Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4982 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4982 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26353/2020 R.G. proposto da NOME, in qualità di titolare dell’omonima farmacia, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale p.t., rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO ed NOME AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE n. 16/20, depositata l’8 gennaio 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 novembre 2023
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio NOME COGNOME, in qualità di titolare dell’omonima farmacia, proponendo opposizione al decreto ingiuntivo n. 4611/09, emesso il 14 settembre 2009, con cui il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE le aveva intimato il pagamento della somma di Euro 85.124,62, oltre interessi moratori al tasso previsto dal d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, a titolo di corrispettivo per forniture di medicinali effettuate nel mese di giugno 2009 in favore degli assistiti dal RAGIONE_SOCIALE Sanitario Nazionale.
A sostegno dell’opposizione, l’attrice eccepì l’inapplicabilità del tasso d’interesse previsto dal d.lgs. n. 231 del 2002, affermando che il rapporto intercorrente tra le RAGIONE_SOCIALE e i farmacisti ha natura concessoria ed è disciplinato dallo Accordo Collettivo Nazionale approvato con il d.P.R. 8 luglio 1998, n. 371, il quale esclude l’applicabilità d’interessi superiori alla misura legale, ed aggiungendo che il d.lgs. n. 231 cit. non trova applicazione ai contratti conclusi in data anteriore all’8 agosto 2002.
Si costituì il COGNOME, e resistette all’opposizione, facendo valere il giudicato esterno derivante dalla mancata proposizione dell’opposizione avverso altri decreti ingiuntivi, con cui era stata riconosciuta l’applicabilità del tasso d’interesse previsto dagli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 231 del 2002.
1.1. Con sentenza del 13 maggio 2014, il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE rigettò l’opposizione.
L’impugnazione proposta dall’RAGIONE_SOCIALE è stata accolta dalla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, che con sentenza dell’8 gennaio 2020 ha revocato il decreto ingiuntivo, condannando l’RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di Euro 85.124,62, oltre interessi legali con decorrenza dalla domanda, ed il COGNOME al pagamento della metà delle spese processuali, liquidate in Euro 1.868,00 per il giudizio di primo grado, ivi compresi Euro 1.618,00 per compensi, ed in Euro 3.026,50 per il giudizio di appello, ivi compresi Euro 1.888,00 per compensi, con la compensazione del residuo.
A fondamento della decisione, la Corte ha rigettato innanzitutto l’eccezione di giudicato esterno sollevata dall’appellato, ritenendo non provata la
mancata impugnazione della sentenza n. 1263/09, emessa dal Tribunale di RAGIONE_SOCIALE in un analogo giudizio svoltosi tra le stesse parti, giacché la copia prodotta non risultava munita della certificazione rilasciata dal Cancelliere del Tribunale ai sensi dell’art. 124 disp. att. cod. proc. civ., ma solo dell’attestazione della mancata iscrizione a ruolo di un atto di appello, rilasciata da un funzionario della Corte d’appello.
Nel merito, la Corte ha escluso l’applicabilità del d.lgs. n. 231 del 2002, osservando che il rapporto intercorrente tra il RAGIONE_SOCIALE e le farmacie, tutte convenzionate ai sensi dell’art. 28 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, non ha natura di transazione commerciale, dal momento che la relativa disciplina è affidata alla legge ed al regolamento che rende esecutivo l’Accordo Collettivo Nazionale stipulato ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502.
Avverso la predetta sentenza il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria. L’RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui lo ha condannato al pagamento delle spese processuali, senza tenere conto dell’esito finale della lite, contrassegnato dal parziale accoglimento della domanda da lui proposta, con la conseguente configurabilità di una soccombenza reciproca, idonea a giustificare la compensazione delle spese, in applicazione del principio di causalità.
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2909 e 2967 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto non provata la formazione del giudicato esterno, nonostante la produzione di un certificato di mancata proposizione dell’appello. Premesso che la sentenza prodotta era stata emessa dal Tribunale di Nocera e non già da quello di RAGIONE_SOCIALE, sostiene che il certificato rilasciato dal Cancelliere non svolge una funzione costitutiva, ma si limita a dare atto di un effetto che consegue ope legis al verificarsi di determinati eventi, aggiungendo che lo stesso non è indispensabile, non es-
sendo le sue risultanze incontestabili, e spettando al giudice l’accertamento dell’esistenza e del contenuto del giudicato, nonché la determinazione dei suoi effetti sul giudizio in corso: afferma pertanto che qualora, come nella specie, non siano state sollevate contestazioni, la parte che abbia eccepito l’esistenza del giudicato resta esonerata dalla relativa prova.
Il secondo motivo, da esaminarsi prioritariamente rispetto al primo, in quanto riguardante il merito della controversia, è infondato.
Non merita infatti censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto non provato che in ordine alla misura degl’interessi dovuti sul corrispettivo delle prestazioni farmaceutiche rese dal ricorrente si fosse formato il giudicato esterno, per effetto di una sentenza pronunciata in un altro giudizio avente analogo oggetto, negando ogni efficacia, a tal fine, alla copia prodotta in giudizio dal ricorrente, in quanto non corredata della certificazione di cui all’art. 124 disp. att. cod. proc. civ., ma solo da un certificato di mancata iscrizione a ruolo di un appello.
Premesso che l’errata indicazione del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, quale giudice che aveva pronunciato la sentenza prodotta, costituisce un mero errore materiale emendabile ai sensi degli artt. 287 e ss. cod. proc. civ., non comportando incertezza nell’individuazione del provvedimento, e non incidendo quindi sulla sostanza della valutazione effettuata dalla sentenza impugnata, si osserva che, come costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, la parte che eccepisce il passaggio in giudicato di una sentenza emessa in un altro giudizio ha l’onere di fornire la relativa prova, anche nel caso di mancata contestazione ad opera della controparte, restandone esonerata soltanto nel caso in cui quest’ultima ammetta esplicitamente l’intervenuta formazione del giudicato esterno (cfr. Cass., Sez. I, 2/03/2022, n. 6868; Cass., Sez. III, 23/08/2018, n. 20974; Cass., Sez. VI, 1/03/2018, n. 4803). In assenza di tale ammissione, nella specie neppure dedotta, l’unico modo di fornire la predetta prova è costituito dalla produzione della copia della sentenza munita della certificazione rilasciata dal Cancelliere ai sensi dell’art. 124 disp. att. cod. proc. civ. (cfr. Cass., Sez. III, 25/ 11/1976, n. 4466), non surrogabile da un certificato attestante la mancata iscrizione a ruolo di un atto di appello, giacché quest’ultima, pur comportando la dichiarazione d’improcedibilità
dell’impugnazione, ai sensi dell’art. 348 cod. proc. civ., una volta che siano decorsi i relativi termini, non esclude la pendenza del relativo giudizio, finché non intervenga tale dichiarazione, nella quale non può sostituirsi alcun giudice diverso da quello chiamato a pronunciarla in via principale (cfr. Cass., Sez. lav., 2/04/2008, n. 8477).
4. E’ invece fondato il primo motivo, avente ad oggetto il regolamento delle spese processuali.
La sentenza impugnata, pur avendo riformato quella di primo grado, nella parte riguardante la misura degl’interessi, ed avendo quindi disposto la revoca del decreto ingiuntivo, non ha rigettato integralmente la domanda proposta dal ricorrente nel procedimento monitorio, ma ha confermato l’obbligo dell’opponente di corrispondere il corrispettivo delle prestazioni farmaceutiche, rimasto peraltro incontestato, e l’ha quindi condannata al pagamento della sorta capitale, oltre agl’interessi legali.
L’accoglimento parziale della domanda, comportando pur sempre la soccombenza dell’opponente, non avrebbe consentito di porre neppure in parte le spese processuali a carico della ricorrente, risultata comunque vittoriosa, non potendo ravvisarsi nel caso in esame una soccombenza reciproca, configurabile soltanto in presenza di una pluralità di domande contrapposte o di un’unica domanda articolata in più capi (cfr. Cass., Sez. Un., 31/10/2022, n. 32061), e non assumendo alcun rilievo, in contrario, l’intervenuta revoca del decreto ingiuntivo: anche nel giudizio di cui all’art. 645 cod. proc. civ., la valutazione della soccombenza, ai fini della condanna alle spese, dev’essere infatti compiuta in rapporto all’esito finale della lite, sicché il creditore opposto che veda conclusivamente riconosciuto, sebbene in parte (quand’anche minima) rispetto a quanto richiesto ed ottenuto col monitorio, il proprio credito, se legittimamente subisce la revoca integrale del decreto ingiuntivo, non può essere tuttavia ritenuto soccombente e condannato neppure in parte al pagamento delle spese processuali, ferma restando la facoltà del giudice di disporne la compensazione (cfr. Cass., Sez. lav., 1/ 08/2023, n. 23434; Cass., Sez. VI, 26/05/2022, n. 17137; Cass., Sez. III, 12/05/2015, n. 9587).
La sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dall’accoglimento del primo motivo d’impugnazione, e, non risultando necessari ul-
teriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con la rinnovazione del regolamento delle spese del giudizio di merito, che vanno compensate per la metà, avuto riguardo all’accoglimento dell’unico motivo di opposizione formulato dall’RAGIONE_SOCIALE avverso il decreto ingiuntivo, e per il residuo vanno poste a carico dell’opponente, in qualità di parte soccombente, con liquidazione come da dispositivo.
La soccombenza della controricorrente quanto al primo motivo del ricorso per cassazione giustifica altresì la condanna della controricorrente al pagamento della metà delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in dispositivo , dovendosi invece compensare le spese quanto all’ulteriore metà .
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e, decidendo nel merito, compensa per la metà le spese del giudizio di merito, condannando la controricorrente al pagamento del residuo in favore del ricorrente, che liquida in Euro 1.618,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 250,00, ed agli accessori di legge per il giudizio di primo grado, e in Euro 1.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge per il giudizio di appello;
condanna la controricorrente al pagamento, in favore del ricorrente, della metà delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi e 100 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma il 28/11/2023