si configura il vizio di omessa pronuncia allorché, pur in difetto di un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale
motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto (Sez. 6 – 1, n. 15255 del 4.6.2019).
Inoltre il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., rilevante ai fini di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, dello stesso codice, si configura esclusivamente con riferimento a domande attinenti al merito e non anche di eccezioni pregiudiziali di rito (Sez. 3 , n. 25154 del 11.10.2018; Sez. 3, n. 1701 del 23.1.2009; Sez. U, n. 15982 del 18.12.2001; Sez. 2, n. 15613 del 4.6.2021).
Come si è detto, il motivo censura l’omessa pronuncia e non già l’erroneità della decisione.
In ogni caso, anche eventualmente reinterpretato sotto questo diverso profilo, il motivo non supererebbe la soglia dell’ammissibilità, poiché la parte ricorrente non riporta, se non in modo del tutto generico, il contenuto della sentenza di primo grado e dell’atto di appello avversario.
L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo , presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso. Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di
appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (Sez. 5, n. 22880 del 29.9.2017; Sez. L, n. 11738 del 8.6.2016; Sez. L, n. 23420 del 10.11.2011; Sez. 1, n. 20405 del 20.9.2006; Sez. U, n. 28332 del 5.11.2019; Sez. U , n. 156 del 9.1.2020).
Secondo le Sezioni Unite di questa Corte, gli artt. 342 e 434 cod. proc. civ., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Sez. U, n. 36481 del 13.12.2022; Sez. U, n. 27199 del 16.11.2017).
Allorché si discuta in cassazione della ammissibilità o della inammissibilità di un motivo di appello (la giurisprudenza prevalente riguarda il caso speculare in cui la parte impugna la dichiarazione di inammissibilità del motivo da parte del giudice di appello), la parte interessata, rimasta soccombente, che ricorre in cassazione contro tale sentenza, ha l’onere di denunziare l’errore in cui è incorsa la sentenza gravata e di dimostrare che il motivo d’appello, ritenuto non specifico, aveva invece i requisiti richiesti dell’art. 342 cod.proc.civ. ovvero che il motivo ritenuto specifico invece non lo era (Sez. 3, n. 18776 del 4.7.2023; Sez. 2, n. 21514 del 20.8.2019).
Inoltre l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato
un error in procedendo , presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche puntualmente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, dovendo tale specificazione essere contenuta, a pena d’inammissibilità, nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso. Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di precisare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto al giudice d’appello, riportandone il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità, non potendo limitarsi a rinviare all’atto di appello. (Sez. 1, n. 24048 del 6.9.2021; Sez. L, n. 3612 del 4.2.2022).
In questi casi oggetto del giudizio di legittimità non è la sola argomentazione della decisione impugnata, bensì sempre e direttamente l’invalidità denunciata e la decisione che ne dipenda, anche quando se ne censuri la non congruità della motivazione; di talché in tali casi spetta al giudice di legittimità accertare la sussistenza del denunciato vizio attraverso l’esame diretto degli atti, indipendentemente dall’esistenza o dalla sufficienza e logicità dell’eventuale motivazione del giudice di merito sul punto. (Sez. 5, n. 27368 del 1.12.2020).
8. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art.21 della legge n.646 del 1982 e dell’art.118 del d.lgs.12.4.2006 n.163 e contesta la statuizione di accoglimento dell’eccezione di nullità del contratto in essere tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE del 15.2.2007, ex art.1418 cod.civ. in relazione all’art.21 della legge 646 del 1982.
Secondo la ricorrente, tale statuizione era erronea perché era stato provato documentalmente che il subappalto era stato autorizzato dalla committente principale RAGIONE_SOCIALE.
Il motivo deve essere rigettato perché la Corte felsinea si è conformata puntualmente agli orientamenti giurisprudenziali di questa Corte.
L’art. 21 della legge 646 del 1982 (modificata dalle leggi n. 726 del 1982 e n. 936 del 1982), contenente la normativa penale antimafia in materia di appalti pubblici, vieta all’appaltatore di opere appaltate dalla Pubblica Amministrazione di concedere in subappalto o a cottimo, in tutto o in parte, le opere stesse senza l’autorizzazione dell’amministrazione committente; per cui il subappalto stipulato in violazione di tale norma imperativa è nullo ai sensi dell’art. 1418 cod. civ., perché in contrasto con una norma imperativa, e costituisce nel contempo grave inadempimento dell’appaltatore, che legittima la stazione appaltante a chiedere la risoluzione del contratto. Pertanto, posto che detto comportamento vietato dalla menzionata norma costituisce un fatto illecito dell’appaltatore in danno dell’amministrazione committente, lo stesso non può nel contempo rappresentare il titolo sul quale detto imprenditore fonda la richiesta di pagamento delle prestazioni fatte eseguire da un terzo in violazione della norma integratrice del contratto di appalto risolto per inadempimento; il che, peraltro, si tradurrebbe nell’esecuzione di quest’ultimo contratto, invece già risolto proprio in conseguenza dell’illiceità delle prestazioni suddette (Sez. 1, n. 11131 del 16.7.2003).
È stato altresì affermato che il divieto di concedere in subappalto o a cottimo, in tutto o in parte, le opere oggetto di un pubblico appalto, senza la preventiva autorizzazione dell’amministrazione committente, non può essere superato o, comunque, aggirato mediante la stipula di una clausola che subordini l’efficacia del subappalto alla condizione sospensiva del rilascio
dell’autorizzazione della stazione appaltante, successiva alla stipula del subcontratto, ostandovi la norma imperativa di cui all’art. 21 della l. n. 646 del 1982 (modificata dalla l. n. 726 del 1982 e dalla l. n. 936 del 1982), posta a protezione di rilevanti interessi pubblici. (Sez. 1, n. 22841 del 9.11.2016).
Ancor recentemente (Sez. 1, n. 5143 del 26.2.2020) è stato chiarito che la disciplina relativa al subappalto nel settore dei lavori pubblici introdotta dall’art. 339 della legge 20.3.1865, n. 2248, allegato F, sulla falsariga di quella prevista dal codice civile, stabiliva che il subappalto era consentito soltanto in presenza di espressa approvazione da parte del committente che aveva natura di autorizzazione e la violazione del divieto determinava la facoltà per l’Amministrazione di procedere alla risoluzione del contratto.
Con la legge 10.2.1962, n. 57, relativa alla istituzione dell’RAGIONE_SOCIALE il quale prescriveva l’obbligo della relativa iscrizione per tutti gli esecutori di lavori pubblici, si è registrato un aggravamento degli oneri a carico dell’impresa. Con il successivo art. 21 della legge 13.9.1982, n. 646, si è poi avuta una ulteriore limitazione al subappalto che, ribadendo il divieto di quello non autorizzato, ha previsto una sanzione penale per la sua violazione e la necessità che anche per il subappaltatore occorresse verificare la sussistenza dei requisiti di idoneità tecnica e di quelli richiesti dalla legislazione del controllo antimafia di cui alla legge 31.5.1965, n. 575. L’art. 21 in questione, contenente la normativa penale antimafia in materia di appalti pubblici, vieta all’appaltatore di opere appaltate dalla p.a. di concedere in subappalto o a cottimo, in tutto o in parte, le opere stesse senza l’autorizzazione dell’amministrazione committente (Sez.1, n. 11131 del 16.7.2003), è la norma che deve, ratione temporis , trovare applicazione.
Con la seconda parte della censura la ricorrente sostiene che il contratto in questione non necessitava comunque di autorizzazione perché il suo importo (€ 149.696,00) era inferiore al 2% del valore
delle opere appaltate dalla stazione appaltante RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (€ 7.500.000,00), sicché la fattispecie esulava dalla previsione del comma 11 del d.lgs. 163 del 2006; aggiunge ancora la ricorrente che il maggior importo delle lavorazioni accertato dal Consulente (€ 276.675,00) non era d’ostacolo, poiché il contratto in questione era a misura.
11. L’argomentazione esposta non giova alla ricorrente.
In primo luogo, la disciplina del Codice degli appalti di cui al d.lgs. 163 del 18.4.2006 ai sensi dell’art.253 era applicabile alle procedure e ai contratti i cui bandi o avvisi di indizione della gara fossero stati pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore (2.7.2006), nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure e ai contratti in cui, alla data di entrata in vigore del codice, non fossero ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte; la ricorrente non chiarisce nel suo ricorso la data della pubblicazione del bando di gara.
In ogni caso l’art.118, comma 11, dispone: «11. Ai fini del presente articolo è considerato subappalto qualsiasi contratto avente ad oggetto attività ovunque espletate che richiedono l’impiego di manodopera, quali le forniture con posa in opera e i noli a caldo, se singolarmente di importo superiore al 2 per cento dell’importo delle prestazioni affidate o di importo superiore a 100.000 euro e qualora l’incidenza del costo della manodopera e del personale sia superiore al 50 per cento dell’importo del contratto da affidare. Il subappaltatore non può subappaltare a sua volta le prestazioni salvo che per la fornitura con posa in opera di impianti e di strutture speciali da individuare con il regolamento; in tali casi il fornitore o subappaltatore, per la posa in opera o il montaggio, può avvalersi di imprese di propria fiducia per le quali non sussista alcuno dei divieti di cui al comma 2, numero 4). È fatto obbligo all’affidatario di comunicare alla stazione appaltante, per tutti i subcontratti stipulati per l’esecuzione dell’appalto, il nome del sub-
contraente, l’importo del contratto, l’oggetto del lavoro, servizio o fornitura affidati».
Per stessa ammissione della ricorrente il subappalto superava l’importo di € 100.000,00 (€ 149.696,00) e in ogni caso la sua entità è li evitata a € 276.675,00.
Nella struttura del predetto comma 11 le due soglie sono evidentemente alternative e scatta la disciplina del subappalto sia nel caso di superamento della percentuale del 2%, sia nel caso di superamento della soglia fissa di € 100.000,00.
Le considerazioni svolta nel § 4.2.4. di pag. 17 del ricorso sull’esistenza di una comunicazione preventiva del subappalto da parte di RAGIONE_SOCIALE al momento della partecipazione alla gara, ritenuta provata indiziariamente, sono del tutto vaghe e generiche e riversate nel merito e comunque non si correlano alla necessità di una autorizzazione preventiva.
Non rileva infine il riferimento all’art.1 del d.p.r. 252 del 13.6.1998, secondo cui la certificazione antimafia non è richiesta per i provvedimenti gli atti, i contratti e le erogazioni il cui valore complessivo non supera i 300 milioni di lire.
E ciò sia perché la norma non riguarda la necessità di autorizzazione preventiva del subappalto prevista dalla norma di ordine pubblico applicata dalla sentenza impugnata, sia perché l’entità delle opere eseguite dalla ricorrente, come accertata dal C.t.u. in € 276.675,00, superava abbondantemente quella soglia.
Il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, occorre dar atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore del contro ricorrente, liquidate nella somma di € 8.000,00 per compensi, € 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione