Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5054 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1   Num. 5054  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 38684/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata  in INDIRIZZO,  presso  lo studio dell’avvocato  COGNOME NOME  (CODICE_FISCALE) rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
 contro
RAGIONE_SOCIALE,  elettivamente  domiciliata  in  INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME AVV_NOTAIO
(CODICE_FISCALE)  che  lo  rappresenta  e  difende  unitamente  all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso  la  SENTENZA  della  CORTE  D’APPELLO  di  MILANO  n.  4090/2019 depositata il 10/10/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso, in sei motivi, contro la sentenza della corte d’appello di Milano pubblicata il 10-10-2019 che, in parziale accoglimento del gravame della medesima contro Intesa Sanpaolo RAGIONE_SOCIALE.p.a., relativamente a un rapporto di conto corrente con apertura di credito in essere dal 9-9-1992: (a) ha dichiarato prescritte le domande restitutorie limitatamente ai versamenti anteriori al 10-1-1996, (b) ha dichiarato illegittima l’applicazione della clausola n. 7 del con tratto di conto, relativa alla capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, sino al 30-6-2000, (c) ha rideterminato il saldo passivo del conto, alla data del 30-9-2008, in 17.759,87 EUR e ha disposto la corrispondente rettifica, (d) ha compensato le spese dei due gradi di giudizio in ragione di 1/10, ponendo il residuo a carico della società attrice.
La banca ha replicato con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
I. -Col primo motivo la ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 2935, 2946 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ. per essere la corte d’appello incorsa in una contraddittorietà intrinseca del ragionamento, visto che una volta accertata l ‘esistenza originaria di un’apertura di credito in conto corrente non si sarebbe potuto sostenere
che tutte le rimesse compiute dall’inizio del rapporto al 10 -1-1996, data d’interruzione del decorso della prescrizione, avessero avuto carattere solutorio anziché ripristinatorio, così da essere infine prescritte.
Col secondo motivo deduce poi la violazione o falsa applicazione degli artt. 2935, 2946, 1418 e 1422 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ., perché in ogni caso, seguendosi il ragionamento della corte d’appello, la nullità della clausola anatocistica trimestrale operata dalla banca fino all’adeguamento della delibera del Cicr del 9-2-2000, avrebbe prodotto saldi debitori alterati. Invero la corte territoriale avrebbe errato nel determinare l’ammontare del fido in correlazione coi saldi derivanti dagli estratti conto, sebbene inficiati da appostazioni derivanti dall’applicazione delle norme sulla capitalizzazione composta trimestrale.
Col  terzo  mezzo  la  ricorrente  denunzia  la  violazione  o  falsa applicazione dell’art. 1283 cod. civ. e dell’art. 7 della delibera del Cicr del  9-2-2000,  essendo  stata  ritenuta  legittima  la  capitalizzazione trimestrale degli  interessi  passivi  per  il  periodo  successivo  alla  citata delibera.
Col quarto aggiunge la censura di violazione o falsa applicazione degli art. 1421 cod. civ. e 345 cod. proc. civ. a proposito dell’assunto della sentenza secondo cui la domanda relativa alla illegittimità della commissione di massimo scoperto (c.m.s.) si sarebbe dovuta considerare inammissibile perché nuova; quando invece, ancorché proposta per la prima volta in appello, la questione della illegittimità della c.m.s. avrebbe dovuto essere considerata d’ufficio in correlazione con la rilevazione officiosa della nullità del modulo contrattuale che la conteneva.
Col  quinto  mezzo  la  ricorrente  lamenta  la  violazione  o  falsa applicazione degli artt. 3 e 41 cost., 1423 cod. civ., 117 T.u.b., 1418 cod. civ. e 127 T.u.b. per avere la sentenza trascurato di considerare che la banca aveva applicato dall’inizio del rapporto e fino al 12 -5-2004
costi in difetto di espressa pattuizione, cosa ancora una volta determinativa di una nullità rilevabile d’ufficio.
Infine, col sesto motivo si duole della violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. in ordine alla regolazione delle spese processuali, che sarebbero state poste a carico della parte comunque vittoriosa, seppure parzialmente.
II. -Il primo motivo è inammissibile, perché  muove  dal presupposto che la corte d’appello abbia considerato prescritt e tutte le poste  corrispondenti  alle  rimesse  confluite  in  conto  prima  del  10-11996.
Questo  assunto  non  trova  riscontro  nella  sentenza  e  si  palese assertivo.
La sentenza ha fatto applicazione del noto orientamento di questa Core secondo il quale l’azione di ripetizione di indebito proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo a un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale tuttavia decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati, e invece dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati ove i singoli versamenti abbiano avuto funzione solutoria, così da configurare veri e propri pagamenti (cfr. Cass. Sez. U n. 24418-10).
Dopodiché  ha  distinto,  avendo  riguardo  alle  emergenze  della c.t.u.,  le  rimesse  con  funzione  solutoria  da  quelle  con  funzione ripristinatoria.
Non risulta affatto che così facendo essa abbia operato in modo indiscriminato, come invece la ricorrente sostiene.
III. – Il secondo motivo è egualmente inammissibile in quanto si risolve in una generica censura di fatto.
Dalla sentenza in vero non emerge che, per discernere le rimesse solutorie da quelle ripristinatorie, la corte d’appello -e ancor prima la c.t.u. -abbia operato determinando l’ammontare del fido in correlazione coi saldi derivanti dai meri estratti conto, senza epurare le appostazioni derivanti dall’applicazione della capitalizzazione trimestrale.
IV. – Il terzo motivo è infondato.
Costituisce affermazione pacifica che, dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 425 del 2000, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 76 cost., l’art. 25, comma terzo, del d.lgs. n. n. 342 del 1999, le clausole anatocistiche stipulate prima della nota delibera del Cicr del 9-2-2000 sono nulle perché stipulate in violazione dell’art. 1283 cod. civ. e basate su un uso negoziale anziché su un uso normativo (Cass. Sez. U n. 21095-04 e successive conf.).
In  questo  caso  il  giudice,  dichiarata  la  nullità  della  predetta clausola per contrasto con il divieto di anatocismo, deve calcolare gli interessi a debito del correntista senza operare alcuna capitalizzazione (v. Cass. Sez. 1 n. 17150-16, Cass. Sez. 1 n. 24153-17, Cass. Sez. 1 n. 24156-17).
Ciò non toglie però che per il periodo successivo alla delibera sopra citata  possa  (e  debba)  trovare  applicazione  la  regola  di  eguale periodicità stabilita dalla ripetuta delibera del Cicr in attuazione dell’art. 120  del  T.u.b.  (testo  pro  tempore),  alla  condizione  che  vi  sia  stato l’adeguamento dei contratti anteriormente stipulati alle previsioni della delibera stessa entro il 30-6-2000, senza peggioramento delle pattuizioni precedentemente applicate.
La  corte  d’appello  ha  affermato  che  questa  circostanza  si  era verificata, e ciò costituisce esito di un accertamento di fatto.
Pertanto,  a  partire  da  tale  adeguamento  era  (ed  è)  divenuta legittima la capitalizzazione trimestrale, proprio perché contraddistinta da eguale periodicità a credito e a debito.
La  critica  della  ricorrente  è  incentrata  sul  rilievo  che  le  nuove condizioni  applicate  dalla  banca  si  sarebbero  dovute  considerare
peggiorative  se  riferite  (come  la  ricorrente  assume  dovuto)  alla mancanza  totale  di  capitalizzazione  come  esito  della  nullità  della clausola originaria.
Ma  si  tratta  di  affermazione,  da  un  lato,  non  giustificata  dal precedente di questa Corte richiamato in ricorso (Cass. Sez.1 n. 2677919), che è volto a confutare un argomento finalizzato a sovvertire la soluzione degli effetti della nullità della clausola per il periodo anteriore alla delibera del Cicr, e dall’altro comunque infondata.
La  condizione  prevista  dalla  delibera  Cicr  quale  limite  della possibilità della banca di operare un valido adeguamento  delle condizioni contrattuali alle disposizioni della delibera attuativa del T.u.b. è incentrata sul fatto  che ‘ le  nuove  condizioni  contrattuali  non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate ‘.
Ciò implica una valutazione relazionale tra le nuove e le vecchie condizioni  del  contratto,  non  anche  invece -come  capziosamente pretende la ricorrente -tra le nuove condizioni e quelle anteriori epurate da ogni forma di capitalizzazione.
A  seguire  la  tesi  della  ricorrente,  la  stessa  previsione  di  una possibilità  di  adeguamento  sarebbe  priva  di  senso  logico,  visto  che, rispetto  a  un  effetto  di  nullità  del  tipo  di  quello  sopra  considerato (incentrato sul correttivo del calcolo degli interessi a debito senza alcuna capitalizzazione) mai si potrebbe discorrere di prassi anatocistica non peggiorativa.
V. – Il quarto motivo è inammissibile.
La ricorrente non contesta di aver prospettato la questione della illegittimità della c.m.s. solo in appello. Sostiene però che la questione avrebbe dovuto essere esaminata a petto della rilevazione d’ufficio della nullità dell’afferente clausola contrattuale.
L’affermazione è come le altre puramente assertiva, visto che non risultano in alcun modo dedotti gli elementi di fatto da cui inferire -ancorché d’ufficio la nullità della clausola negoziale.
VI. -Il  quinto  motivo  è  egualmente  inammissibile  perché totalmente generico a fronte di quanto precisato in sentenza.
La corte d’appello ha dato atto che l’impugnan te aveva chiesto accertarsi  la  nullità  dei  diversi  rapporti  regolati  in  conto,  per  la mancanza di valide pattuizioni.
Ma  ha  affermato  che  il  fondamento  della  domanda  era  stato contrastato  dalle  produzioni  documentali  della  banca  stessa,  non disconosciute e idonee a ritenere il contrario.
Si tratta di una valutazione della prova, come tale di pieno merito e insindacabile in cassazione.
VII. – Il sesto motivo è fondato.
La sorte delle spese processuali è stata regolata secondo globalità, previa compensazione parziale (in ragione di 1/10).
La quota residua è stata posta però a carico della parte che ha visto accogliere la sua domanda, sebbene in minima parte.
Ciò costituisce violazione del l’art. 91 cod. proc. civ.
Risulta infatti che la banca aveva resistito alla pretesa sostenendo la  legittimità in  toto del  proprio  operato,  quando  invece,  sebbene  in parte,  la  pretesa dell’attrice di  rideterminazione  del  saldo  di  conto  è risultata giustificata.
L’unitarietà del criterio sotteso all’art. 91 cod. proc. civ. comporta che,  in  relazione  all’esito  finale  della  lite,  il  giudice  sia  tenuto  a provvedere sulle spese secondo il principio di soccombenza.
Questo  principio, per quanto  applicato all’esito globale del giudizio, non consente mai di porre le spese a carico della parte che sia comunque risultata parzialmente vincitrice.
In base al principio di causalità la parte soccombente è quella che, azionando una pretesa accertata come infondata o resistendo  (come nella specie) a una pretesa comunque fondata, seppure in parte, abbia dato causa al processo o alla sua protrazione.
La  circostanza  quindi che  l’attrice  abbia  visto  accogliere  le  sue domande solo in minima parte può giustificare la compensazione (anche integrale) delle spese del giudizio di merito, non la sua condanna.
Ne segue che la sentenza va cassata nel capo concernente la sorte delle spese processuali e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può sul punto provvedere direttamente questa stessa Corte, compensando le  dette  spese  per  l’esistenza  di  validi  motivi  integrati (appunto) dalla notevolissima differenza tra la pretesa ritenuta fondata e quella invece posta a base dell’azione.
Anche  le  spese  del  giudizio  di  cassazione  possono,  per  la medesima ragione, essere compensate.
p.q.m.
La  Corte  accoglie  il  sesto  motivo  di  ricorso,  rigetta  il  terzo  e dichiara  inammissibili  tutti  gli  altri,  cassa  la  sentenza  in  relazione  al motivo accolto e decidendo nel merito compensa le spese di primo e di secondo grado; compensa le spese del giudizio di cassazione.
Deciso  in  Roma,  nella  camera  di  consiglio  della  Prima  sezione