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Stabilizzazione e risarcimento: quando è escluso?

Una lavoratrice, dopo una serie di contratti a termine ritenuti abusivi, otteneva la stabilizzazione. Nonostante ciò, chiedeva un risarcimento per il danno subito. La Corte di Cassazione ha dichiarato il suo ricorso inammissibile, confermando la decisione della Corte d’Appello. Il punto centrale è che non è stato dimostrato un nesso di causalità tra la precedente reiterazione illegittima dei contratti e la successiva assunzione a tempo indeterminato. Mancando questa prova, la stabilizzazione non può essere considerata una misura riparatoria che dà diritto a un ulteriore risarcimento per il cosiddetto ‘danno comunitario’.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Stabilizzazione e Risarcimento: L’Assunzione Sana l’Abuso di Precariato?

La questione della stabilizzazione e risarcimento per i lavoratori precari è un tema centrale nel diritto del lavoro. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti su quando l’assunzione a tempo indeterminato possa considerarsi una misura satisfattiva, escludendo ulteriori richieste di risarcimento per l’abuso di contratti a termine. Analizziamo insieme questo caso complesso per capire le implicazioni pratiche.

Il Percorso Giudiziario: Dal Tribunale alla Cassazione

La vicenda riguarda una lavoratrice assunta da un’Azienda Sanitaria con una serie di contratti a tempo determinato. Il Tribunale di primo grado aveva dichiarato la nullità dei termini apposti ai contratti, condannando l’azienda a un risarcimento del danno pari a sette mensilità.

La Corte d’Appello, tuttavia, aveva ribaltato la decisione. Poiché la lavoratrice era stata nel frattempo ‘stabilizzata’ con un contratto a tempo indeterminato, i giudici di secondo grado avevano ritenuto che questa assunzione esaurisse ogni pretesa risarcitoria.

La questione era già arrivata una prima volta in Cassazione, che aveva annullato la sentenza d’appello, sottolineando un punto cruciale: la Corte territoriale non aveva verificato se la stabilizzazione fosse una diretta conseguenza e una sanzione per la pregressa illegittima reiterazione dei contratti a termine. Il caso era stato quindi rinviato nuovamente alla Corte d’Appello, che aveva però rigettato ancora una volta il ricorso della lavoratrice. Contro quest’ultima decisione, la dipendente ha proposto un nuovo ricorso in Cassazione.

Le Ragioni del Ricorso e la questione sulla Stabilizzazione e Risarcimento

La lavoratrice ha basato il suo ricorso su due motivi principali, entrambi focalizzati su presunti vizi di motivazione della sentenza impugnata:

1. Mancanza di correlazione tra la norma applicata e il caso concreto: La ricorrente sosteneva che la Corte d’Appello avesse erroneamente fondato la sua decisione su una norma (l’art. 24 del D.Lgs. 81/2015) che non era quella in base alla quale era stata effettivamente stabilizzata (l’art. 20 del D.Lgs. 75/2017). A suo dire, mancava quindi un nesso di causa-effetto tra la norma usata per ‘sanare’ l’abuso e la sua assunzione.
2. Contraddittorietà della motivazione: La lavoratrice lamentava una contraddizione nel ragionamento dei giudici, i quali da un lato sembravano ammettere l’illegittimità della reiterazione dei contratti, ma dall’altro ipotizzavano una possibile decadenza dall’impugnazione, nonostante su quel punto si fosse già formato un giudicato favorevole.

Le Motivazioni della Cassazione: Inammissibilità e Carenza di Prova

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo motivazioni dettagliate per ciascuno dei motivi sollevati. Per quanto riguarda il primo punto, la Corte ha specificato che la censura della lavoratrice, pur essendo presentata come un vizio di motivazione (error in procedendo), nascondeva in realtà una critica sulla corretta interpretazione e applicazione della legge. Gli Ermellini hanno chiarito che il compito della Cassazione non è riesaminare i fatti, ma controllare la corretta applicazione del diritto.

Inoltre, la Corte ha evidenziato una carenza probatoria fondamentale da parte della ricorrente. La stessa lavoratrice aveva prodotto un documento (il n. 15) dal quale emergeva che il suo punteggio per il profilo professionale per cui era stata stabilizzata era nettamente inferiore a quello di chi era stato assunto. Questo elemento, secondo la Corte, indeboliva fortemente la tesi secondo cui la sua stabilizzazione fosse una misura riparatoria per l’abuso subito. In altre parole, non era stato provato il nesso causale tra la condotta illecita del datore di lavoro e la successiva assunzione a tempo indeterminato.

Anche il secondo motivo è stato giudicato inammissibile, sia come conseguenza dell’inammissibilità del primo, sia per un vizio formale: la ricorrente non aveva trascritto nel suo ricorso il contenuto delle decisioni di primo e secondo grado, impedendo alla Corte di Cassazione di valutare pienamente la presunta contraddittorietà.

Conclusioni: Stabilizzazione e Risarcimento, Quali Implicazioni?

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di stabilizzazione e risarcimento: l’assunzione a tempo indeterminato non costituisce automaticamente una sanatoria per l’illegittimo ricorso a contratti a termine. Affinché la stabilizzazione possa escludere il diritto al risarcimento del cosiddetto ‘danno comunitario’, è necessario che essa sia una misura specificamente volta a rimediare a quella precisa illegittimità.

Spetta al lavoratore che agisce in giudizio fornire la prova del nesso causale tra l’abuso e l’assunzione. Se, come nel caso di specie, emergono elementi che suggeriscono che la stabilizzazione sia avvenuta per altre vie (ad esempio, tramite una graduatoria in cui il lavoratore non aveva un punteggio elevato), la pretesa risarcitoria aggiuntiva può essere rigettata. Infine, la decisione sottolinea ancora una volta l’importanza del rispetto dei requisiti formali nella redazione dei ricorsi per Cassazione, la cui mancanza può portare a una declaratoria di inammissibilità, precludendo l’esame nel merito della questione.

La stabilizzazione di un lavoratore precario esclude sempre il diritto al risarcimento per l’abuso di contratti a termine?
No. Secondo la Corte, la stabilizzazione esclude ulteriori pretese risarcitorie solo se viene dimostrato che essa costituisce una misura riparatoria direttamente collegata alla pregressa illegittima reiterazione dei contratti a tempo determinato. Se questo nesso di causalità manca, il diritto al risarcimento può ancora sussistere.

Perché il ricorso della lavoratrice è stato dichiarato inammissibile in questo caso?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile per due ragioni principali. In primo luogo, la critica mossa dalla lavoratrice, presentata come un difetto di motivazione, era in realtà una contestazione sull’applicazione della legge, che non rientra nei poteri di riesame della Cassazione. In secondo luogo, la lavoratrice non ha fornito la prova che la sua stabilizzazione fosse una diretta conseguenza dell’abuso subito. Infine, il ricorso presentava vizi formali, come la mancata trascrizione delle precedenti sentenze.

Cosa si intende per ‘danno comunitario’ in questo contesto?
Il ‘danno comunitario’ è un tipo di risarcimento che deriva dalla violazione di normative dell’Unione Europea. Nel diritto del lavoro, si riferisce spesso al danno subito da un lavoratore a causa dell’uso abusivo di contratti a tempo determinato da parte del datore di lavoro, in violazione delle direttive europee che mirano a prevenire il precariato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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