Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11783 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11783 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9882/2022 R.G. proposto da:
NOME COGNOME domiciliata in Roma presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avv. NOME COGNOME;
-resistente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO di BOLOGNA n. 732/2021 depositata il 7 ottobre 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di appello di Bologna, con la sentenza n. 942/18, ha accolto l’appello proposto dalla Azienda Unità Sanitaria Locale della Romagna avverso la decisione con cui il Tribunale di Rimini aveva dichiarato la nullità dei termini apposti ai contratti di lavoro stipulati dalla Azienda con COGNOME NOME e aveva condannato la stessa datrice di lavoro al risarcimento del danno subito quantificato ex art. 32, comma 5, legge n. 183 del 2010, in una somma pari a sette mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
La corte territoriale, accogliendo il ricorso dell’azienda, valutata l’intervenuta stabilizzazione della dipendente, ha ritenuto che questa esaurisse ogni pretesa risarcitoria in quanto interamente satisfattiva del bene primario richiesto e dell’azione esercitata e, quindi, ha giudicato non sussistente alcun abuso nella reiterazione dei contratti a termine.
La lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
La Corte di cassazione, con ordinanza n. 962/21, ha cassato la sentenza impugnata nella parte ove aveva escluso la risarcibilità del c.d. danno comunitario senza accertare in concreto se la ‘stabilizzazione’ della ricorrente fosse stata determinata proprio dalla pregressa illegittima reiterazione di contratti a tempo determinato.
La Corte d’appello di Bologna, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 732/2021, ha rigettato il ricorso.
La ricorrente ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
L’AUSL Romagna si è difesa con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente lamenta l ‘ error in procedendo in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. per mancanza di motivazione stante l’assenza di correlazione tra il caso deciso e la norma di legge tenuta a base della pronuncia.
Rileva che la Corte d’appello di Bologna avrebbe fondato la sua pronuncia su una norma di legge che controparte non aveva utilizzato per disporre la sua assunzione in pianta stabile, ossia l’art. 24 del d.lgs. n. 81 del 2015, quando, al contrario, detta assunzione avrebbe avuto luogo in forza dell’art. 20, comma 1, d.lgs. n. 75 del 2017, disposizione che non sarebbe stata pensata per stabilizzare il personale assunto in violazione della legislazione sui contratti a termine, ma per superare il precariato in generale.
Sarebbe mancato, allora, ogni rapporto di causa effetto fra la norma impiegata per sanare l’abusiva reiterazione dei contratti a termine e la sua assunzione a tempo indeterminato.
La sentenza sarebbe stata priva di motivazione in quanto non avrebbe detto nulla in ordine alla rilevanza, nella specie, dell’art. 20, comma 1, d.lgs. n. 75 del 2017.
La censura è inammissibile, in quanto la ricorrente contesta formalmente l’assenza di motivazione della sentenza impugnata, ma, nella sostanza, lamenta l’erronea sussunzione di una fattispecie nell’ambito di applicazione della corretta norma giuridica.
Peraltro, il riferimento all’art. 24 del d.lgs. n. 81 del 2015 non è stato compiuto espressamente dalla corte territoriale, ma è semplicemente presente nella determina in parte riportata a pagina 2 della decisione gravata.
La ricorrente, comunque, nulla ha dedotto in ordine alla valenza riconosciuta, al documento 15 da lei prodotto, dal giudice di appello
che in tale prova ha trovato conferma della circostanza che il punteggio assoluto della lavoratrice per il profilo di ‘aiuto cuoco di ristorante’ fosse ben inferiore a quello assunto nella graduatoria utile alla sua stabilizzazione, il che rende ancora più evidente l’inammissibilità della doglianza.
Inoltre, deve evidenziarsi che la decisione contestata , nell’esporre le ragioni del convincimento dei giudici di appello, è conforme, nella sostanza, ai criteri indicati dalla giurisprudenza consolidata in materia (Cass., Sez. 6-L, n. 35735 del 6 dicembre 2022).
Con il secondo motivo la ricorrente contesta sempre la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. per motivazione mancante perché viziata da proposizione tra loro inconciliabili in quanto la corte territoriale si sarebbe contraddetta affermando sia l’illegittimità della reiterazione dei contratti a termin e sia la possibilità che fosse ancora da valutare l’eventuale decadenza della lavoratrice dall’impugnazione nonostante, sul punto, si fosse formato un giudicato favorevole alla medesima ricorrente.
La censura è inammissibile, alla luce della dichiarazione di inammissibilità del primo motivo e del fatto che la ricorrente non riporta nel ricorso il contenuto della decisione di primo grado e di quella di appello.
3) Il ricorso è dichiarato inammissibile.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 , si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
La Corte,
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida in € 3.000,00 per compenso e in € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%;
-ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione