LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Status di apolide: natura dichiarativa e cittadinanza

Una donna si vede negare la cittadinanza perché il suo status di apolide è stato riconosciuto solo in sede giudiziale. La Cassazione interviene, affermando che il riconoscimento dello status di apolide ha sempre natura dichiarativa, non costitutiva, e che i suoi effetti retroagiscono al momento in cui si sono verificati i presupposti. La Corte ha quindi cassato la sentenza d’appello, rigettando però le richieste di risarcimento danni.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 14 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Status di apolide: la Cassazione conferma la natura dichiarativa

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 22991/2024 offre un chiarimento fondamentale sulla qualificazione giuridica dello status di apolide, stabilendo che il suo riconoscimento ha sempre natura dichiarativa e non costitutiva. Questa decisione ha implicazioni significative per la richiesta di cittadinanza italiana da parte di chi si trova in questa condizione, risolvendo un’importante questione di diritto.

I Fatti di Causa

La vicenda riguarda una donna, ex cittadina russa e nata in una regione oggi appartenente all’Uzbekistan, residente in Italia dal 1990. Per anni, la donna ha cercato di ottenere il riconoscimento formale del suo status di apolide. Aveva presentato una prima domanda all’amministrazione nel 2006, senza mai ricevere risposta. Successivamente, ha reiterato la richiesta nel 2016 e nel 2018, ma anche in questi casi non ha ottenuto alcun provvedimento, tanto da revocare l’ultima istanza nel 2021.

Stanca di attendere, ha avviato un’azione legale. Il Tribunale di primo grado ha accolto la sua domanda, accertando il suo stato di apolidia, ma ha respinto le richieste accessorie di cittadinanza e di risarcimento dei danni.

La Corte d’Appello, tuttavia, ha ribaltato la decisione. Secondo i giudici di secondo grado, il riconoscimento dello status di apolide avrebbe natura dichiarativa solo se i presupposti fossero emersi chiaramente già in sede amministrativa. Poiché nel caso di specie l’accertamento era avvenuto per la prima volta in tribunale, la sentenza doveva essere considerata costitutiva. Di conseguenza, il periodo di cinque anni di residenza legale necessario per richiedere la cittadinanza sarebbe dovuto decorrere solo dalla data della sentenza giudiziale, e non da quando la donna aveva effettivamente perso la cittadinanza di origine. Anche le richieste di risarcimento sono state respinte.

Il ricorso in Cassazione

Contro questa decisione, la donna ha proposto ricorso in Cassazione, basandolo su quattro motivi. Il fulcro del ricorso era la contestazione della natura costitutiva attribuita dalla Corte d’Appello al riconoscimento giudiziale dello status di apolide. Inoltre, lamentava il mancato risarcimento del danno per lesione del legittimo affidamento e per il ritardo dell’Amministrazione nel definire il procedimento.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il primo motivo di ricorso, ritenendolo fondato, e ha assorbito il secondo, mentre ha rigettato i motivi relativi al risarcimento del danno.

La natura sempre dichiarativa dello status di apolide

Il punto centrale della decisione è un’affermazione di principio di grande importanza: il riconoscimento dello status di apolide ha sempre natura dichiarativa. La Corte ha spiegato che lo stato di apolidia è una condizione di fatto, ovvero l’assenza di cittadinanza presso qualsiasi Stato. Il provvedimento, sia esso amministrativo (la ‘certificazione’ del Ministero) o giudiziale (la sentenza del tribunale), non ‘crea’ lo status, ma si limita ad ‘accertarlo’ e ‘dichiararlo’.

La Cassazione ha smontato la distinzione operata dalla Corte d’Appello, chiarendo che non rileva dove e come emergano le prove. Che i presupposti siano evidenti fin dall’inizio in sede amministrativa o che vengano provati solo nel corso di un giudizio, la natura dell’accertamento non cambia: è e resta dichiarativa. Questo significa che i suoi effetti giuridici retroagiscono al momento in cui la persona ha effettivamente perso la cittadinanza, e non dalla data del provvedimento che lo riconosce. La Corte ha richiamato la propria giurisprudenza consolidata in materia di status, come quello di rifugiato politico, che presenta la medesima natura.

L’infondatezza delle domande di risarcimento

La Corte ha invece confermato il rigetto delle domande di risarcimento. Per quanto riguarda la lesione del legittimo affidamento, i giudici hanno ritenuto che non vi fossero elementi sufficienti per sostenere che l’Amministrazione avesse ingenerato nella ricorrente una ragionevole convinzione di aver ottenuto il riconoscimento. La semplice menzione dello status su una carta d’identità (rilasciata dal Comune, non dal Ministero competente) o su un permesso di soggiorno (che peraltro faceva riferimento allo status di rifugiato) non costituisce un comportamento idoneo a creare un affidamento tutelabile.

Anche la domanda di risarcimento per il ritardo procedimentale è stata respinta. La Corte ha sottolineato che, per ottenere un risarcimento, non basta il semplice superamento dei termini; è necessario dimostrare la negligenza dell’Amministrazione. Nel caso di specie, era emerso che l’Amministrazione aveva interloquito con la ricorrente, richiedendo ulteriore documentazione a causa della complessità degli accertamenti. La mancata produzione in giudizio di tali documenti ha impedito di valutare se il ritardo fosse effettivamente imputabile a colpa dell’ente.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza della Corte d’Appello con rinvio. Il nuovo giudice dovrà riesaminare la questione attenendosi al principio di diritto secondo cui il riconoscimento dello status di apolide ha natura meramente dichiarativa. Questa decisione avrà un impatto diretto sul diritto della ricorrente a richiedere la cittadinanza italiana, poiché il quinquennio di residenza legale dovrà essere calcolato a ritroso, a partire dal momento in cui si sono realizzati i presupposti dello stato di apolidia, e non dalla data del futuro riconoscimento formale.

Il riconoscimento dello status di apolide ha natura dichiarativa o costitutiva?
Secondo la Corte di Cassazione, il riconoscimento dello status di apolide ha sempre e solo natura dichiarativa. L’atto, sia esso amministrativo o giudiziale, si limita ad accertare una condizione di fatto già esistente, senza crearne una nuova.

Da quando decorre il periodo di residenza necessario a un apolide per chiedere la cittadinanza italiana?
Poiché il riconoscimento ha natura dichiarativa, i suoi effetti retroagiscono. Di conseguenza, il periodo di residenza legale richiesto dalla legge (cinque anni per l’apolide) deve essere calcolato a partire dal momento in cui i presupposti dello stato di apolidia si sono effettivamente verificati, e non dalla data del provvedimento che lo accerta.

Il silenzio o indicazioni generiche su documenti possono creare un legittimo affidamento risarcibile da parte della Pubblica Amministrazione?
No. La Corte ha stabilito che, per configurare una lesione del legittimo affidamento, è necessario un comportamento specifico e concludente dell’Amministrazione competente che ingeneri nel cittadino una ragionevole convinzione. La mera inerzia o indicazioni non univoche su documenti rilasciati da amministrazioni diverse non sono sufficienti a tal fine.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati