Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1771 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 1771 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 21339-2020 proposto da:
NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME DI NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME INDELICATO NOME LA NOME COGNOMENOME LA NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME
Oggetto
RISARCIMENTO PUBBLICO IMPIEGO
R.G.N.21339/2020
COGNOME
Rep.
Ud.21/11/2024
CC
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COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOMEin qualità di erede di NOME COGNOME NOMECOGNOME, NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME, tutti domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
COMUNE DI CATANIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1267/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 19/12/2019 R.G.N. 493/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO
che, con sentenza del 19 dicembre 2019, la Corte d’Appello di Catania, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Catania, rigettava la domanda proposta da NOME COGNOME ed altri nei
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confronti del Comune di Catania avente ad oggetto la declaratoria dell’illegittimità della reiterazione superiore a trentasei mesi dei contratti a termine di durata annuale poi seguiti senza soluzione di continuità da ulteriori contratti annuali prorogati sino al 31.7.2013 in virtù dei quali gli istanti, tutti appartenenti al bacino degli LSU, avevano, per oltre dieci anni, prestato servizio presso il Comune di Catania, ivi svolgendo attività istituzionali in violazione, quindi, della normativa nazionale e comunitaria e, in via principale, la conseguente conversione a tempo indeterminato del rapporto ed il risarcimento del danno ex art. 32 l. n. 183/2010 o, in subordine il solo risarcimento del danno nella misura di venti mensilità;
che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto illegittima la reiterazione dei contratti, trattandosi di contratti solo formalmente connotati da una funzione di politica sociale, espressione di un intervento assistenziale della Regione Sicilia a tutela degli LSU ma in sostanza aventi le caratteristiche di un ordinario rapporto di lavoro subordinato in difetto di alcun programma specifico di inserimento, formazione o riqualificazione, derivandone, in base alla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (cfr. CGUE, sez. VI, 15.3.2012, n. 1578, COGNOME) l’applicabilità dell’Accordo Quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, ma non dovuta né la conversione del rapporto stante la natura pubblica dell’Ente datore né il risarcimento del danno, per essere stati tutti gli istanti, ad eccezione di NOME COGNOME che aveva optato per la fuoriuscita dal bacino degli LSU ex art. 3, comma 19, l. Regione Sicilia, n. 27/2016, stabilizzati ed assunti a tempo indeterminato, rappresentando questa, in base alla giurisprudenza di questa Corte, misura risarcitoria adeguata in difetto di deduzione di danni ulteriori e diversi;
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che per la cassazione di tale decisione ricorrono il COGNOME ed altri 65 degli originari istanti, affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, il Comune di Catania; che entrambe le parti hanno poi presentato memoria;
CONSIDERATO
che, con il primo motivo, i ricorrenti, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 36, comma 5, d.lgs. n. 165/2001 e 32, comma 5, l. n. 183/2010 in una con l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, lamentano la non conformità a diritto della pronunzia della Corte territoriale di rigetto della domanda di risarcimento del c.d. ‘danno comunitario’ per non essere nella specie la disposta stabilizzazione dei ricorrenti misura risarcitoria compiutamente satisfattiva considerato anche il mancato riconoscimento dell’anzianità pregressa e della relativa progressione di carriera;
che, con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 36, comma 5, d.lgs. n. 165/2001 e 32, comma 5, l. n. 183/2010 in relazione alle leggi della Regione Sicilia n. 85/1995 e n. 27/2016 in una con l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, i ricorrenti imputano alla Corte territoriale ancora l’inidoneità risarcitoria della stabilizzazione sotto il diverso profilo dell’essere stata questa disposta dalla Regione Sicilia, datore di lavoro formale e non dal Comune di Catania mero utilizzatore della prestazione lavorativa;
che, con il terzo motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione degli artt. 414, 416, 421, 437 c.p.c., 2697 c.c. e 111 Cost., imputa alla Corte territoriale l’ error in procedendo dato dal ricorso ai propri poteri istruttori d’ufficio nell’ammettere la documentazione tardivamente prodotta dal Comune di Catania ad attestazione dell’avvenuta stabilizzazione, trattandosi, per quanto asserito al motivo che
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precede, di documentazione inidonea ai fini del rigetto della domanda proposta dai ricorrenti e non verificata quanto ai soggetti procedenti ed ai contenuti;
che appare preliminarmente opportuno precisare, in relazione al rilievo sollevato dai ricorrenti con la memoria ex art. 380-bis c.p.c., per il quale nell’ipotesi di abusiva successione dei contratti a termine l’avvenuta immissione in ruolo del lavoratore già impiegato a tempo determinato ha efficacia riparatoria dell’illecito nelle sole ipotesi di stretta correlazione tra l’abuso commesso dall’amministrazione e la stabilizzazione ottenuta dal dipendente, come tale rilievo non valga, come sembra prospettare, a qualificare, specificandole sul piano tecnico-giuridico, le censure già formulate con i motivi di ricorso, ma proponga una autonoma e pertanto nuova ragione di censura del pronunciamento della Corte territoriale, da ritenersi, come tale, inammissibile;
che, venendo all’esame dei motivi di ricorso, è a dirsi come il primo motivo si riveli inammissibile in quanto teso a fondare il rilievo circa l’inidoneità risarcitoria della disposta stabilizzazione su profili, quali l’efficacia ex nunc dell’assunzione e la, conseguente mancata ricostruzione della carriera dei ricorrenti, introdotti solo in questa fase del processo e comunque irrilevanti in quanto possibile oggetto di azioni future;
che, di contro, infondato, risulta il secondo motivo, rilevando, ai fini dell’idoneità riparatoria della stabilizzazione, che, al di là della titolarità formale dell’iniziativa, l’assunzione sia avvenuta presso il soggetto cui deve farsi risalire l’illecit o per aver fruito della prestazione lavorativa resa dagli interessati sulla base dei contratti illegittimamente posti in essere;
che parimenti infondato deve ritenersi il terzo motivo, atteso che, per quanto sopra detto circa la riferibilità della stabilizzazione al Comune di Catania, il ricorso ai poteri
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istruttori di ufficio si rivela certamente ammissibile, considerata anche la circostanza dell’intervenuta ammissione della stabilizzazione da parte degli stessi odierni ricorrenti, fermo che, argomentando a contrario dall’orientamento accolto da questa Corte (cfr. Cass. n. 21355/2022) per cui la stabilizzazione non può essere eccepita in sede di legittimità, potendo, quindi, tale eccezione essere sollevata nel corso del giudizio di merito, l’eccezione e la documentazione probante vanno considerate nella specie ammissibili essendo la stabilizzazione intervenuta nel corso del giudizio di appello per essere stata disposta con provvedimento dirigenziale n. 03/900 del 31.12.2018 (v. pagina 10 del controricorso, circostanza incontroversa);
che il ricorso va, dunque, rigettato;
che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 12.000,00 per compensi oltre spese generali al 15 % ed altri accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 21.11.2024