Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34536 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 34536 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
O R D I N A N Z A
sul ricorso proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso per procura alle liti in calce al ricorso da ll’ Avvocato NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso lo studio d ell’Avvocato NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
Ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE con sede in Milano, in persona del l’amministratore unico ing. NOME COGNOME rappresentata e difesa per procura alle liti allegata al controricorso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
Controricorrente
avverso la sentenza n. 558/2019 della Corte di appello di Bari, depositata il 5. 3. 2019.
Udita la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 27. 11. 2024.
Fatti di causa e ragioni della decisione
Con atto di citazione del 2003 la sRAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio davanti al Tribunale di Bari Campanelli COGNOME, chiedendo che fosse dichiarata l’inesistenza di alcun credito del convenuto nei propri confronti in relazione ai lavori da essa affidati al Campanelli nell’ambito di un rapporto d’appalto intrattenuto dall’esponente con la Regione Puglia, giusto l’atto di transazione intervenuto tra le parti in data 28. 5. 2003, con condanna del convenuto al risarcimento dei danni subiti a causa delle indebite intimazioni di pagamento dallo stesso inoltrate.
Con successivo atto di citazione la medesima Simet propose opposizione al decreto ingiuntivo che le intimava di pagare al COGNOME la somma di euro 28.097,90, a titolo di pagamento di lavori dallo stesso effettuati in suo favore.
Riuniti i giudizi, nel contraddittorio delle parti, con sentenza del 2013 il Tribunale di Bari revocò il decreto ingiuntivo opposto e rigettò le altre domande delle parti, dichiarando che la pretesa del Campanelli era fondata su un titolo contrattuale nullo, non essendo stato il contratto di subappalto da lui stipulato con la società RAGIONE_SOCIALE mai autorizzato dalla Regione Puglia, stazione appaltante, in violazione della prescrizione posta dall’art. 21 della legge n. 646 del 1982.
Proposta impugnazione da parte di COGNOME COGNOME, la Corte di appello di Bari, con sentenza n. 558 del 5. 3. 2019, rigettò il gravame, confermando la statuizione di nullità del contratto di subappalto intercorso tra le parti per mancata autorizzazione della stazione appaltante, ai sensi dell’art. 1418 c.c., per violazione della norma imperativa posta dall’art. 21 della legge n. 646 del 1982, precisando che il credito del subappaltatore RAGIONE_SOCIALE, essendo fondato su un titolo nullo, non era esigibile; in accoglimento della domanda avanzata dall’appellata condannò quindi il COGNOME alla restituzione di quanto ricevuto in forza del decreto ingiuntivo revocato.
Per la cassazione di questa sentenza, con atto notificato il 5. 4. 2019, ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE affidato ad un unico motivo.
La sRAGIONE_SOCIALE ha notificato controricorso, a cui ha fatto seguire memoria.
L’unico motivo di ricorso, che denuncia falsa applicazione dell’art. 21 della legge n. 646 del 1982, dell’art. 20 della legge n. 241 del 1990 e degli artt.
R.G. N. 12214/2019.
1418 e 2041 c.c., lamenta che la sentenza impugnata non abbia riconosciuto all’odierno ricorrente il diritto ad un equo ristoro per l’ esecuzione dei lavori eseguiti su incarico della controparte.
Si assume al riguardo che la Corte di appello si è limitata ad una applicazione formalistica della norma di cui all’art. 21 della legge n. 646 del 1982, inquadrando il rapporto intercorso tra le parti come subappalto, ma tralasciando una indagine diretta a ricostruirne gli elementi essenziali e ad addivenire ad una sua diversa qualificazione giuridica, nell’ambito ad esempio del mandato o del contratto d’opera professionale. In particolare , risulta o messa la valutazione dell’elemento principale che contraddistingue il contratto di subappalto, vale a dire la coincidenza, in tutto o in parte, delle opere da eseguire con quelle oggetto del contratto principale.
Sotto altro profilo, la sentenza è censurata per non avere compiutamente preso in considerazione fatti rilevanti, quali la condotta della stazione appaltante e la circostanza che la RAGIONE_SOCIALE, in data 5. 6. 2002, aveva richiesto l’autorizzazione ad affidare alla ditta RAGIONE_SOCIALE lavori in subappalto e che il 28. 5. 2002 il direttore dei lavori aveva risposto comunicando alla Simet di avere autorizzato il subappalto, salvo poi dare rilievo alla dichiarazione della Regione Puglia, di cui alla nota n. 9286 del 7. 10. 2003, che dichiarava che nessuna richiesta di autorizzazione al subappalto era mai stata presentata dalla appaltatrice Simet.
Il motivo è infondato e per il resto inammissibile.
In ordine alla qualificazione giuridica del rapporto negoziale intercorso tra le parti, le censure avanzate dal ricorrente appaiono all’evidenza generiche ed evanescenti, limitandosi la parte a prospettare la mera possibilità che il rapporto sia inquadrabile in altre e diverse figure contrattuali, quali il mandato o il contratto d’opera professionale, senza sostenere l a critica con l’indicazione di dati concreti e testuali risultanti dal documento negoziale, anche con riferimento al profilo sollevato dell ‘ oggetto dei lavori affidati rispetto a quelli dell’appalto intervenuto tra la RAGIONE_SOCIALE e la Regione Puglia. La critica si scontra ad ogni modo con il rilievo che la configurazione di tale rapporto in termini di subappalto risulta un dato non controverso nel giudizio di merito, su cui
R.G. N. 12214/2019.
entrambi le parti hanno fondato le loro domande e su cui il giudice ha argomentato la sua decisione. La ricorrenza del subappalto non risulta posta in discussione dal ricorrente nemmeno nell’atto di appello , incentrato principalmente sul mancato riconoscimento, da parte del primo giudice, dell’esistenza della autorizzazione da parte della stazione appaltante. La sentenza del resto dà atto che lo stesso COGNOME aveva dedotto, in ordine al proprio rapporto con la RAGIONE_SOCIALE, la palese violazione dell’art. 21 della legge n. 646 del 1982.
Il ricorrente lamenta altresì che la Corte di merito non abbia riconosciuto a suo favore un ‘ equo ristoro ‘ per i lavori eseguiti, ai sensi dell’art.2041 c.c.. La censura è inammissibile, non risultando né dalla sentenza impugnata né dallo stesso ricorso che la parte abbia chiesto la condanna della controparte al pagamento di un indennizzo per indebito arricchimento. Dalla lettura del ricorso, in particolare, emerge che la parte aveva qualificato la propria pretesa creditoria in termini di corrispettivo dei lavori eseguiti, fondandola quindi su un titolo contrattuale. Né può inquadrarsi nell’ambito della fattispecie dell’art. 2041 c.c. l’ulteriore domanda avanzata dal COGNOME di risarcimento del danno ‘per perdita di occasioni favorevoli’, che risulta proposta in primo grado e riprodotta in appello, trattandosi all’evidenza di domanda diversa , per causa petendi e petitum , da quella diretta al pagamento d ell’ indennizzo per arricchimento senza causa. Merita aggiungere che la richiesta di risarcimento dei danni è stata respinta dal giudice a quo per difetto di prova, per non avere l’appellante, dopo che il giudice di primo grado aveva respinto la sua istanza di prova, riproposto in modo specifico le proprie richieste istruttorie e che il relativo capo della decisione non risulta investito dal ricorso.
Inammissibile, infine, è la censura che lamenta che la Corte di appello, nel valutare la condotta della committente COGNOME, non abbia esaminato le note del 5. 6. 1982 e del 28. 5. 1982 citate nel ricorso. La relativa doglianza, che si risolve nella deduzione del vizio di omesso esame di fatti decisivi, risulta preclusa all’attuale ricorrente dall’art. 348 ter c.p.c., applicabile nella specie essendo stato l’appello proposto nel 2014, che dichiara non proponibile , in sede di ricorso per cassazione, il motivo di cui all’art. 360, comma 1 n. 5, c.p.c.
R.G. N. 12214/2019.
in caso di c.d. doppia conforme, cioè nel caso in cui la sentenza di appello abbia deciso in modo conforme a quella di primo grado.
Il ricorso va pertanto respinto.
Le spese del giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in euro 8.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27 novembre 2024.