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Spese legali reclamo fallimentare: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27525/2024, ha chiarito un importante principio in materia di spese legali reclamo fallimentare. Se la Corte d’Appello accoglie il reclamo contro il rigetto di un’istanza di fallimento, non può condannare la società debitrice al pagamento delle spese legali. Il suo provvedimento ha natura interinale e deve limitarsi a rimettere gli atti al Tribunale per la declaratoria di fallimento, all’interno della quale verranno poi gestite tutte le spese.

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Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto Fallimentare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Spese Legali Reclamo Fallimentare: La Cassazione Annulla la Condanna

L’ordinanza n. 27525/2024 della Corte di Cassazione offre un’importante delucidazione sulla gestione delle spese legali reclamo fallimentare. In particolare, quando la Corte d’Appello accoglie un reclamo contro il rigetto di un’istanza di fallimento, il suo ruolo è circoscritto. Questo articolo analizza la decisione e le sue implicazioni pratiche per le procedure prefallimentari.

I Fatti di Causa

Una società creditrice aveva richiesto il fallimento di una società in accomandita semplice (s.a.s.) e dei suoi soci. Il Tribunale di primo grado aveva rigettato la richiesta, condannando la creditrice al pagamento delle spese. La società creditrice ha quindi presentato reclamo alla Corte d’Appello. Quest’ultima ha parzialmente accolto il reclamo: ha riconosciuto lo stato di insolvenza della s.a.s., rimettendo gli atti al Tribunale per la dichiarazione di fallimento, ma ha respinto la richiesta di estendere il fallimento al socio accomandante. Controversamente, la Corte d’Appello ha condannato la società debitrice al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
La società debitrice e i suoi soci hanno proposto ricorso in Cassazione, contestando principalmente la statuizione sulle spese.

La Questione delle Spese Legali nel Reclamo Fallimentare

Il cuore della controversia verte sull’interpretazione dell’art. 22 della Legge Fallimentare. La società ricorrente sosteneva che la Corte d’Appello, accogliendo il reclamo, avrebbe dovuto semplicemente rimettere gli atti al Tribunale senza pronunciarsi sulle spese. La condanna alle spese, secondo i ricorrenti, rappresentava una violazione di legge, in quanto il decreto della Corte d’Appello assume una natura “interinale”, destinata a essere assorbita dalla successiva sentenza di fallimento. Inoltre, il socio accomandante lamentava l’omessa pronuncia sulla sua richiesta di condanna della reclamante alle spese e ai danni, dato che il reclamo nei suoi confronti era stato rigettato.

L’Analisi della Cassazione e i Principi Affermati

La Corte di Cassazione ha accolto i motivi principali del ricorso, fornendo chiarimenti cruciali sulla procedura.

La Natura Interinale del Decreto d’Appello

Gli Ermellini hanno ribadito che, in caso di accoglimento del reclamo, il decreto della Corte d’Appello non dichiara direttamente il fallimento, ma si limita a constatare la sussistenza dei presupposti, rimettendo la causa al Tribunale. Questo provvedimento ha una natura provvisoria (interinale), poiché la decisione finale e completa sarà la sentenza di fallimento emessa dal Tribunale. Di conseguenza, non c’è spazio per una condanna autonoma alle spese in questa fase. La liquidazione delle spese legali del reclamo fallimentare deve avvenire all’interno della procedura concorsuale principale.

L’Errore della Corte Territoriale

La Corte d’Appello ha quindi errato nel condannare la società debitrice alle spese. La Cassazione, decidendo nel merito su questo punto, ha cassato la pronuncia e dichiarato non dovute tali spese. Questo principio si applica anche, specularmente, al caso del socio accomandante. Poiché il reclamo nei suoi confronti era stato rigettato, la Corte d’Appello avrebbe dovuto provvedere sulla sua richiesta di condanna della reclamante alle spese e ai danni ex art. 96 c.p.c., cosa che invece aveva omesso di fare.

le motivazioni

La Suprema Corte fonda la sua decisione sulla chiara dizione dell’art. 22 della Legge Fallimentare, che prevede una statuizione sulle spese solo in caso di rigetto del reclamo. In caso di accoglimento, la norma è silente, proprio perché il procedimento prosegue davanti al Tribunale. La condanna alle spese disposta dalla Corte d’Appello è dunque illegittima, poiché anticipa una decisione che spetta al contesto unitario della procedura fallimentare. Il decreto d’appello, essendo destinato a essere assorbito dalla sentenza di fallimento, non può contenere statuizioni definitive sulle spese, che seguono l’esito complessivo della procedura principale. Per quanto riguarda il socio accomandante, il rigetto del reclamo nei suoi confronti configurava una soccombenza della reclamante, che avrebbe dovuto essere sanzionata con la condanna alle spese, come richiesto.

le conclusioni

La Cassazione, con questa ordinanza, stabilisce un principio procedurale netto: in caso di accoglimento del reclamo avverso il rigetto dell’istanza di fallimento, la Corte d’Appello deve limitarsi a rimettere le parti dinanzi al Tribunale, senza pronunciarsi sulle spese del procedimento di reclamo. Tali spese saranno regolate solo nell’ambito della successiva procedura fallimentare. La decisione garantisce coerenza e unitarietà alla gestione delle passività, evitando pronunce parziali e potenzialmente premature sulle spese legali. La Corte ha inoltre cassato con rinvio la decisione per quanto riguarda la posizione del socio accomandante, affinché la Corte d’Appello si pronunci correttamente sulla sua domanda di spese e danni.

Se la Corte d’Appello accoglie un reclamo contro il rigetto di un’istanza di fallimento, può condannare la società debitrice alle spese?
No. Secondo la Cassazione, in caso di accoglimento del reclamo, il decreto della Corte d’Appello ha natura interinale e deve limitarsi a rimettere gli atti al Tribunale per la declaratoria di fallimento. Non può contenere una condanna alle spese, poiché queste verranno gestite all’interno della procedura fallimentare complessiva.

Cosa succede se il reclamo viene rigettato nei confronti di una parte, come un socio, ma accolto per la società?
La Corte d’Appello deve pronunciarsi sulla richiesta di condanna alle spese e ai danni (ex art. 96 c.p.c.) avanzata dalla parte nei cui confronti il reclamo è stato rigettato. L’omessa pronuncia su questo punto costituisce un errore che può essere censurato in Cassazione.

È ammissibile l’intervento di un terzo, come una società che ha incorporato una delle parti, direttamente nel giudizio di Cassazione?
No, di regola l’intervento di soggetti che non hanno partecipato alle fasi di merito è inammissibile nel giudizio di Cassazione. L’eccezione riguarda il successore a titolo particolare, ma solo a determinate condizioni che nel caso di specie non ricorrevano.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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