Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7179 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7179 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/03/2024
COGNOME NOME;
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23692/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
– ricorrenti-
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
– controricorrenti – nonchè contro
– intimato-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI VENEZIA n. 219/2019 depositata il 28/01/2019; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/02/2024 dal
Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
1. NOME COGNOME conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Venezia NOME COGNOME e NOME COGNOME, per ivi sentire dichiarare – in virtù di quanto disposto da precedenti sentenze n. 602/04 della Corte d’Appello di Venezia e n. 2566/01 del Tribunale di Venezia, che avevano accertato la sussistenza, in capo a NOME COGNOME, dante causa di esso attore, del diritto d’uso esclusivo dell’area cortilizia segnata in rosso nella planimetria allegata, sotto la lettera B, all’atto stipulato in data 30.09.1975 – l’illegittima occupazione, da parte del COGNOME e della COGNOME, del sottoscala di loro proprietà che si affaccia sulla via di accesso al mare (INDIRIZZO) e, per l’effetto, condannare i convenuti all’immediato rilascio del predetto immobile.
1.1. Costituitisi, i convenuti chiedevano il rigetto della domanda previa chiamata in causa di NOME COGNOME e NOME COGNOME nella loro qualità di eredi della dante causa dalla quale COGNOME e COGNOME avevano acquistato, con rogito del 07.12.1995, la proprietà dell’immobile sito al piano terra dello stabile di INDIRIZZO -affermando, tra l’altro, che con detto rogito essi avevano acquistato anche la proprietà del ripostiglio posto nel sottoscala che si affaccia sulla via di accesso al mare di cui il COGNOME pretendeva, ora, il rilascio. Chiedevano, pertanto, nell’ipotesi di accoglimento della domanda attorea, l’accertamento e la declaratoria del loro diritto alla riduzione del prezzo dell’immobile, in conseguenza della privazione del libero godimento del vano sottoscala rivolto verso la via di accesso al mare e, per l’effetto, la condanna dei terzi chiamati alla restituzione
dell’importo corrispondente al valore di detto ripostiglio, nonché al risarcimento dei danni subìti.
1.2. Con sentenza n. 279/09, il Tribunale di Venezia dichiarava illegittima l’occupazione, da parte dei convenuti, del vano in questione e condannava i medesimi all’immediato rilascio del predetto immobile a favore dell’attore, libero da cose e persone; rigettava le domande tutte dei convenuti, condannandoli a rifondere le spese di lite.
La Corte d’appello di Venezia, con sentenza n. 963/2012, respingeva l’appello del COGNOME e della COGNOME, confermando l’impugnata pronuncia. La decisione del giudice di seconde cure veniva impugnata presso questa Corte che, con ordinanza n. 15854 del 26.06.2017, respinti gli altri motivi, riteneva fondata la doglianza relativa alla nullità della sentenza per omessa pronuncia sulla domanda di garanzia dall’evizione parziale del bene oggetto della compravendita del 7.12.1995.
Il giudizio veniva prontamente riassunto da NOME COGNOME e NOME COGNOME innanzi alla Corte d’Appello di Venezia, che – con sentenza n. 219/2019 qui impugnata – rigettava la domanda di evizione parziale elevata nei confronti dei COGNOME, condannando gli appellanti alla rifusione, in favore dei convenuti, delle spese processuali di tutti i gradi di giudizio, incluso quello di Cassazione.
Secondo la Corte territoriale non avrebbe pregio la tesi degli appellanti in virtù della quale, insieme alla proprietà dell’appartamento sito al piano terra, il rogito del 07.12.1995 avrebbe trasferito anche la proprietà del ripostiglio in parola; dalla lettura del contratto di compravendita, oggetto del trasferimento di proprietà è soltanto l’appartamento identificato con il mappale n. 281 sub 2, mentre sulle parti indicate come ripostiglio nella citata planimetria chiaramente l’atto non è traslativo della proprietà ma solo dei «connessi diritti» quali
esistenti nel patrimonio della dante causa , non coincidenti con quello di proprietà. Pertanto – concludeva la Corte distrettuale – in assenza di trasferimento del sottoscala in questione con l’atto di compravendita citato non vi sono i presupposti per l’accoglimento della domanda di evizione parziale.
Avverso la predetta pronuncia proponevano ricorso per Cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME, affidandolo a due motivi.
Si difendevano NOME COGNOME e NOME COGNOME depositando controricorso.
In prossimità dell’adunanza entrambe le parti depositavano memorie.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4) cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ. – Nullità della sentenza per inesistenza della motivazione. I ricorrenti censurano la sentenza nella parte in cui – ignorate le rinnovate richieste istruttorie formulate dagli appellanti – afferma che i diritti connessi sul ripostiglio trasferito agli odierni ricorrenti con l’atto di compravendita del 07.12.1995 non coincidono con il diritto di proprietà, senza tuttavia spiegare perché siffatti diritti non coinciderebbero con la proprietà medesima e in che cosa, a questo punto, essi consisterebbero. Conclusione, questa, incongrua dal momento che il COGNOME, e prima la sua dante causa , avevano sostenuto che la proprietà del ripostiglio dei COGNOME era limitata dal loro diritto di uso esclusivo. Il giudice del rinvio avrebbe, altresì, fornito erronea lettura dell’ordinanza di rinvio della Corte Suprema che, a giudizio dei ricorrenti, avrebbe invece affermato la sussistenza in capo agli odierni ricorrenti della titolarità su ripostiglio,
benché limitata dal diritto di uso esclusivo in capo al COGNOME. Del resto, concludono i ricorrenti, se la Corte di Cassazione avesse ritenuto non tutelabile la riduzione del diritto di proprietà cassando la sentenza impugnata avrebbe deciso nel merito, anziché rinviare ad altro giudice, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Va intanto rilevata l’inammissibilità delle argomentazioni con cui i ricorrenti pretendono di ritornare in questa sede sulla questione della titolarità del ripostiglio di cui è causa. Come correttamente messo in rilievo dalla Corte distrettuale, tale questione attiene ad un accertamento di fatto affrontato nei giudizi di merito precedenti ed esauritosi con la sentenza impugnata, che rende un’interpretazione plausibile del contratto di compravendita del 07.12.1995, escludendo da esso il trasferimento della proprietà del ripostiglio in questione (v. sentenza impugnata p. 7, 2° capoverso).
Né ha pregio l’interpretazione dell’ordinanza di rinvio di questa Corte fornita dai ricorrenti, in virtù della quale il giudice di legittimità avrebbe riconosciuto la fondatezza nel merito della domanda di evizione parziale: come correttamente sottolineato dal giudice distrettuale (v. sentenza impugnata p. 6, primi due righi), questa Corte si era limitata a censurare il vizio di omessa pronuncia rimettendo al giudice del rinvio la valutazione del merito della domanda (v. ordinanza n. 15854/2017, cit., punto 3.1.).
1.2. Tanto premesso, il motivo è inammissibile nella parte in cui deduce il vizio di motivazione («nullità della sentenza per omessa motivazione») secondo un paradigma censorio non più attuale, potendo censurarsi la motivazione nei soli limiti del n. 5) dell’art. 360, comma 1, del codice di rito che, nel testo (vigente ratione temporis ) modificato dall’art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006, riguarda un vizio
specifico denunciabile per cassazione relativamente all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storiconaturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo come motivo di ricorso (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019, Rv. 655413 -01; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11863 del 15/05/2018 – Rv. 648686 -01; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 14802 del 14/06/2017, Rv. 644485 – 01). Nella nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., il sindacato di legittimità sulla motivazione è ridotto al «minimo costituzionale» (Cass Sez. U. n. 8054, del 7/4/2014, Rv. 629833), restando riservata al giudice del merito la valutazione dei fatti e l’apprezzamento delle risultanze istruttorie, potendo questa Corte verificare l’estrinseca correttezza del giudizio di fatto sotto il profilo della manifesta implausibilità del percorso che lega la verosimiglianza delle premesse alla probabilità delle conseguenze e, pertanto, potendo sindacare la manifesta fallacia o non verità delle premesse o l’intrinseca incongruità o contraddittorietà degli argomenti, onde ritenere inficiato il procedimento inferenziale ed il risultato cui esso è pervenuto, per escludere la corretta applicazione della norma entro cui è stata sussunta la fattispecie.
1.2.1. Orbene, nel caso che ci occupa il giudice del rinvio ha ritenuto che i «connessi diritti» sulle parti indicate come ripostiglio nella planimetria allegata all’atto di compravendita non coincidono con il diritto di proprietà né con l’uso esclusivo dello stess o: tanto basta a ritenere insussistenti, ad insindacabile giudizio della Corte di merito, i presupposti per l’accoglimento della domanda di evizione parziale .
2. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. I ricorrenti censurano la sentenza nella parte in cui erroneamente ha condannato i coniugi COGNOME e COGNOME alla refusione delle spese processuali del giudizio di Cassazione a favore dei COGNOME, nonostante questi ultimi fossero rimasti contumaci e non avessero, quindi, svolto alcuna attività difensiva dinanzi alla Corte di Cassazione, non sopportando spese al cui rimborso essi abbiano diritto.
2.1. Il motivo è fondato: secondo i principi correttamente richiamati nel ricorso «La condanna alle spese processuali, a norma dell’art. 91 c.p.c., ha il suo fondamento nell’esigenza di evitare una diminuzione patrimoniale alla parte che ha dovuto svolgere un’attività processuale per ottenere il riconoscimento e l’attuazione di un suo diritto; sicché essa non può essere pronunziata in favore del contumace vittorioso, poiché questi, non avendo espletato alcuna attività processuale, non ha sopportato spese al cui rimborso abbia diritto» (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16174 del 19/06/2018, Rv. 649432 -01, citata nel ricorso; conf. da: Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 7361 del 14/03/2023, Rv. 667047 -01).
2.1.1. Né ha pregio quanto deducono i controricorrenti (p. 23, punto 2.), ossia l’inesistenza dell’interesse su questo punto di impugnazione, in quanto le spese processuali del giudizio di Cassazione liquidate nella sentenza impugnata non sono mai state pretese dai COGNOME; i ricorrenti, dunque, nulla avendo versato, non avrebbero interesse a denunciare tale vizio. La statuizione sulle spese di lite costituisce titolo esecutivo di formazione giudiziale contenuto in un provvedimento emesso in un procedimento contenzioso: tanto basta a sostenere l’interesse dei ricorrenti all’eliminazione di un capo di sentenza non conforme ai principi di diritto.
2.2. La sentenza, pertanto, merita di essere cassata in parte qua . Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384, comma 2, cod. proc. civ., la causa può essere decisa nel merito elidendo dal dispositivo della sentenza impugnata la parte relativa al riconoscimento agli appellati contumaci delle spese del giudizio di cassazione (sentenza n. 15854 del 26.06.2017) per €2.000,00 .
In definitiva, il Collegio dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso e, in accoglimento del secondo motivo, cassa la pronuncia impugnata e -decidendo nel merito – elide le spese del precedente giudizio di cassazione liquidate nel dis positivo in €2.000,00 a favore degli appellati contumaci.
Stante il tenore della pronuncia, le spese di lite relative all’odierno giudizio di cassazione devono essere integralmente compensate
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso;
accoglie il secondo motivo di ricorso e, decidendo nel merito, elide la liquidazione, per l’importo di €2.000,00, delle spese del precedente giudizio di cassazione, fermo il resto.
Compensa integralmente le spese di lite del presente grado di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda