Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31507 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31507 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/12/2024
Oggetto: Impiego pubblico -revoca anticipata incarico dirigenziale -spoil system -mancato rinnovo -risarcimento del danno – conformazione principio di diritto
Dott.
NOME COGNOME
Presidente
–
Dott. NOME COGNOME
Consigliere rel. –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8393/2019 R.G. proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME con diritto di ricevere le comunicazioni all’indirizzo pec dei Registri;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE e DEL MERITO, in persona del Ministro pro tempore , UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER LA BASILICATA, in persona del legale rappresentante pro tempore , tutti rappresentati e
difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domiciliano ope legis , in ROMA, ALLA INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 247/2018 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il 14/12/2018 R.G.N. 28/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1. Con due distinti ricorsi (del 2007 e del 2009), riuniti in sede di giudizio di primo grado, NOME COGNOME aveva chiesto: -disporsi il rinnovo dell’incarico dirigenziale di II fascia cessato il 4 dicembre 2006 ex D.L. n. 262/2006 in relazione alla già disposta proroga scadente nell’aprile del 2008 senza soluzione di continuità rispetto alla cessazione del 4 dicembre 2006, con condanna del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (oggi Ministero dell’Istruzione e del Merito) alle differenze economiche maturate dal 4 dicembre 2006 fino alla effettiva riammissione in servizio; -dichiararsi l’illegittimità della revoca anticipata del 4 dicembre 2006 per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 161/2008 con condanna del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca al pagamento delle differenze economiche ed al risarcimento del danno.
Con sentenza in data 3 maggio 2012 la Corte d’appello di Potenza riformava la pronuncia del locale Tribunale -che aveva parzialmente accolto il ricorso dell’COGNOME e condannato il Ministero dell’Istruzione a «reintegrare economicamente e giuridicamente il ricorrente nell’incarico dirigenziale dal 4/12/2006 al 30/4/2008, con pagamento delle differenze retributive maturate con interessi dal dicembre 2006 al saldo -e respingeva anche tale domanda risarcitoria.
In particolare, la Corte territoriale, premesso che l’incarico dirigenziale conferito all’COGNOME nel gennaio 2003 e rinnovato per un ulteriore triennio dal marzo 2006 all’aprile 2008, era cessato
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anticipatamente il 4 dicembre 2006, ai sensi dall’art. 2, comma 161 del d.l. n. 262 del 2006, convertito con modificazioni dalla legge n. 286 del 2006, riteneva che non potesse spiegare effetti la dichiarazione di incostituzionalità della norma di legge, perché il ricorrente non aveva reagito alla risoluzione del rapporto (che quindi era cessato per una sorta di mutuo consenso ex art. 1372 cod. civ.) ed aveva inizialmente adito l’autorità giudiziaria solo per contestare l’avvenuto conferimento ad altri dell’incarico che egli aveva ricoperto.
Il giudice d’appello escludeva anche la fondatezza della domanda proposta avverso il mancato rinnovo, perché nella specie non potevano essere invocati i principi applicabili nell’ipotesi di revoca dell’incarico, in quanto il legislatore aveva previsto una cessazione automatica, finalizzata alla riduzione del numero complessivo degli incarichi stessi.
Pronunciando sul ricorso per cassazione dell’COGNOME, questa Corte, con ordinanza n. 26695/2017, cassava la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Potenza in diversa composizione per un nuovo esame di entrambe le domande di risarcimento del danno formulate dall’COGNOME, da svolgersi sulla base dei principi di diritto richiamati ai punti da 4 a 5.2 della pronuncia.
Riassunto il giudizio, la Corte d’appello di Potenza accoglieva l’appello principale del Ministero e respingeva quello incidentale dell’COGNOME; per l’effetto rigettava le domande azionate con i ricorsi riuniti in primo grado.
La Corte territoriale riteneva che la domanda di risarcimento del danno correlato alla illegittimità della revoca anticipata del 4 dicembre 2006 non potesse essere accolta in quanto la naturale scadenza del contratto di lavoro era fissata al 30 aprile 2008 e, quindi, prima della pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale che aveva ritenuto illegittimo lo spoil system .
Evidenziava che il Tribunale aveva accolto il ricorso dell’COGNOME solo quanto alle differenze retributive per il periodo 4/12/2006 al
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30/4/2008 e respinto la domanda di rinnovo dell’incarico rispetto alla cui statuizione non era stato proposto appello incidentale, quest’ultimo limitato, ad avviso della Corte territoriale, alla sola domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
L’Amministrazione ha resistito con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione del principio di diritto -travisamento -violazione e falsa applicazione di legge art. 1218 cod. civ. in relazione all’art. 384, comma 1, cod. proc. civ.
Assume che la sentenza impugnata ha ancorato il principio di diritto espresso da questa Corte nella pronuncia rescindente -punti 4 e 4.1 -alla pubblicazione della sentenza dichiarativa della illegittimità costituzionale.
Sostiene che nel principio di diritto la responsabilità è stata collegata alla presunzione che si ricava dalla pubblicazione della sentenza in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico fondativo della responsabilità.
Assume che detto elemento psicologico non si può escludere anche per il periodo precedente per il quale manca solo la presunzione ma ben può farsi applicazione delle regole ordinarie.
Rileva che, nello specifico, l’Amministrazione quando ha revocato l’incarico all’COGNOME era consapevole dell’esistenza di altre norme di contenuto analogo già dichiarate costituzionalmente illegittime ed in ciò si è concretizzata la violazione dei principi di buona fede e correttezza.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione del principio di diritto -travisamento – violazione e falsa applicazione di
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legge -artt. 1218, 1175, 1375 cod. civ., art. 19 d.lgs. n. 165/2001 in relazione all’art. 384, comma 1, cod. proc. civ.
Censura la sentenza impugnata per aver del tutto pretermesso l’affermazione in diritto della Corte di legittimità secondo la quale la previsione contenuta nell’art. 2, comma 161, del d.l. n. 262/2006 conv. con modific. dalla legge n. 286/2006 di necessaria riduzione del numero complessivo degli incarichi non legittima scelte assolutamente discrezionali della P.A.
Evidenzia che circostanze non contestate dall’Amministrazione (in primo, in secondo grado e nella fase di rinvio) erano che l’COGNOME era il più titolato tra i possibili aspiranti e che l’Amministrazione aveva omesso ogni procedura comparativa in violazione delle norme di correttezza e buona fede e del principio di terzietà, indipendenza e trasparenza dell’attività amministrativa. Inoltre, il pregiudizio era di chiara rilevabilità corrispondendo, in termini economici, alle differenze retributive, previdenziali e pensionistiche (circostanze, anche queste, puntualmente dedotte e reiterate anche in sede di appello, non contestate né in primo né in secondo grado e nemmeno in fase di rinvio) e, in termini di danno morale, alla falsa rappresentazione che della vicenda si era avuta nel contesto lavorativo e sociale (essendo l’COGNOME apparso non degno di riconferma pur a fronte dei titoli posseduti prevalenti rispetto a quelli degli altri dirigenti confermati).
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia travisamento, pretestuosità manifesta, violazione dei principi di diritto dichiarati e dati e dei necessari presupposti logico -giuridici ritenuti dalla S.C. – violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
Censura la sentenza impugnata per aver travolto, con il rigetto dell’azionata domanda, la pronuncia di primo grado che aveva riconosciuto il risarcimento connesso alla mancata riconferma.
Rileva che, come si evince anche delle conclusioni di cui alla comparsa di costituzione del Ministero, le domande azionate erano state
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due: l’una attinente al risarcimento del danno per illegittimità della cessazione anticipata dell’incarico, l’altra relativa all’illegittima attribuzione ad altri dell’incarico dirigenziale.
Sono fondati il secondo e, in parte qua , il terzo motivo di ricorso per le ragioni di seguito illustrate, mentre è infondato il primo motivo.
Tutte le doglianze ruotano intorno all’erronea applicazione dei principi di diritto enunciati da questa Corte nella ordinanza rescindente.
Occorre perciò partire da quest’ultima.
Questa Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’COGNOME che aveva impugnato la sentenza della Corte d’appello nella parte in cui aveva respinto (anche) la domanda risarcitoria come accolta dal Tribunale in relazione al periodo dal periodo 4/12/2006 al 30/4/2008.
6.1. Quanto alla domanda risarcitoria collegata alla revoca anticipata per effetto della norma sullo spoil system ha evidenziato espressamente che ‘con il ricorso del 5.4.2007 l’COGNOME, nel chiedere la riconferma nell’incarico ‘senza soluzione di continuità con il precedente’, aveva dedotto che l’art. 41 della legge n. 262 del 2006 doveva essere interpretato alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 103 del 2007, contestando, in tal modo, la automaticità della cessazione’ (punto 2.2.) ed inoltre che ‘l’avere agito per contestare la mancata attribuzione di un nuovo incarico e per denunciare la ingiustificata preferenza accordata ad altri, di per sé non è idonea a manifestare una non equivoca volontà di prestare adesione alla cessazione del precedente incarico dirigenziale, perché non vi è alcuna incompatibilità logica e giuridica fra le due domande, attesa la duplicità delle situazioni giuridiche coinvolte dall’attuazione del cosiddetto spoil system e delle conseguenti azioni esperibili nei confronti dell’amministrazione’ (punto 3.).
Ha quindi affermato che ‘si impone una nuova valutazione da parte del giudice di appello, il quale dovrà attenersi all’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui l’efficacia retroattiva delle
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sentenze dichiarative dell’illegittimità costituzionale di una norma, se comporta che tali pronunzie abbiano effetto anche in ordine ai rapporti svoltisi precedentemente (eccettuati quelli definiti con sentenza passata in giudicato e le situazioni comunque definitivamente esaurite) non vale a far ritenere illecito il comportamento realizzato, anteriormente alla sentenza di incostituzionalità, conformemente alla norma successivamente dichiarata illegittima, non potendo detto comportamento ritenersi caratterizzato da dolo o colpa, con la conseguenza che il diritto al risarcimento del danno può essere fatto valere non dalla cessazione del rapporto bensì per il solo periodo successivo alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale, a condizione che a detta data non fosse già decorso anche il termine finale originariamente previsto nel contratto conferimento dell’incarico (Cass. 7.7.2016 n. 13869; Cass. 18.2.2016 n. 3210; Cass. 7.10.2015 n. 20100)’.
Ha pertanto rimesso al giudice del rinvio la valutazione della sussistenza delle condizioni necessarie affinché l’amministrazione potesse conformare la propria condotta alla pronuncia della Corte costituzionale e, quindi, potesse sussistere un rapporto ancora in essere e un periodo residuo dell’incarico originario (ciò sulla base della sequenza temporale: data della pronuncia di illegittimità costituzionale della norma in forza della quale è stata disposta la cessazione dell’incarico; termine finale dell’incarico; momento della risoluzione del rapporto per volontaria iniziativa del ricorrente) (punto 4.1).
6.2. Quanto alla domanda di risarcimento fondata sulla illegittima attribuzione ad altri dell’incarico in precedenza ricoperto dall’COGNOME, dopo aver evidenziato che l’COGNOME aveva esercitato, oltre all’azione risarcitoria direttamente collegata alla revoca anticipata, anche quella relativa al mancato conferimento di un nuovo incarico (‘come si desume con chiarezza dal contenuto delle conclusioni dei due ricorsi proposti, riportate nella esposizione dei fatti oggetto di causa’) e stigmatizzato
che non vi è alcuna incompatibilità logica e giuridica fra le due domande, attesa la duplicità delle situazioni giuridiche coinvolte dall’attuazione del cosiddetto spoil system e delle conseguenti azioni esperibili nei confronti dell’amministrazione, ha affermato che avesse ‘errato la Corte territoriale nel ritenere che la previsione contenuta nell’art. 2, comma 161, del d.l. 3.10.2006 n. 262, convertito con modificazioni dalla legge n. 286 del 2006, di necessaria riduzione del numero complessivo degli incarichi nella misura del 10% per i dirigenti di prima fascia e del 5% per quelli della seconda, rendesse inapplicabili i principi che regolano il rinnovo degli incarichi, con la conseguenza di legittimare scelte assolutamente discrezionali della pubblica amministrazione, non sindacabili dal giudice ordinario’, evidenziando che ‘opera anche in detta ipotesi il principio ripetutamente affermato da questa Corte secondo cui le disposizioni contenute nell’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001 obbligano l’amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri di massima indicati, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost. (Cass. 20.6.2016 n. 12678 che richiama in motivazione Cass. SSUU, nn. 21671/2013; 10370/1998; Cass., nn. 7495/2015, 13867/2014; 21700/2013; 18836/2013; 21088/2010; 18857/2010; 20979/2009; 5025/2009; 28274/2008; 9814/2008; 4275/2007; 14624/2007; 23760/2004, 20979/ 2009)’ ed ancora che ‘gli artt. 1175 e 1375 cod. civ. obbligano la P.A. a valutazioni anche comparative, all’adozione di adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle scelte, sicché, ove l’amministrazione non abbia fornito nessun elemento circa i criteri e le motivazioni seguiti nella scelta dei dirigenti ritenuti maggiormente idonei agli incarichi da conferire, è configurabile inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre danno risarcibile (Cass. 7495/2015, 21700/2013, 9814/2008,
21088/2010) che, peraltro, deve essere allegato e provato dalla parte che agisce in giudizio’ (punto 5.2).
Tali indicazioni segnavano i limiti entro i quali avrebbe dovuto muoversi il giudizio di rinvio, esprimendo una regola di giudizio vincolante, ai sensi dell’art. 384, comma secondo, cod. proc. civ., nel testo -applicabile alla specie ratione temporis -modificato dall’art. 12, comma 1, d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, a mente del quale il giudice di rinvio « deve uniformarsi al principio di diritto e comunque a quanto statuito dalla Corte », in tal modo acquisendo quella statuizione, quale regola di giudizio del caso concreto, forza equiparabile a giudicato interno sulla medesima questione.
È all’enunciato della pronuncia rescindente che il giudice di rinvio deve uniformarsi, anche qualora, nel corso del processo, siano intervenuti mutamenti della giurisprudenza di legittimità, sicché anche la Corte di cassazione, nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza pronunziata dal giudice di merito, deve giudicare sulla base del principio di diritto precedentemente affermato, senza possibilità di modificarlo, neppure sulla base di un nuovo orientamento giurisprudenziale della stessa Corte (cfr. ex multis Cass. 15 novembre 2017, n. 27155).
Come è noto, tale efficacia è destinata a recedere solo di fronte ad un eventuale intervento della Corte costituzionale o al sopraggiungere di modificazioni normative (v. Cass. 24/10/2017, n. 25153; 02/08/2012, n. 13873) e non può nemmeno essere invocata a fronte di una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea che dichiari l’incompatibilità di una norma interna con i Trattati UE o con norme di diritto comunitario derivato (Cass. 25 maggio 2023, n. 14624; Cass. 26 agosto 2022, n. 25414; Cass. 12 settembre 2014, n. 19301; Cass. 9 ottobre 1998, n. 10035).
Per il resto il principio di diritto enunciato resta vincolante e non può essere rimesso in discussione in sede di ulteriore giudizio di legittimità avverso la pronuncia che ha statuito in sede di rinvio.
Orbene, a fronte della sopra indicata devoluzione, la Corte territoriale, dopo aver ribadito, quanto alla domanda risarcitoria correlata alla illegittima revoca anticipata del 4 dicembre 2006 che, per il periodo anteriore alla pronuncia di illegittimità costituzionale, la stessa non poteva essere accolta (in ciò riprendendo l’argomentazione di questa Corte di legittimità che ha sottolineato la doverosità dell’attuazione del dictum legislativo), ha evidenziato che non vi era alcun periodo residuo successivo a tale pronuncia da considerare ai fini risarcitori in quanto la scadenza naturate del contratto (aprile 2008) era anteriore alla pronuncia di incostituzionalità (maggio 2008).
8.1. Si è così attenuta al principio di diritto in base al quale non vi è spazio per la risarcibilità di danni che trovano titolo diretto ed immediato nella revoca anticipata dell’incarico per effetto del c.d. spoil system ove la fattispecie sia già esaurita anteriormente alla pronuncia di illegittimità costituzionale; la risarcibilità dei danni presuppone una colpa dell’Amministrazione e tale colpa non è ravvisabile nel comportamento costituito dalla revoca dell’incarico operato dall’Amministrazione che abbia conformato il proprio comportamento ad una legge solo successivamente dichiarata incostituzionale (principio, come detto, affermato dalla ordinanza rescindente sulla base di un orientamento conforme della Corte di legittimità: v. Cass. 20100/2015 -richiamata a pag. 5 di detta ordinanza -che ha così testualmente affermato: ‘Ma nel caso in esame, come ammesso dalla stessa ricorrente, la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 3 co. 7° legge n. 145/02 è intervenuta quando ormai era decorso anche il termine finale dell’incarico originariamente previsto per la data del 26.2.06, incarico che -dunque -non poteva rivivere. In breve, se il termine finale dell’incarico era ormai decorso alla data di dichiarazione di illegittimità
costituzionale, in nessun caso l’amministrazione avrebbe potuto incorrere in colpa nel non ripristinarlo perché -appunto -oramai già scaduto ed essendo il posto già da altri coperto. E l’assenza di colpa o comunque di causa imputabile all’amministrazione preclude, ex art. 1218 cod. civ., la configurabilità di quel danno risarcibile su cui erroneamente insiste anche in memoria l’odierna ricorrente’).
8.2. Il ricorrente, in sede di legittimità, in realtà mira (con il primo motivo) a mettere in discussione l’affermato principio di diritto ed a sostenere che anche prima della pronuncia di illegittimità costituzionale (e dunque con riguardo al periodo 4/12/2006 al 30/4/2008) vi sia spazio per una valutazione del comportamento contrario ai principi di buona fede e correttezza.
Ma la pronuncia rescindente ha escluso ogni antigiuridicità: l’Amministrazione doveva attenersi alla previsione di legge.
Non rilevava, dunque, che leggi precedenti analoghe fossero state dichiarate incostituzionali.
8.3. Per quanto già sopra evidenziato, neppure rilevano, a fronte della statuizione di questa Corte in sede rescindente, i principi affermati dalla Corte costituzionale nella recente decisione n. 15 del 2024 secondo cui il giudice ordinario è tenuto ad interrogarsi adeguatamente sul significato normativo del diritto UE (che discende dal principio dell’eguaglianza degli Stati membri davanti ai Trattati – art. 4 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea -ed esclude la possibilità di fare prevalere, contro l’ordine giuridico dell’Unione, una misura unilaterale di uno Stato membro – Corte di giustizia, sentenza 22 febbraio 2022, in causa C-430/21 RS) -.
Nello specifico, infatti, il principio di diritto affermato nella ordinanza rescindente è basato su una pronuncia di illegittimità costituzionale (Corte cost. n. 161 del 2008) di una norma ( l’art. 2, comma 161, del d.l. n. 262/2006 conv. con modific. dalla legge n.
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286/2006) fondata sulla violazione del diritto interno, e così degli artt. 97 e 98 Cost.
Del pari erano state ritenute violative del (solo) diritto interno le analoghe disposizioni dichiarate incostituzionali prima della pronuncia del 2008 che qui specificamene rileva.
8.4. Non vi sono, dunque, ragioni per poter rivedere il principio già affermato in sede rescindente quanto alla impossibilità di far ritenere illecito il comportamento realizzato, anteriormente alla sentenza di incostituzionalità, conformemente alla norma successivamente dichiarata illegittima, non potendo detto comportamento ritenersi caratterizzato da dolo o colpa, con la conseguenza che il diritto al risarcimento del danno può essere fatto valere non dalla cessazione del rapporto bensì per il solo periodo successivo alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale.
Viceversa la Corte territoriale non si è attenuta al principio di diritto enunciato in ordine alla ulteriore questione oggetto di causa e cioè quella relativa alle conseguenze per il mancato rinnovo dell’incarico.
9.1. Sul punto la Corte territoriale ha del tutto pretermesso quanto posto in rilievo nella pronuncia rescindente circa il fatto che, a fronte del mancato conferimento di un nuovo incarico, può essere fatto valere un interesse legittimo di diritto privato, che, se ingiustamente mortificato, se pure non legittima il dirigente a richiedere l’attribuzione dell’incarico non conferito, può essere posto a fondamento della domanda di ristoro dei pregiudizi subiti.
9.2. Ed allora l’impossibilità di configurare un diritto del lavoratore al rinnovo dell’incarico (questione, come evidenziato dalla Corte territoriale, non oggetto di specifica censura da parte dell’COGNOME in sede di appello incidentale) non precludeva certo l’esame della relativa domanda risarcitoria (che la stessa Corte territoriale afferma essere stata riproposta in sede di appello incidentale) da esaminare alla luce dell’affermato obbligo per l’amministrazione datrice di lavoro del rispetto
dei criteri di massima indicati nell’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.
Da tanto consegue che vanno accolti il secondo ed il terzo motivo di ricorso nei termini sopra evidenziati e va rigettato il primo.
La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio per un nuovo esame alla Corte d’appello di Bari, che possibilmente terrà conto anche della data di inizio del presente giudizio.
La Corte designata provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Non sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e, in parte qua , il terzo motivo di ricorso e rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità alla Corte d’appello di Bari.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione