LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Spese processuali contumace: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7179/2024, si è pronunciata su un caso originato da una controversia immobiliare. La Corte ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso relativo a una presunta evizione parziale, ma ha accolto quello sulle spese processuali. È stato stabilito che non si possono liquidare le spese legali in favore della parte vittoriosa che è rimasta contumace (cioè non si è costituita in giudizio), poiché il rimborso è finalizzato a compensare costi effettivamente sostenuti per la difesa, cosa che non avviene in caso di mancata partecipazione al processo.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Spese processuali contumace: quando non sono dovute alla parte vittoriosa

L’ordinanza n. 7179/2024 della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sul tema delle spese processuali contumace. Anche se una parte risulta vittoriosa in un grado di giudizio, non ha diritto al rimborso delle spese legali se ha scelto di non costituirsi, ovvero di rimanere contumace. Questo principio, basato sulla natura risarcitoria delle spese, riafferma che il rimborso spetta solo a chi ha effettivamente sostenuto dei costi per difendere i propri diritti in tribunale.

La vicenda: una controversia su un ripostiglio e la domanda di evizione

La controversia ha origine da una compravendita immobiliare. Gli acquirenti di un appartamento citavano in giudizio i loro venditori (eredi della dante causa originaria) chiedendo di essere tutelati dall’evizione parziale. Sostenevano di essere stati privati del godimento di un ripostiglio annesso alla proprietà, a causa di un diritto d’uso esclusivo vantato da un terzo.

Nei primi gradi di giudizio, la domanda degli acquirenti veniva rigettata. La Corte d’Appello, in particolare, aveva stabilito che il contratto di compravendita non trasferiva la proprietà del ripostiglio, ma solo dei non meglio specificati “diritti connessi”, escludendo quindi i presupposti per l’evizione. Gli acquirenti decidevano quindi di presentare ricorso per Cassazione, lamentando sia l’errata interpretazione del contratto sia l’ingiusta condanna a rifondere le spese processuali del precedente giudizio di Cassazione ai venditori, i quali, in quella fase, erano rimasti contumaci.

La decisione della Cassazione e le spese processuali contumace

La Suprema Corte ha analizzato i due motivi di ricorso presentati dagli acquirenti, giungendo a conclusioni opposte per ciascuno.

Il primo motivo, relativo alla presunta violazione di legge e al vizio di motivazione sulla questione della proprietà del ripostiglio, è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha ritenuto che la valutazione della Corte d’Appello fosse un accertamento di fatto, plausibilmente motivato e non sindacabile in sede di legittimità. In sostanza, la Cassazione non può riesaminare nel merito se il contratto trasferisse o meno la proprietà, ma solo verificare la correttezza giuridica del ragionamento del giudice precedente.

Il secondo motivo, invece, è stato accolto. Gli acquirenti lamentavano di essere stati condannati a pagare 2.000 euro per le spese legali del precedente giudizio di Cassazione ai venditori, nonostante questi non si fossero costituiti. Su questo punto, la Corte ha dato piena ragione ai ricorrenti, cassando la sentenza e decidendo nel merito.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale: la condanna alle spese ha una funzione di ristoro patrimoniale. Serve a rimborsare la parte vittoriosa dei costi che ha dovuto sostenere per far valere un suo diritto in giudizio. Di conseguenza, se una parte rimane contumace, non svolge alcuna attività difensiva e, quindi, non sopporta spese legali di cui possa chiedere il rimborso.

Condannare la parte soccombente a pagare le spese processuali al contumace vittorioso sarebbe contrario alla logica stessa dell’istituto, disciplinato dall’art. 91 del codice di procedura civile. La Corte ha anche respinto l’eccezione dei venditori, i quali sostenevano che i ricorrenti non avessero interesse ad agire, dato che il pagamento non era mai stato preteso. L’interesse a impugnare, spiega la Corte, sussiste per il solo fatto che la sentenza contiene una statuizione di condanna, che costituisce un titolo esecutivo, indipendentemente dalla sua concreta messa in esecuzione.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte Suprema ha cassato la sentenza d’appello nella parte in cui liquidava le spese del precedente giudizio di Cassazione a favore dei contumaci. Ha eliminato tale condanna e, visto l’esito complessivo del giudizio (un motivo accolto e uno respinto), ha compensato integralmente le spese del presente grado. La decisione riafferma con chiarezza che la vittoria in giudizio non dà automaticamente diritto al rimborso delle spese se la parte ha scelto di non partecipare attivamente al processo.

Perché la parte vittoriosa ma contumace non ha diritto al rimborso delle spese processuali?
Perché la condanna alle spese processuali ha lo scopo di rimborsare i costi effettivamente sostenuti per l’attività difensiva. Una parte che rimane contumace non svolge alcuna attività processuale e, di conseguenza, non sostiene spese di cui possa chiedere il rimborso.

Qual è il fondamento della condanna alle spese di lite?
Il fondamento, secondo l’art. 91 c.p.c., è l’esigenza di evitare una diminuzione patrimoniale alla parte che ha dovuto agire in giudizio per ottenere il riconoscimento di un proprio diritto. È un principio di ristoro per i costi della difesa.

Si può impugnare una condanna alle spese anche se la controparte non ha ancora chiesto il pagamento?
Sì. L’interesse a impugnare la statuizione sulle spese sorge per il solo fatto che essa è contenuta in un provvedimento giudiziale, che costituisce un titolo esecutivo. Non è necessario attendere che la controparte avvii l’esecuzione forzata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati