Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8182 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8182 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 26/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23915/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 6185/2019 depositata il 19/12/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.Con sentenza n.8443/2012 il Tribunale di Napoli accoglieva la domanda proposta da NOMECOGNOME e NOME, NOME ed NOME
COGNOME nei confronti del RAGIONE_SOCIALE con citazione del 9 -11 -2005 e accertava come dovuti agli attori: a) l’importo di €184.210,80 oltre interessi legali dal 23 -5 -2001 a titolo di indennità residua di espropriazione (detratto l’importo già corrisposto di €172.789,20) disposta con decreto del 23 -5 -2001 per l’area di mq.6.800; b) l’importo di €2.640,82, oltre interessi legali dal 23 -5 -2001, a titolo di indennità di occupazione legittima dell’area di mq. 6.800 dal 31 -3 -2001 al 23 -5 -2001; c) l’importo di €182.187,29 a titolo di indennità di occupazione dell’area di mq.20.801 dal 31 -3 -1987 al 26 -7 -1994, oltre interessi decorrenti da ciascun anno di occupazione al soddisfo; d) l’importo di €593.915,01, oltre interessi legali dal 23 -5 -2001, a titolo indennitario per il deprezzamento subito dalle aree residue di proprietà delle attrici.
2. Con sentenza n.6185/2019, pubblicata il 19 -12 -2019, la Corte d’appello di Napoli, in parziale riforma della citata sentenza n.8443/2012 del Tribunale di Napoli, ha accolto l’appello di RAGIONE_SOCIALE per quanto di ragione e per l’effetto: a) ha determinato in €446.201,50 la complessiva indennità di esproprio, sia per la perdita della proprietà, sia per la diminuzione del valore della proprietà residua, ordinando il deposito delle somme presso il M.E.F., previa detrazione di quanto eventualmente già versato, oltre interessi compensativi sulla maggiore somma riconosciuta rispetto alla stima effettuata in via amministrativa dal giorno dell’espropriazione alla data del deposito; b) ha dichiarato nulla la sentenza appellata nella parte in cui aveva condannato il RAGIONE_SOCIALE a corrispondere agli istanti la somma di €182.187,29 a titolo di indennità di occupazione dell’area di mq.20.801 dal 31 -3 -1987 al 26 -7 -1994, oltre interessi decorrenti da ciascun anno di occupazione al soddisfo; c) ha condannato gli appellati alla rifusione in favore dell’appellante dei 2/3 delle spese di lite del doppio grado, compensando il residuo terzo. La Corte d’appello ha
ritenuto che la quantificazione dell’indennità di espropriazione dovesse effettuarsi in base al criterio speciale di cui alla l.n.219/1981, risultando corretta la quantificazione effettuata dal C.T.U. secondo tale criterio in €202.035,50, e che il medesimo criterio dovesse adottarsi anche per la quantificazione del deprezzamento dell’area residua, non essendo condivisibile il calcolo del C.T.U. (che aveva sottratto dal valore di mercato della zona VAI residua ante esproprio il valore agricolo residuo dello stesso), poiché, secondo la giurisprudenza di questa Corte richiamata (Cass. 18220/2018), in ipotesi di espropriazione parziale era dovuta un’unica indennità e pertanto il valore della parte non espropriata ante esproprio doveva determinarsi sulla base del criterio ex l. 219/1981 e poi sottrarre da tale valore quello, agricolo, post esproprio. La Corte di merito, inoltre, osservava che le parti espropriate non avevano chiesto, rassegnando le conclusioni come da citazione relativa al giudizio di primo grado, il pagamento dell’indennità di occupazione dell’area di mq.20.802, restituita nel 1994, relativa al periodo dal 31 -3 -1987 al 26 -7 -1994, sicché era nulla la corrispondente statuizione di condanna del Tribunale.
3.Avverso questa sentenza NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME hanno proposto ricorso per Cassazione, affidato a cinque motivi, resistito con controricorso dal RAGIONE_SOCIALE
4.Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ.. Le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I ricorrenti denunciano: i ) con il primo motivo la ‘ violazione e falsa applicazione all’art. 360, primo comma, n.3 cod. proc. civ. in connessione con l’art.39 l.n.2359/1865 e con le disposizioni di cui
all’art.42 Cost. e art.1 CEDU così come interpretate da Corte Cost.348/2007 ‘, per avere la Corte di Appello, richiamando la pronuncia di questa Corte n.14465/2014, ritenuto la legittimità costituzionale delle disposizioni indennitarie di cui agli artt.82 e ss. L.n.219/1981, addivenendo alla dimidiazione dell’indennità di espropriazione riconosciuta dal Tribunale di Napoli, mentre in base ad una più corretta lettura della pronuncia della Corte Cost. 348/2007 citata occorreva procedere ad una valutazione dei fondi siti all’esterno del perimetro urbano di Napoli tale da costituire un serio ristoro e da rendere irragionevole la disposta dimidiazione; ii) con il secondo motivo la ‘ violazione e falsa applicazione all’art. 360, primo comma, n.4 cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione degli artt.39/40 l.n.2359/1865 in connessione con gli artt.342 e 112 cod. proc. civ.’ , per avere la Corte di Appello operato la dimidiazione dell’indennizzo riconosciuto per il deprezzamento della porzione residua dei fondi degli odierni ricorrenti, affermando di accogliere il terzo motivo di appello del RAGIONE_SOCIALE, il cui contenuto assume essere stato travisato, non avendo detta parte censurato la sentenza del Tribunale sotto tale profilo, nonché rilevando che la questione era stata sollevata ex officio dal Giudice d’appello in applicazione del criterio dell’unitarietà dell’indennizzo, che si assume ininfluente nella specie; ad avviso dei ricorrenti viene in rilievo la questione di legittimità costituzionale prospettata con il primo motivo, ed inoltre la disciplina ex l.n.219/1981, in quanto avente carattere eccezionale, era insuscettibile di applicazione estensiva; iii) con il terzo motivo, proposto in via subordinata, per l’ipotesi di non accoglimento del secondo, la ‘violazione e falsa applicazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n.4 cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione degli artt.39/40 l. n.2359/1865 in connessione con gli artt.342 e 112 cod. proc. civ. -difetto assoluto di motivazione e contrasto con precedente capo della sentenza’ , per avere la Corte
di Appello proceduto alla dimidiazione dei danni da indennizzare alla proprietà residua ultra petita e travisando le disposizioni di legge indicate in rubrica, in particolare disattendendo le risultanze della duplice C.T.U. senza motivazione ed effettuando il taglio del 50% sul valore ante esproprio della zona VAI a ridotta vocazione edificatoria, in violazione del principio dell’unicità di determinazione dell’indennizzo (pag.41 ricorso), poiché la dimidiazione avrebbe dovuto, se del caso, operarsi sul calcolo residuale per differenza tra i due valori pieni (valore area VAI ante esproprio -valore agricolo residuo della stessa area post esproprio); iv) con il quarto motivo la ‘violazione dell’art. 360, primo comma, n.4 cod. proc. civ. in connessione con gli artt. 183 e 112 cod. proc. civ.’ , per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto non formulata nelle conclusioni di primo grado la domanda di pagamento dell’indennità legittima relativamente alle porzioni del fondo oggetto di occupazione d’urgenza nel periodo 1987/1994, successivamente restituite, per una superficie di mq. 20.688; rilevano i ricorrenti di aver invece formulato detta domanda nella prima memoria autorizzata in data 7 -5 -2008 di precisazione delle conclusioni ex art. 184 cod. proc. civ., che trascrivono in ricorso (pag.43) nella parte di interesse, e sostengono che detta domanda non poteva ritenersi nuova, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, che peraltro neppure aveva pronunciato sulla novità del suddetto petitum , e ciò in violazione dei principi statuiti dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n.12310/2015 e in violazione del principio di unitarietà della procedura espropriativa; v) con il quinto motivo la ‘violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. – travisamento della realtà processuale’, per avere la Corte d’appello posto a carico degli odierni ricorrenti, parti appellate, i 2/3 delle spese di entrambi i gradi, compensando il residuo terzo, con decisione che si assume abnorme, dal momento che la domanda degli odierni ricorrenti era stata in ogni caso ritenuta
parzialmente fondata (cita Cass. S.U.1572/2018), ed in particolare era rimasta confermata la condanna del RAGIONE_SOCIALE al valore principale dell’indennità di esproprio, quella al pagamento dell’indennizzo per danno al residuo (mai conteggiato dall’espropriante in corso di procedura) e quella al pagamento dell’indennità di occupazione legittima di cui sub a) (area di mq. 6.00 occupata ed espropriata con decreto prefettizio del 23/5/2001).
Il primo motivo è infondato.
2.1. Secondo l’orientamento delle Sezioni Unite di questa Corte che il Collegio condivide, non offrendo le deduzioni difensive dei ricorrenti argomenti idonei a giustificare un mutamento di indirizzo, ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio e di occupazione di immobili siti nella Regione Campania ed occupati per la realizzazione del programma di adeguamento del sistema di trasporto intermodale delle aree oggetto del fenomeno del bradisismo, continua ad applicarsi il criterio stabilito dall’art. 13 della legge 15 gennaio 1885, n. 2892, siccome richiamato dall’art. 80 della legge 14 maggio 1981, n. 219, che determina un indennizzo inferiore al valore venale effettivo del bene, in quanto la sua adozione si giustifica in relazione alla particolare natura, temporanea ed eccezionale, degli interventi di cui alla legge n. 219 del 1981, considerato che secondo la sentenza della Corte cost. n. 348 del 2007, obiettivi legittimi di utilità pubblica, come quelli perseguiti da misura di riforma economica o di giustizia sociale, possono giustificare un indennizzo inferiore al valore di mercato effettivo. Né la disposizione di cui all’art. 80 della legge n. 219 del 1981, nella parte in cui richiama l’art. 13 della legge n. 2892 del 1885, può essere disapplicata per contrasto con l’art. 17, paragrafo 1, della Carta di Nizza del 7 dicembre 2000, adottata a Strasburgo il 12 dicembre 2000, che prevede il diritto alla percezione di una “giusta indennità” da parte del soggetto privato della proprietà per
“causa di pubblico interesse”, poiché l’applicabilità diretta di detto atto, come affermato nelle sentenze della Corte cost. n. 80 e n. 303 del 2011, è praticabile solo quando la fattispecie sia disciplinata dal diritto europeo ed attenga a materia di interesse comunitario (Cass. S.U. 10130/2012; Cass. 23867/2014). E’ stato altresì chiarito, con le citate pronunce, che la sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 5-bis non comporta l’illegittimità della L. n. 219 del 1981, art. 80 nella parte in cui prevede un criterio liquidatorio speciale non dissimile da quello adottato, in via generale, dalla prima norma: secondo la stessa Corte costituzionale, obiettivi legittimi di utilità pubblica come quelli perseguiti da misura di riforma economica o di giustizia sociale possono giustificare un indennizzo inferiore al valore di mercato effettivo, il che si verifica con la L. n. 219 del 1981, avente natura speciale, temporanea ed eccezionale, in quanto volta a porre rimedio alle conseguenze degli eventi sismici del novembre 1980 e febbraio 1981, e non assumendo rilevanza il fatto che il D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37, comma 1, come sostituito dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 89, preveda, in via generale, per le espropriazioni finalizzate ad attuare interventi di riforma economico-sociale, una riduzione (del 25%) più contenuta di quella consentita dalla legge del 1981, sia in ragione della specialità, temporaneità ed eccezionalità della legge stessa, sia perché comunque, in linea di principio, l’innalzamento, nel prosieguo della legislazione, del livello di garanzia di un valore costituzionale, non comporta l’illegittimità della normativa precedente attestata su un livello inferiore di tutela (tra le altre Cass. 2419/2011; Cass. 12213/2012).
2.2. La Corte territoriale si è attenuta ai suesposti principi, precisando, in ordine al rilievo delle parti espropriate, riproposto in sede di legittimità, secondo cui si tratta di terreni esterni al territorio comunale, che la procedura ablatoria è iniziata nel 1985
con ordinanza CIPE adottata nell’ambito della programmazione degli interventi ex lege n.219/1981 e che l’art.82 di detta legge disciplina anche gli interventi in aree esterne al territorio comunale, con le stesse procedure di cui agli artt.80 e 81 della stessa legge.
I motivi secondo e terzo, da esaminarsi congiuntamente in quanto entrambi riguardano questioni attinenti all’indennità dovuta per il deprezzamento della parte residua del bene rimasta in proprietà, sono in parte inammissibili e in parte infondati.
3.1. Occorre osservare che, secondo l’orientamento di questa Corte condiviso dal Collegio, il deprezzamento subito dalle parti residue del bene espropriato rientra nell’unica indennità di espropriazione, che, per definizione, riguarda l’intera diminuzione patrimoniale subita dal soggetto passivo del provvedimento ablativo, ivi compresa la perdita di valore della porzione residua derivata dalla parziale ablazione del fondo, sia essa agricola o edificabile, non essendo concepibili, in presenza di un’unica vicenda espropriativa, due distinte somme, imputate l’una a titolo di indennità di espropriazione e l’altra a titolo di risarcimento del danno per il deprezzamento subito dai residui terreni; ne consegue che la domanda del proprietario che lamenti il deprezzamento delle porzioni residue del fondo espropriato va interpretata dalla Corte di appello, competente in unico grado ai sensi dell’art. 19 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, come diretta al pagamento di un’unica indennità, da determinare tenendo conto della diminuzione di valore della parte non espropriata, a norma dell’art. 40 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, ancorché il proprietario chieda, per la parte espropriata e per quella residua, il pagamento di somme distinte a titolo indennitario (Cass.11504/2014; Cass.15696/2018)); deve aggiungersi che, come già affermato da questa Corte, il principio dell’unicità dell’indennità deve trovare applicazione, anche nell’ipotesi di pregiudizi, sussumibili nell’ambito dell’art. 46 legge fondamentale (ora art. 44 T.U. sulle
espropriazioni), in cui la riduzione di valore della parte residua derivi non per effetto della mera separazione (per esproprio) di una parte di suolo, ma in conseguenza dell’opera eseguita su suolo non espropriato ed indipendentemente dall’espropriazione stessa (Cass.6388/2000; Cass.4657/1997), e ciò non solo perché nei confronti dell’unico proprietario la vicenda opera, comunque, all’interno della categoria dell’espropriazione e nell’ambito di applicazione dell’ art. 42 Cost., ma anche perché, diversamente opinando, si dovrebbe ipotizzare la necessità dell’instaurazione di due distinti giudizi in contrasto con i principi derivanti dall’art. 111 Cost., volti a favorire, mediante la concentrazione nello stesso processo e dinanzi allo stesso giudice della complessiva vicenda sostanziale ed esistenziale, una maggiore economia processuale e la riduzione dei relativi costi (Cass.14891/2017; Cass. 18220/2018 citata anche nella sentenza impugnata).
3.2. Nella specie, posto che si assumono pacifici i tre requisiti idonei ad integrare il cd. esproprio parziale ex art.40 l. n. 2359/1865 (stessi proprietari, bene unitario con stessa destinazione funzionale e ‘distacco’ pregiudizievole per la parte residua non più edificabile), la Corte territoriale si è conformata ai principi sopra richiamati, con motivazione idonea (Cass. S.U. 8053/2014), dal che consegue l’infondatezza delle censure che riguardano i suesposti profili. Nello specifico la Corte d’appello, attenendosi al suddetto principio di unitarietà, ha calcolato il valore dell’intera zona VAI secondo i criteri dettati dalla l.n.291/1981 e da quest’ultimo valore, applicando il cd. metodo differenziale, ha detratto il valore agricolo del suolo rimasto in proprietà.
3.3. Parimenti infondata è la doglianza concernente il vizio di ultrapetizione, denunciato con entrambi i motivi di cui si sta trattando, in quanto la giurisprudenza più recente di Corte ha chiarito, esprimendo un orientamento a cui il Collegio intende dare continuità, che, ai fini della selezione delle questioni, di fatto o di
diritto, suscettibili di devoluzione e, quindi, di giudicato interno se non censurate in appello, la locuzione giurisprudenziale “minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno” individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, ossia la statuizione che affermi l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico. Ne consegue che, sebbene ciascun elemento di detta sequenza possa essere oggetto di singolo motivo di appello, nondimeno l’impugnazione motivata anche in ordine ad uno solo di essi riapre la cognizione sull’intera statuizione (Cass.2217/2016 e Cass.24783/2018).
Nel caso di specie, la devoluzione in appello della questione relativa all’applicazione dell’art.80 l.n.219/1981, in virtù dei motivi secondo e terzo proposti dal RAGIONE_SOCIALE e accolti dalla Corte territoriale, ha riaperto la cognizione sull’intera statuizione concernente l’individuazione del corretto criterio di stima delle indennità spettanti. Peraltro, e per quanto occorra, le censure difettano anche di autosufficienza e sono generiche, poiché è riportata nel ricorso solo parte del terzo motivo d’appello proposto dal RAGIONE_SOCIALE, come da quest’ultima parte eccepito.
4. Il quarto motivo è inammissibile.
Gli stessi ricorrenti danno atto (pag.8 del ricorso e pag. 5 della memoria autorizzata) della condanna del RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni relativi alla porzione di terreno restituita dal RAGIONE_SOCIALE stesso nel 1994, statuita con la sentenza della Corte d’appello di Napoli n.1939/2001, confermata in sede di legittimità con la sentenza n.8197/2005, in cui si legge che il RAGIONE_SOCIALE era stato condannato al risarcimento dei danni, quantificati in L. 242.947.034, in favore delle danti causa degli odierni ricorrenti e relativi alla porzione di terreno, di estensione pari a mq. 20.802, restituita alle proprietarie il 26 luglio 1994.
In relazione a detta censura, il RAGIONE_SOCIALE ha eccepito il ne bis in idem e nessuna replica a tale riguardo si rinviene nella memoria illustrativa dei ricorrenti.
Sotto ulteriore profilo, pure involgente l’inammissibilità della doglianza, si osserva che il mezzo difetta di autosufficienza in quanto dallo stralcio della memoria ex art.184 cod. proc. civ. trascritto in ricorso (pag.43) non è dato compiutamente inferire in quali esatti e precisi termini la pretesa fosse stata formulata e soprattutto in base a quali elementi fattuali e giuridici si differenziasse da quella già scrutinata e decisa nei precedenti giudizi.
5. Il quinto motivo è fondato.
Con recente pronuncia, a composizione di un contrasto di orientamenti, le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che ‘ In tema di spese processuali, l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’art. 92, comma 2, cod. proc. civ. (Cass. S.U. 32061/2022).
Nel caso di specie, sovrapponibile a quello scrutinato con la citata sentenza, la Corte territoriale non si è attenuta ai suesposti principi, perché, nel compensare per un terzo le spese del doppio grado di merito, ha condannato alla rifusione dei residui due terzi gli odierni ricorrenti, benché parti vittoriose, pur se non integralmente, così obliterando di valutare l’esito complessivo della lite e, in particolare, l’accoglimento in maniera ridotta delle
domande delle parti espropriate. Esse, infatti, alla stregua dei suesposti principi, in quanto parti vittoriose, seppur parzialmente, non potevano essere condannate al pagamento delle spese processuali in favore del RAGIONE_SOCIALE.
6. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata, limitatamente al motivo accolto, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ., con la parziale compensazione, per la metà, delle spese dei due gradi di merito e la condanna del RAGIONE_SOCIALE alla rifusione in favore dei ricorrenti della residua metà, liquidata per tale frazione come in dispositivo.
La complessità della questione da ultimo trattata, oggetto di contrastanti orientamenti della giurisprudenza di legittimità, valutata unitamente al complessivo esito della lite, giustifica anche la parziale compensazione, per la metà, delle spese del giudizio di cassazione e la condanna del RAGIONE_SOCIALE alla rifusione in favore dei ricorrenti della residua metà, liquidata per tale frazione come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta i motivi primo, secondo e terzo di ricorso; dichiara inammissibile il quarto; accoglie il quinto; cassa la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto, e, decidendo nel merito, compensa per metà le spese dei primi due gradi di giudizio e condanna il RAGIONE_SOCIALE alla rifusione in favore dei ricorrenti della residua metà, liquidata, per tale frazione, in €7.500 per compensi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge, per il primo grado, e in €6.500 per compensi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge, per il grado d’appello; compensa per metà le spese del giudizio di legittimità e condanna il RAGIONE_SOCIALE alla rifusione in favore dei ricorrenti della residua metà, liquidata, per tale frazione, in €5.500 per compensi e
in €200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge .
Così deciso in Roma il 24 gennaio 2024.