Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1269 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1269 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5716/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA CINDIRIZZO COGNOME INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE per procura in calce al ricorso,
-ricorrenti- contro
COMUNE DI TRIESTE, in persona del Sindaco NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME
(CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende disgiuntamente agli avvocati NOME COGNOMECODICE_FISCALE) e COGNOME (CODICE_FISCALE pe procura in calce al controricorso,
-controricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante NOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) per procura in calce al controricorso,
-controricorrente-
nonchè contro
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO TRIESTE n.606/2018 depositata il 31.10.2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9.1.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione in data 1.8.2013 COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME convenivano in giudizio, davanti al Tribunale di Trieste, la RAGIONE_SOCIALE ed il Comune di Trieste, per sentire dichiarare che l’asse viario denominato INDIRIZZO, collocato nel centro urbano di Trieste, che collegava la via pubblica di INDIRIZZO con INDIRIZZO (indicata come pubblica dagli attori e come privata dal Comune di Trieste), anche nel tratto di sedime di proprietà privata della RAGIONE_SOCIALE, presentava caratteristiche oggettive tali da dover essere qualificata come strada vicinale, equiparata dal Codice della strada alle strade comunali urbane, e quindi soggetta al pubblico transito di una collettività indifferenziata di utenti. Gli attori tutti chiedevano, quindi, di accertare che la RAGIONE_SOCIALE aveva frapposto ostacoli al libero godimento del pubblico passaggio sull’area privata, dei quali chiedevano la rimozione, mentre i soli COGNOME NOME e NOME chiedevano di dichiarare nulli, o di annullare i contratti di locazione di posti auto da loro conclusi con la Scuola del Castelletto RAGIONE_SOCIALE, in quanto fondati sul presupposto non veritiero che non sussistesse un pubblico passaggio sull’area.
Si costituiva nel giudizio di primo grado la RAGIONE_SOCIALE, che eccepiva l’inammissibilità dell’avversa domanda di accertamento della natura di strada vicinale soggetta al pubblico transito dell’area di sua esclusiva proprietà, perché coperta dal giudicato costituito dalla sentenza n. 543/2003 del Tribunale di Trieste e dalla sentenza n. 184/2008 della Corte d’Appello di Trieste, che avevano respinto la domanda riconvenzionale di precedenti proprietari di fondi limitrofi alla suddetta area volta ad ottenere l’accertamento della servitù di passaggio in favore dei loro fondi per usucapione, e nel merito contestava le domande degli attori chiedendone il rigetto.
Si costituiva nel giudizio di primo grado il Comune di Trieste, che eccepiva il difetto di giurisdizione ed il suddetto giudicato, e negava la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento come via pubblica del tratto privato di INDIRIZZO oggetto di causa, anche sulla base dell’istruttoria svolta dal Servizio Strade del Comune, confluita nelle relazioni del 10.1.2013 e del 15.10.2013 prodotte, concludendo per il rigetto delle domande degli attori.
Effettuato un sopralluogo dal Giudice, assunte prove testimoniali, espletata CTU ed acquisiti chiarimenti, il Tribunale di Trieste con la sentenza n. 11/2017 del 13.1.2017, disattesa l’eccezione di giudicato in quanto la sentenza della Corte d’Appello di Trieste n. 184/2008 non aveva esaminato la riconvenzionale di usucapione della servitù di passaggio, rigettava tutte le domande degli attori ritenendo che le prove raccolte non avevano consentito di qualificare il tratto privato di INDIRIZZO come strada vicinale pubblica.
La sentenza di primo grado veniva appellata in via principale dagli attuali ricorrenti, che lamentavano il mancato riconoscimento della sussistenza dei tre requisiti occorrenti a qualificare il tratto privato di INDIRIZZO come strada vicinale pubblica (l’effettività del passaggio esercitato iure servitutis publicae da una collettività di persone, la concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di carattere generale e l’esistenza di un valido titolo che possa sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico), e riproponevano le domande anche conseguenziali avanzate in primo grado, e veniva appellata in via incidentale condizionata dalla RAGIONE_SOCIALE, mentre il Comune di Trieste chiedeva il rigetto dell’impugnazione.
Nel corso del giudizio di secondo grado intervenivano in causa COGNOME Paolo, COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME
COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME Maurizio, che aderivano alla richieste degli appellanti principali.
Con la sentenza n. 606/2018 del 18.9/31.10.2018, la Corte d’Appello di Trieste rigettava l’appello e condannava gli appellanti al pagamento delle spese processuali di secondo grado.
Avverso tale sentenza, non notificata, hanno proposto ricorso alla Suprema Corte, notificato alle controparti originarie ed agli intervenuti in secondo grado il 4.2.2019, COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME affidandosi a sei motivi, e resistono la RAGIONE_SOCIALE ed il Comune di Trieste con controricorsi notificati il 13.3.2019, mentre sono rimasti intimati COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME.
Sia i ricorrenti principali, che i controricorrenti, hanno depositato memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c..
La causa, dopo un rinvio disposto, su istanza congiunta delle parti, per trattative di bonario componimento, non andate a buon fine, é stata trattenuta in decisione nell’adunanza camerale del 9.1.2024.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente occorre rilevare che la morte di COGNOME in data 10.8.2022, dichiarata dal suo legale nella memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c., non determina l’interruzione del giudizio di cassazione.
L’evento segnalato è intervenuto nel corso del giudizio di legittimità a contraddittorio già instaurato e si è statuito (Cass. sez. lav. 29.1.2016 n. 1757; Cass. 9.7.1992 n. 8377) che ” al giudizio innanzi alla Corte di Cassazione, in considerazione della particolare
struttura e della disciplina del procedimento di legittimità, non è applicabile l’istituto dell’interruzione del processo, con la conseguenza che la morte di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio, non assume alcun rilievo, nè consente agli eredi di tale parte l’ingresso nel processo “. Non risulta inoltre che la rinuncia al ricorso dell’unico erede di COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME condizionata alla compensazione delle spese processuali, sia stata accettata dalle altre parti.
Sempre in via preliminare va disattesa l’istanza dei ricorrenti di ulteriore rinvio, questa volta finalizzata alla trattazione in un’unica udienza col procedimento n. 12427/2022 RG della Suprema Corte, che vede come ricorrente la RAGIONE_SOCIALE allo scopo di contrastare la costituzione di servitù coattiva sul tratto viario denominato INDIRIZZO a favore di alcuni proprietari di immobili confinanti, data la diversità del thema decidendum e la necessità di non procrastinare ulteriormente la definizione di questo giudizio, relativo all’accertamento di una servitù di pubblico transito, giudizio iniziato in primo grado nel 2013 e pendente davanti alla Suprema Corte dal 2019.
Col primo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 commi 6 e 7, nonché comma 2 prima parte e comma 3 lett. E ed F del D. Lgs. 30.4.1992 n.285, la falsa applicazione della norma identificativa delle strade vicinali, la violazione dell’art. 22 comma 3 in relazione agli articoli 51, 52, 53 e 54 della L.20.3.1865 n. 2248 allegato F, la violazione degli articoli 7 e 9 della L.12.2.1958 n. 126, la violazione degli articoli 2727 e 2729 cod. civ., nonché degli articoli 2697 comma 1° cod. civ. e 99 c.p.c..
Sostengono i ricorrenti che l’impugnata sentenza, pur partendo dalla condivisa individuazione dei tre requisiti occorrenti per riconoscere una via come vicinale (l’effettività del passaggio esercitato iure servitutis publica da una collettività di persone, la
concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di carattere generale e l’esistenza di un valido titolo che possa sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico), non abbia correttamente valutato le risultanze istruttorie (prove testimoniali, CTU, sopralluogo del giudice di primo grado), in quanto dalle norme sopra richiamate (art. 2 commi 6 e 7, nonché comma 2 prima parte e comma 3 lett. E ed F del D. Lgs. 30.4.1992 n.285, art. 22 comma 3 in relazione agli articoli 51, 52, 53 e 54 della L.20.3.1865 n. 2248 allegato F, l ed articoli 7 e 9 della L.12.2.1958 n.126) avrebbe dovuto ricavare la presunzione di uso collettivo e di demanialità del tratto privato di INDIRIZZO riconoscendo quindi allo stesso la natura di strada vicinale pubblica, soggetta al pubblico transito e quindi fruibile anche da parte dei ricorrenti.
Col secondo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione dell’art. 2 comma 3, lett. E ed F, comma 6 lett. D e comma 7 del D. Lgs. n. 285/1992 e del Decreto del Ministero Infrastrutture e Trasporti del 5.11.2001 prot. n. 6792 tabella 5.2.1 – strade locali, la violazione del “notorio” in tema di caratteristiche delle strade interne al Centro cittadino di Trieste, e la violazione delle norme in tema di indizi gravi, precisi e concordanti ai fini della prova dei fatti costitutivi della domanda principale.
Si dolgono i ricorrenti che l’impugnata sentenza abbia ritenuto il tratto privato di INDIRIZZO privo della concreta idoneità a soddisfare esigenze di carattere generale sulla base della CTU espletata, che ha evidenziato come esso sia privo di marciapiedi, o di zone riservate alla circolazione pedonale, privo di illuminazione, con una carreggiata di larghezza di poco superiore a tre metri che va poi a restringersi ulteriormente e conduce ad edifici scolastici, ai cui lati vi sono due scarpate prive di protezione, e quindi non idoneo ad un utilizzo pubblico indistinto e diuturno. Sottolineano i ricorrenti che per le strade locali non era richiesta dalla normativa
vigente una larghezza minima di tre metri, potendo esse avere anche un’unica carreggiata con una larghezza minima di m 2,75, e che si doveva tener conto del fatto notorio che tra le varie stradine di uso pubblico che si inerpicano nelle zone abitate della città di Trieste, adagiata sui primi rilievi carsici, vi sono anche stradine prive di marciapiedi e di larghezza limitata. Aggiungono i ricorrenti che l’impugnata sentenza non ha tenuto conto dell’approvazione da parte del Comune di Trieste del Piano Urbanistico Attuativo, che consentiva alla RAGIONE_SOCIALE di ampliare notevolmente l’edificio scolastico esistente sulla sua area privata, riconoscendo quindi l’idoneità della stessa a sostenere il passaggio dei veicoli diretti alla scuola.
I primi due motivi, esaminabili congiuntamente, in quanto inerenti entrambi all’asserita sussistenza dei presupposti occorrenti a qualificare il tratto privato di INDIRIZZO come strada vicinale pubblica (l’effettività del passaggio esercitato iure servitutis publicae da una collettività di persone, la concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di carattere generale e l’esistenza di un valido titolo che possa sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico), sono inammissibili, perché volti ad ottenere dalla Suprema Corte, giudice di legittimità, una diversa ricostruzione della fattispecie concreta come ricostruita dai giudici di merito, sulla base di una diversa valutazione delle risultanze istruttorie, che si pretenderebbe di ottenere ipotizzando la sussistenza di una presunzione di uso collettivo e di demanialità del tratto privato di INDIRIZZO solo perché posto all’interno di un centro urbano ed asseritamente costituente un collegamento tra la via INDIRIZZO e la INDIRIZZO indicata dai ricorrenti come pubblica, ma qualificata come privata dal Comune di Trieste, che mai ha riconosciuto il tratto viario in questione come strada vicinale pubblica.
In realtà gli articoli 7 e 9 della L. n. 126/1958, invocati a sostegno della vicinalità di tutte le strade poste all’interno del centro abitato, sono stati abrogati con l’entrata in vigore del D. Lgs. 30.4.1992 n. 285, che qualifica come strade locali le strade urbane opportunamente sistemate per la circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali che non fanno parte degli altri tipi di strade, e che solo ove presentino tali caratteristiche sono strade comunali in base alla previsione dell’art. 2 comma 7 del D. Lgs. n. 285/1992.
La Corte d’Appello di Trieste, ha indicato esaurientemente le diverse fonti del proprio convincimento, e contrariamente all’assunto dei ricorrenti ha posto in essere un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione, come tale incensurabile in questa sede, traendo da tale indagine conseguenze corrette sul piano giuridico; infatti i requisiti in base ai quali una strada può rientrare nella categoria delle vie vicinali pubbliche sono costituiti dal passaggio esercitato ” iure servitutis publicae ” da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad una comunità territoriale, dalla concreta idoneità della strada a soddisfare (anche per il collegamento con la pubblica via) esigenze di generale interesse, e da un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico (vedi in tal senso Cass. 5.7.2013 n. 16864; Cass. 13.2.1999 n.1205; Cass. 2.1.1998 n.10932).
L’impugnata sentenza, in conformità a questi principi, ha ritenuto quanto al primo requisito (passaggio esercitato ” iure servitutis publicae ” da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad una comunità territoriale) che gli originari attori, attuali ricorrenti, non ne abbiano fornito prova adeguata in ragione dell’insanabile contraddittorietà esistente tra le testimonianze raccolte, e del fatto che i testimoni addotti dagli attori non erano certo risultati maggiormente attendibili di quelli addotti dalla RAGIONE_SOCIALE, avendo già prima
dell’escussione sottoscritto dei moduli prestampati poi confermati in sede testimoniale, ed ha sottolineato come il Comune di Trieste non abbia mai affermato l’esistenza di un passaggio pubblico sul tratto viario in questione.
Quanto al secondo requisito (concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la pubblica via, esigenze di generale interesse) l’impugnata sentenza lo ha escluso sulla base della caratteristiche morfologiche del tratto in questione rilevate dal CTU, trattandosi di una strada priva di marciapiedi, o di zone riservate alla circolazione pedonale, priva di illuminazione, con una carreggiata di poco superiore ai tre metri ed in alcuni punti più ristretta, che conduce ad edifici scolastici, ai cui lati ci sono scarpate prive di protezione, in quanto tale inidonea anche per motivi di sicurezza ad un utilizzo pubblico indistinto e diuturno ed a sostenere un traffico superiore a quello dei soli dipendenti ed allievi della scuola ubicata nell’area privata della Scuola RAGIONE_SOCIALE, ritenuta interdetta alla circolazione di persone e mezzi estranei all’attività scolastica in base alla normativa sulla sicurezza dei luoghi di lavoro.
Quanto al terzo requisito (titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico), la sentenza impugnata, data la mancanza già dei primi due requisiti, non ha motivato specificamente, ma é pacifico che il tratto privato di INDIRIZZO sia di proprietà della RAGIONE_SOCIALE e non del Comune di Trieste, per cui in base agli articoli 822 e 823 cod. civ. non si tratta di un bene demaniale, e non risulta neppure allegato che vi sia stata una dicatio ad patriam dell’area privata al pubblico passaggio da parte della proprietaria, mentre come già rilevato, non é stato provato un uso pubblico continuato da parte di una collettività indiscriminata di persone.
Per giurisprudenza consolidata della Suprema Corte affinché un’area privata possa ritenersi assoggettata ad una servitù pubblica
di passaggio, del resto, è necessario, oltre all’intrinseca idoneità del bene, che l’uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico, generale interesse, per cui deve escludersi l’uso pubblico quando il passaggio venga esercitato soltanto dai proprietari di determinati fondi in dipendenza della particolare ubicazione degli stessi, o da coloro che abbiano occasione di accedere ad essi per esigenze connesse alla loro privata utilizzazione (Cass. 13.2.1999 n. 1205; Cass. 23.5.1995 n.5637; Cass. 29.4.1995 n. 4755).
Pertanto, è irrilevante anche la contestazione in ordine al collegamento del tratto in questione con la INDIRIZZO INDIRIZZO (é rimasta indimostrata la natura pubblica di INDIRIZZO sul lato opposto del tratto in questione), una volta esclusa la concreta idoneità a soddisfare pubbliche esigenze e l’uso di essa ad opera della collettività.
Quanto al dato della larghezza del tratto viario in questione, anche se é vero che per le strade locali può esserci anche un’unica carreggiata di larghezza minima di m 2,75, ciò che conta non é tanto la larghezza, quanto il fatto che sulla base degli elementi morfologici e dell’ubicazione, oltre che della proprietà privata e della destinazione al servizio di una scuola, esso sia stato ritenuto inidoneo a soddisfare esigenze di generale interesse e non dei soli proprietari di immobili confinanti.
Col terzo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione delle previsioni del Piano Regolatore, delle norme tecniche di attuazione, della convenzione stipulata dalla RAGIONE_SOCIALE col Comune di Trieste per l’ampliamento dell’edificio scolastico, della delibera del Consiglio Comunale di Trieste n. 64 del 28.7.2000, dell’atto del dirigente Area Pianificazioni del 24.10.2000 e dei permessi di costruire rilasciati dal Comune di Trieste alla RAGIONE_SOCIALE il 13.1.2011, prot. n. 4819, ed il 4.8.2009, prot. n. 128346,
contenenti la disciplina urbanistica e delle infrastrutture richieste per l’ampliamento della scuola privata di lingua inglese già esistente nell’area.
Tale motivo é inammissibile, giacché non si tratta di violazioni di legge, ma al più di mancata considerazione di atti amministrativi e convenzioni, che non sono stati invocati come fatti storici decisivi non considerati oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. per non incorrere nell’inammissibilità ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c., valevole nei casi, come quello in esame, di “doppia conforme”. In ogni caso da tali atti emerge, per ammissione dei ricorrenti, una destinazione delle vie di accesso agli edifici scolastici solo a servizio degli utenti e dei dipendenti della scuola, e non di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico interesse.
Col quarto motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la falsa applicazione delle norme di cui al D. Lgs. 9.4.2008 n.81, al D. Lgs. 3.8.2009 n. 106 ed all’art. 1 della L. 3.8.2007 n. 123 in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro, norme che l’impugnata sentenza, seguendo la CTU, ha ritenuto applicabili al comprensorio scolastico della RAGIONE_SOCIALE per desumerne una limitazione normativa alla circolazione stradale nelle adiacenze degli edifici scolastici.
Le norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro certamente si applicano anche agli edifici finalizzati all’istruzione, ma non esistono disposizioni di carattere generale che interdicano il transito nelle adiacenze degli edifici scolastici, ben potendo però gli istituti scolastici regolamentare autonomamente la circolazione degli utenti e lavoratori della scuola e dei genitori degli alunni all’interno dell’edificio scolastico e delle aree private di pertinenza dello stesso, anche se una regolamentazione di questo tipo non é stata invocata dalla RAGIONE_SOCIALE
Il motivo, comunque, non ha pregio, in quanto l’argomento della violazione della normativa in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro, é stato impiegato dall’impugnata sentenza, solo per rafforzare il già espresso giudizio di inidoneità del tratto viario in questione, ad essere adibito al pubblico transito, per le caratteristiche morfologiche emerse dall’espletata CTU.
Col quinto motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione dell’art. 2697 cod. civ., degli articoli 2727 e 2729 cod. civ. e degli articoli 115 e 116 c.p.c..
Si dolgono i ricorrenti del fatto che l’impugnata sentenza, a fronte della contraddittorietà delle testimonianze acquisite, non abbia considerato, quali elementi indiziari decisivi ai fini del riconoscimento dell’uso pubblico del tratto viario in questione, la conformazione dello stesso, costituente la prosecuzione naturale dalla via INDIRIZZO alla INDIRIZZO, il provvedimento n.600 del 1967 del Consiglio Comunale di Trieste che aveva denominato INDIRIZZO il tratto viario finale che in origine era unitariamente denominato INDIRIZZO, mantenendone la continuità fisica e funzionale, la dichiarazione della Scuola del Castelletto RAGIONE_SOCIALE del 10.4.2012 rivolta agli attori COGNOME e COGNOME, con la quale si avvisavano i predetti che dal 21.4.2012 il cancello di accesso del comprensorio scolastico dalla INDIRIZZO sarebbe rimasto chiuso, e la perizia del geometra COGNOME del 21.10.2002, dalla quale era emerso che le parti resistenti del giudizio in cui la stessa era stata espletata usavano normalmente il tratto viario di accesso alla scuola privata del Castelletto percorrendolo con autovetture, che venivano sullo stesso parcheggiate.
Aggiungono i ricorrenti che trascurando tali elementi indiziari, e ritenendo che la RAGIONE_SOCIALE abbia dimostrato attraverso i propri testimoni inattendibili l’inesistenza del pubblico transito sul tratto viario in questione, la Corte d’Appello di Trieste
abbia violato l’onere della prova dell’art. 2697 cod. civ., nonché gli articoli 115 e 116 c.p.c..
Il motivo é inammissibile, in quanto la violazione dell’art. 2697 cod. civ. è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma primo n. 3) c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. sez. Lav. 25.6.2020 n.12634; Cass. n. 13395/2018; Cass. 17.1.2017 n. 922; Cass. n.15107/2013), mentre nella specie i ricorrenti invocano una nuova valutazione del materiale istruttorio al fine di addivenire ad una diversa ricostruzione dei fatti, che evidentemente esula dai poteri di questa Corte, giudice di legittimità.
Va detto poi che in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma primo, n. 5) c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012 (tra le altre Cass. n.23940/2017), mentre nella specie i ricorrenti non hanno invocato tale vizio per non incorrere nell’inammissibilità ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c., valevole nei casi, come quello in esame, di “doppia conforme”.
In ogni caso l’impugnata sentenza non ha ritenuto più attendibili le testimonianze offerte dalla Scuola del Castelletto
RAGIONE_SOCIALE, ma semplicemente per l’esito irrimediabilmente contraddittorio delle prove testimoniali, ed anche sulla base degli esiti della CTU espletata, ha ritenuto non assolto dagli attori l’onere di provare che il tratto viario privato denominato INDIRIZZO fosse stato destinato al pubblico transito.
Col sesto motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia sul loro motivo d) di appello, relativo alle loro domande di accertamento degli impedimenti frapposti dalla RAGIONE_SOCIALE al libero godimento della servitù pubblica di passaggio sul tratto viario privato denominato INDIRIZZO e di nullità o annullamento dei contratti di locazione dei posti auto esistenti in prossimità di tale tratto viario, conclusi con la Scuola RAGIONE_SOCIALE da COGNOME NOME e NOME, in quanto fondati sul presupposto non veritiero che non sussistesse un pubblico passaggio sull’area.
Tale motivo é infondato, in quanto l’impugnata sentenza ha indicato quelle domande, attraverso il riferimento ad ” ogni altra questione “, come assorbite, perché ha negato che sia stata fornita dagli appellanti, attuali ricorrenti, la prova della sussistenza del passaggio sul tratto viario privato denominato INDIRIZZO da parte di una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad una comunità territoriale, sicché é venuto meno il presupposto sia della frapposizione di un ostacolo illecito da parte della RAGIONE_SOCIALE. all’esercizio di un’inesistente servitù pubblica di passaggio, sia delle domande di nullità, o annullamento dei contratti di locazione dei posti auto esistenti in prossimità di tale tratto viario conclusi con la RAGIONE_SOCIALE da COGNOME NOME e NOME
La reiezione del ricorso in una causa essenzialmente decisa sulla base del mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante sugli originari attori, e non per la palese infondatezza delle richieste
dagli stessi avanzate, non giustifica la loro condanna al risarcimento danni ex art. 96 comma 3° c.p.c., invocata dalla RAGIONE_SOCIALE
I ricorrenti vanno condannati in solido al pagamento in favore della RAGIONE_SOCIALE e del Comune di Trieste delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, in base al principio della soccombenza, mentre nulla va disposto per gli intimati.
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1 -quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico dei ricorrenti, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, sezione seconda civile, respinge il ricorso.
Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, che liquida per la RAGIONE_SOCIALE in € 200,00 per spese ed € 3.000,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%, e per il Comune di Trieste in €200,00 per spese vive ed € 3.000,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%.
Visto l’art. 13 comma 1 -quater D.P.R. n. 115/2002 dà atto che sussistono i presupposti per imporre un ulteriore contributo unificato a carico dei ricorrenti in solido, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 9.1.2024
Il Presidente NOME COGNOME