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Spese processuali: chi paga per l’intervento del terzo?

Una cittadina avvia una causa per disconoscere una firma. Un’altra persona interviene in appello per chiarire di non essere l’autrice della firma, come erroneamente indicato in primo grado. La Corte d’Appello condanna la cittadina iniziale a pagare le spese processuali dell’interveniente, applicando il principio di causalità. La questione è ora al vaglio della Cassazione, che ha emesso un’ordinanza interlocutoria per regolarizzare la notifica a una delle parti prima di decidere nel merito.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Spese processuali: chi paga se un terzo interviene per correggere un errore?

La gestione delle spese processuali rappresenta uno degli aspetti più delicati e dibattuti nel contenzioso civile. Un’interessante ordinanza interlocutoria della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per analizzare una situazione complessa: chi deve sostenere i costi legali quando un terzo è costretto a intervenire in un processo per tutelare la propria immagine e correggere un errore giudiziario che lo coinvolge indirettamente? La risposta non è scontata e chiama in causa il fondamentale principio di causalità.

I fatti di causa

La vicenda ha origine da un’azione legale intentata da una cittadina contro una Regione per ottenere la dichiarazione di falsità della propria firma apposta su un atto di rinuncia a contributi pubblici. Il Tribunale di primo grado accoglie la domanda, dichiarando la falsità della firma.

La situazione si complica in appello. Una terza persona interviene nel giudizio, lamentando che il giudice di primo grado, pur avendo correttamente accertato la falsità, le avesse erroneamente attribuito la paternità di quella sottoscrizione. L’intervento, quindi, non era volto a contestare l’esito della causa principale, ma a correggere un errore materiale che ledeva il suo diritto a non vedersi associata a un falso documentale.

La Corte d’Appello, ritenendo ammissibile l’intervento, ha confermato la falsità della firma ma ha condannato la cittadina che aveva originariamente promosso la causa a rimborsare le spese processuali sostenute dalla terza intervenuta.

La condanna alle spese processuali secondo la Corte d’Appello

La decisione dei giudici di secondo grado si è fondata sul cosiddetto “principio di causalità”. Secondo questa logica, anche se non c’era un conflitto diretto tra l’attrice originaria e la terza intervenuta, è stata la prima, con la sua azione legale, a creare la situazione processuale che ha reso necessario l’intervento della seconda per tutelare i propri diritti. Di conseguenza, la Corte ha ritenuto giusto porre a suo carico le relative spese processuali.

Insoddisfatta di questa conclusione, la cittadina ha presentato ricorso in Cassazione, sollevando quattro motivi di contestazione, tutti incentrati sull’errata applicazione delle norme che regolano la liquidazione delle spese.

Le motivazioni dell’Ordinanza Interlocutoria

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, non è ancora entrata nel merito della questione. Il provvedimento è, infatti, “interlocutorio”, cioè serve a regolare lo svolgimento del processo prima della decisione finale.

I giudici hanno rilevato un vizio di procedura: la notifica del ricorso alla Regione, parte del giudizio, non era stata effettuata correttamente. La legge prevede che le amministrazioni pubbliche, come una Regione, siano rappresentate in giudizio presso la Cassazione dall’Avvocatura Generale dello Stato. Poiché la notifica non era stata indirizzata a quest’ultima, la Corte ha ordinato alla ricorrente di rinnovarla entro 60 giorni.

Questa decisione, pur essendo di natura procedurale, è fondamentale. La Corte non può decidere la causa finché tutte le parti non sono state regolarmente informate e messe in condizione di difendersi. Solo una volta sanato questo difetto, la Cassazione potrà finalmente esaminare i motivi del ricorso e stabilire se la condanna al pagamento delle spese processuali sia stata legittima o meno.

Conclusioni

Il caso offre spunti di riflessione sull’applicazione dei principi di soccombenza e causalità nella ripartizione delle spese legali, specialmente in contesti processuali con più parti. La decisione finale della Cassazione sarà cruciale per chiarire fino a che punto la parte che avvia una causa possa essere ritenuta responsabile dei costi derivanti da sviluppi processuali imprevisti, come l’intervento di un terzo per la tutela di un proprio diritto personale. Per ora, l’esito della controversia sulle spese processuali resta sospeso, in attesa che il contraddittorio sia correttamente instaurato con tutte le parti in causa.

Chi deve pagare le spese legali se un terzo interviene in un processo per correggere un errore che lo riguarda?
Secondo la Corte d’Appello nel caso di specie, le spese sono a carico della parte che ha iniziato la causa, in base al principio di causalità. Tuttavia, questa decisione è stata impugnata e la Corte di Cassazione deve ancora pronunciarsi in via definitiva sulla questione.

Cosa si intende per principio di causalità nelle spese processuali?
È un principio secondo cui i costi di un processo devono essere sostenuti dalla parte che, con il proprio comportamento, ha reso necessario l’avvio del giudizio o specifici interventi al suo interno, indipendentemente da chi risulti formalmente vincitore o perdente.

Perché la Cassazione ha emesso un’ordinanza interlocutoria e non una sentenza definitiva sul caso?
La Corte ha riscontrato un difetto nella notificazione del ricorso a una delle parti (la Regione). Ha quindi emesso un’ordinanza per ordinare la correzione di questo vizio procedurale, sospendendo la decisione sul merito della questione fino a quando il processo non sarà stato regolarizzato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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