Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6998 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 6998 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/03/2025
NOME COGNOME dipendente di RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE) dal 17 maggio 2010 con la qualifica di operaio specializzato inquadrato nel IV livello del CCNL di settore (in particolare, aveva svolto mansioni di ‘forestale’), ha chiesto al Tribunale di Foggia di condannare stessa a pagare, per il periodo dal 1° aprile 2016 e sino al 30 settembre 2017, le somme dovute a titolo di straordinario nella misura di € 4850,41 o in subordine, a risarcire il danno subito.
Ha esposto che con ordine di servizio del 10 aprile 2012 erano stati stabiliti dei turni di servizio giornalieri di otto ore, di cui un’ora e mezza a titolo di straordinario.
Il Tribunale di Bari, nel contraddittorio delle parti, con sentenza del 28 ottobre 2021 ha accolto il ricorso.
L’ARIF ha proposto appello.
La Corte d’appello di Bari, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1989/2023 , ha rigettato l’impugnazione.
L’ARIF ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sulla base di un unico motivo, illustrato da memoria.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
DIRITTO
Con l’unico motivo, il ricorso denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2 e 40 del d.lgs. n. 165/2001, nonché dell’art. 3, comma 83, della legge n. 244/2007 e dell’art. 97 Cost. , perché la corte territoriale non avrebbe correttamente tenuto conto della sua natura pubblica e, quindi, della necessità di applicare, nella specie, il d.lgs. n. 165 del 2001, con conseguente obbligo di preventiva autorizzazione formale dello straordinario. In particolare, denuncia la violazione della norma im perativa dell’art. 3, comma 83, della legge n. 244 del
2007, non essendovi traccia in atti delle rilevazioni dei cartellini marcatempo o di fogli debitamente controfirmati dai responsabili della struttura e di alcun provvedimento autorizzativo dello straordinario.
Lamenta l’omessa considerazione della nota prot. n. 0035252/P del 21.7.2016, con cui l’ARIF aveva comunicato che il lavoro straordinario non poteva essere remunerato, in assenza di un sistema automatico di rilevazione delle presenze dei dipendenti e che era stato dunque implicitamente revocato qualsiasi ordine di servizio.
La doglianza è in parte inammissibile e in parte infondata.
Essa è inammissibile per quel che concerne l’aspetto della natura di P.A. ai sensi del d.lgs. n. 165 del 2001 della parte ricorrente e la riconduzione del rapporto di lavoro con la stessa al pubblico impiego contrattualizzato e quanto alla normativa applicata.
Infatti, l’ARIF non ha assolutamente compreso la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha con chiarezza affermato la natura pubblica di parte ricorrente e contrattualizzata del rapporto di lavoro in esame e ha fondato il diritto del dipendente sull’art. 2126 c.c.
Risulta parimenti inammissibile la deduzione relativa alla revoca implicita dell’autorizzazione, atteso che tale questione non risulta trattata dalla sentenza impugnata, né risulta proposto un motivo di censura relativo a tale questione.
La censura è infondata per quel che interessa la necessità della previa autorizzazione formale e la natura di esclusivo strumento di accertamento della presenza del dipendente in ufficio dei menzionati sistemi di rilevazione.
In ordine all’autorizzazione, in effetti, la giurisprudenza della S.C. ha affermato, fino a pochi anni fa, che, in tema di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per il lavoro straordinario svolto presuppone, di necessità, la previa autorizzazione dell’amministrazione, poiché essa implica la valutazione della sussistenza delle ragioni di interesse pubblico che impongono il ricorso a tali prestazioni e comporta, altresì, la verifica della compatibilità della spesa con le previsioni di bilancio (Cass., Sez. L, n. 2509 del 31 gennaio 2017).
Più di recente, però, la S.C. ha chiarito il suo precedente orientamento, precisando che, in tema di pubblico impiego privatizzato, il disposto dell ‘ art. 2126 c.c. non si pone in contrasto con le previsioni della contrattazione collettiva che prevedono autorizzazioni o con le regole normative sui vincoli di spesa, ma è integrativo di esse nel senso che, quando una prestazione, come quella di lavoro straordinario, è stata svolta in modo coerente con la volontà del datore di lavoro o comunque di chi abbia il potere di conformare la stessa, essa va remunerata a prescindere dalla validità della richiesta o dal rispetto delle regole sulla spesa pubblica, dovendosi dare la prevalenza alla necessità di attribuire il corrispettivo al dipendente, in linea con il disposto dell ‘ art. 36 Cost. (Cass., Sez. L, n. 17912 del 28 giugno 2024).
Ciò perché, in tema di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per il lavoro straordinario svolto, che presuppone la previa autorizzazione dell ‘ amministrazione, spetta al lavoratore anche laddove la richiesta autorizzazione risulti illegittima e/o contraria a disposizioni del contratto collettivo, atteso che l ‘ art. 2108 c.c., applicabile anche al pubblico impiego contrattualizzato, interpretato alla luce degli artt. 2 e 40 del d.lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 97 Cost., prevede il diritto al compenso per lavoro straordinario se debitamente autorizzato e che, dunque, rispetto ai vincoli previsti dalla disciplina collettiva, la presenza dell ‘ autorizzazione è il solo elemento che condiziona l ‘ applicabilità dell ‘ art. 2126 c.c. (Cass., Sez. L, n. 23506 del 27 luglio 2022).
Espressione di questo orientamento più attuale è pure la giurisprudenza per la quale, in tema di pubblico impiego privatizzato, il riconoscimento del diritto a prestazioni ‘aggiuntive’ -ai sensi dell’art. 1 d.l. n. 402 del 2001, conv., con modif., dalla legge n. 1 del 2002, – è subordinato al ricorrere dei presupposti dell’autorizzazione regionale, della presenza in capo ai lavoratori di requisiti soggettivi e della determinazione tariffaria; tuttavia, pur in mancanza dei menzionati presupposti, l’attività lavorativa oltre il debito orario comporta il diritto al compenso per lavoro straordinario nella misura prevista dalla contrattazione collettiva, purché sussista il consenso datoriale che, comunque espresso, è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c., in
relazione all’art. 2108 c.c., a nulla rilevando il superamento dei limiti e delle regole riguardanti la spesa pubblica, che determina, però, la responsabilità dei funzionari verso la pubblica amministrazione (Cass., Sez. L, n. 18063 del 23 giugno 2023).
Nella stessa ottica, va letta la sentenza di questa Sezione n. 27842 del 3 ottobre 2023, per la quale, in tema di pubblico impiego privatizzato, il dipendente di un’agenzia regionale per la protezione ambientale (ARPA) che nell’ambito del rapporto di lavoro ha eseguito, in favore di soggetti terzi e con il consenso dell’amministrazione di ap partenenza, prestazioni oltre il normale orario ha diritto a essere retribuito per il lavoro straordinario svolto (ex art. 2126 c.c., in relazione all’art. 2108 c.c. e a lla luce degli artt. 35 e 36 Cost.) in base alle previsioni della contrattazione collettiva nazionale applicabile e di quella integrativa conforme, senza che rilevi la mancata approvazione, da parte del datore di lavoro, dei progetti relativi a siffatte prestazioni e dei correlati atti interni di riparto, fra il personale interessato, delle somme riscosse in dipendenza di tali progetti.
Dalla giurisprudenza menzionata, emerge come, nel pubblico impiego contrattualizzato, l’autorizzazione della P.A. sia necessaria perché il dipendente possa prestare lavoro straordinario.
Si tratta, quindi, di un elemento costitutivo della pretesa del lavoratore che agisca per il suo pagamento e che, pertanto, deve essere da lui allegato e dimostrato.
Questa autorizzazione, però, può essere anche implicita e, soprattutto, è sufficiente che la prestazione integrante lavoro straordinario sia resa non insciente o prohibente domino o, comunque, in modo coerente con la volontà del datore o del soggetto preposto.
Nella specie, peraltro, la corte territoriale ha accertato la presenza di un ordine di servizio del Direttore generale dell’ARIF, il quale aveva disposto che gli addetti alla custodia, fra cui il lavoratore, avrebbero dovuto fare turni di custodia di otto ore al giorno, ‘cioè – si dice espressamente 6,5 ore più 1,5 di straordinario’.
Il requisito dell’autorizzazione è stato, quindi, rispettato.
Risulta infondata la censura anche in ordine al rilievo degli strumenti di rilevazione delle presenze.
L’art. 3, comma 83, della legge n. 244 del 2007 prescrive, in effetti, che ‘Le pubbliche amministrazioni non possono erogare compensi per lavoro straordinario se non previa attivazione dei sistemi di rilevazione automatica delle presenze’.
Peraltro, si evidenzia che la giurisprudenza è ormai orientata, come sopra detto, nel senso che, in tema di pubblico impiego privatizzato, il riconoscimento del diritto a prestazioni ‘aggiuntive’ -ai sensi dell’art. 1 d.l. n. 402 del 2001, conv., con mod., dalla legge n. 1 del 2002, è subordinato al ricorrere dei presupposti dell’auto rizzazione regionale, della presenza in capo ai lavoratori di requisiti soggettivi e della determinazione tariffaria; tuttavia, pur in mancanza dei menzionati presupposti, l’a ttività lavorativa oltre il debito orario comporta il diritto al compenso per lavoro straordinario nella misura prevista dalla contrattazione collettiva, purché sussista il consenso datoriale che, comunque espresso, è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c., in relazione all’art. 2108 c.c., a nulla rilevando il superamento dei limiti e delle regole riguardanti la spesa pubblica, che determina, però, la responsabilità dei funzionari verso la pubblica amministrazione (Cass., Sez. L, n. 18063 del 23 giugno 2023).
Ciò è confermato dalla giurisprudenza per la quale, in tema di pubblico impiego privatizzato, il disposto dell’art. 2126 c.c. non si pone in contrasto con le previsioni della contrattazione collettiva che prevedono autorizzazioni o con le regole normative sui vincoli di spesa, ma è integrativo di esse nel senso che, quando una prestazione, come quella di lavoro straordinario, è stata svolta in modo coerente con la volontà del datore di lavoro o comunque di chi abbia il potere di conformare la stessa, essa va remunerata a prescindere dalla validità della richiesta o dal rispetto delle regole sulla spesa pubblica, dovendosi dare la prevalenza alla necessità di attribuire il corrispettivo al dipendente, in linea con il disposto dell’art. 36 Cost. (Cass., Sez. L , n. 17912 del 28 giugno 2024).
Da quanto sopra, si evince che, purché vi sia un consenso del datore di lavoro, anche se prestato in maniera non formalmente corretta, il lavoro straordinario va pagato.
L’eventuale violazione di normativa concernente la regolarità della richiesta o i limiti di spesa pubblica si può tradurre in una responsabilità contabile di chi lo straordinario abbia consentito, ma non in un danno per il lavoratore che la sua prestazione abbia reso.
Ne deriva che l’eventuale mancato rispetto del disposto dell’art. 3, comma 83, della legge n. 244 del 2007 non assume rilievo.
In aggiunta a ciò, deve evidenziarsi che la Corte territoriale ha verificato che non erano stati installati, nel periodo qui in esame, i sistemi di rilevazione automatica delle presenze di cui all ‘art. 3, comma 83, della legge n. 244 del 2007.
Al riguardo, deve affermarsi, quindi, come l’assenza degli strumenti in esame renda inapplicabile, nella specie, il citato art. 3, comma 83.
Il ricorso è rigettato, in applicazione dei seguenti principi di diritto:
‘In tema di pubblico impiego contrattualizzato, il lavoratore ha diritto al pagamento della prestazione resa per lavoro straordinario nella misura prevista dalla contrattazione collettiva, ove sia eseguita con il consenso, anche implicito, del datore di lavoro o di chi abbia il potere di conformare la relativa prestazione e, comunque, non insciente o prohibente domino o in modo coerente con la volontà del soggetto preposto, a prescindere dalla validità della richiesta o dal rispetto dei limiti e delle regole sulla spesa pubblica, che può incidere, eventualmente, sulla responsabilità dei funzionari verso la pubblica amministrazione, atteso che tale consenso è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c., in relazione all’art. 2108 c.c.’;
‘In tema di pubblico impiego contrattualizzato, il dipendente ha diritto al pagamento della prestazione per lavoro straordinario, ove sia resa con il consenso, anche implicito, del datore di lavoro o di chi abbia il potere di conformarla e, comunque, non insciente o prohibente domino o in modo coerente con la volontà del soggetto preposto, ben potendo l’esecuzione di detta prestazione essere dimostrata anche tramite testi, a prescindere da quanto
previsto dall ‘art. 3, comma 83, della legge n. 244 del 2007, in base al quale le pubbliche amministrazioni non possono erogare compensi per lavoro straordinario se non previa attivazione dei sistemi di rilevazione automatica delle presenze ‘;
‘Il divieto introdotto dall’art. 3, comma 83, della legge n. 244 del 2007 non preclude il pagamento della prestazione resa per lavoro straordinario dal pubblico dipendente contrattualizzato, qualora non siano stati ancora installati i sistemi di rilevazione automatica delle presenze di cui al citato art. 3, comma 83’.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della P.A. ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 2500,00 competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge, da distrarsi in favore dell’Avv. NOME COGNOME dichiaratosi antistatario;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte della P.A. ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della