Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12759 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12759 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22808/2023 R.G. proposto da
TROVATO COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME con domicilio telematico presso l’indirizzo PEC del difensore.
-ricorrente –
contro
TROVATO NOMECOGNOME nella qualità di amministratrice di sostegno di NOME COGNOME Giuseppa, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME elettivamente e virtualmente domiciliata presso la PEC di quest’ultimo.
-controricorrente –
Avverso la sentenza n. 1456/2023, resa dalla Corte d’Appello di Catania, pubblicata il 27/07/2023, notificata il 08/09/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16 aprile 2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
1. Con sentenza n. 2454/2022 del 24/5/2022, il Tribunale di Catania, in accoglimento della domanda proposta da NOMECOGNOME nella qualità di amministratrice di sostegno della madre NOME, accertò la nullità della donazione della somma di € 58.451,14 effettuata dal de cuius NOME, coniuge della NOME, al figlio NOME, per mancanza della forma solenne di cui all’art. 782 cod. civ. e condannò quest’ultimo alla restituzione all’attrice della predetta somma, ritenendo che il trasferimento di danaro a mezzo di vaglia postale circolare dell’importo di € 58.451,14, effettuato in data 18/09/2017 in favore di NOME costituisse una donazione non di modico valore, la quale avrebbe richiesto la forma solenne ai sensi dell’art. 782 cod. civ..
Nel giudizio di gravame, instaurato da NOME con citazione notificata il 29/6/2002, si costituì anche NOME, la quale chiese, in via principale, il rigetto della domanda, in subordine, la riforma della sentenza in ordine al quantum debeatur , con condanna dell’appellato al pagamento della minor somma di euro 41.132,27, e, in ulteriore subordine, qualora l’atto di trasferimento non fosse stato qualificato in termini di donazione, l’accertamento che il de cuius non poteva disporre dell’intera somma, con sua condanna alla restituzione dell’importo di euro 29.225,57, pari al 50% di quanto trasferito in suo favore, essendo la restante parte di esclusiva proprietà della moglie.
La Corte d’Appello di Catania, con sentenza n. 1456/2023, pubblicata il 27/7/2023, accolse parzialmente l’appello, condannando NOME al pagamento, in favore di NOME
NOME, nella sua qualità di amministratrice di sostegno della madre, della minor somma di € 38.967,43; compensò tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio in ragione di un quarto e condannò l’appellante al pagamento dei restanti tre quarti in favore di NOME in ragione della prevalente soccombenza.
I giudici di merito ritennero, in particolare, che non fosse stato dimostrato che la dazione della somma di denaro di euro 58.451,14 mediante vaglia circolare tratto su un deposito a risparmio cointestato ai coniugi RAGIONE_SOCIALE, trovasse causa nell’obbligo di assistenza dei genitori assunto dal figlio, come da questi dedotto, né che l’esaurimento della provvista fosse avvenuto per tale finalità, atteso che dalla documentazione prodotta risultava che i pagamenti eseguiti per le esigenze dei genitori ammontavano a soli euro 3.996,41, non essendo stata provata con certezza la riconducibilità causale di tutte le spese dedotte, e che, inoltre, risultava dall’estratto conto di altro deposito postale dei coniugi, cointestato al medesimo NOME, l’effettuazione di molteplici prelievi di denaro anche in data successiva al decesso del padre fino al quasi totale azzeramento del conto. Pertanto, ad avviso dei giudici, non essendo stato dimostrato che il mantenimento dei genitori fosse avvenuto con la somma di denaro trasferito all’appellante dal padre, la relativa dazione doveva considerarsi avvenuta per spirito di liberalità, con conseguente sua nullità per difetto di forma. Infine, mancando la prova atta a superare la presunzione di comproprietà delle somme, l’appellante doveva essere condannato alla restituzione della metà della somma trasferitagli dal padre, in quanto di proprietà della madre, e delle quote spettanti alla madre in via ereditaria, pari a 1/3.
NOME propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. NOME in qualità di amministratrice di sostegno di NOME COGNOME NOME resiste con controricorso.
Il Consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
In seguito a tale comunicazione, il ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso, insistendo esclusivamente sul secondo ed il terzo motivo.
Fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ., il ricorrente ha depositato memoria ex 378 cod. proc. civ..
Considerato che :
1.1 Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2729, 1298, comma secondo, cod. civ. e 1854 cod. civ., in combinato disposto con gli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello condannato il ricorrente alla restituzione della metà della somma versatagli dal padre, in applicazione della presunzione di comproprietà, senza considerare che era stato documentalmente provato che questi, in data 30/9/2015, aveva effettuato due versamenti di euro 22.095,00 e di euro 38.922,36 e aveva, dunque, disposto di denari suoi, con conseguente superamento della presunzione di legge, e che l’attrice percepiva una piccola pensione e non era titolare, dunque, di redditi autonomi, sicché i giudici avevano errato nel liquidare alla medesima la metà dell’importo, in quanto avrebbero dovuto detrarre la sola somma spettante alla medesima a titolo successorio nella misura di 1/3.
1.2 Il primo motivo si intende rinunciato, atteso che il ricorrente, proponendo istanza di fissazione dell’udienza, ha inteso insistere sul solo esame del secondo e terzo.
2.1 Con il secondo motivo si denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., secondo comma, in relazione all’art. 360 comma primo, n. 3, cod. proc. civ., perché la Corte territoriale, pur avendo accolto parzialmente l’appello, in assenza della formulazione di uno specifico motivo di impugnazione incidentale, non avrebbe dovuto modificare in senso più sfavorevole per l’appellante la statuizione sulle spese processuali di primo grado, nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 324, 112, 99 e 336 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., per violazione del giudicato e ultra petizione. Ad avviso del ricorrente, i giudici di merito, che avevano ritenuto di compensare le spese di entrambi i gradi del giudizio nella misura di ¼, tenuto conto dell’esito complessivo del giudizio e del fatto che l’appellata avesse, in via principale, insistito per la conferma della sentenza, mentre la restante parte andava posta a carico dell’appellante per la prevalente soccombenza, non avevano considerato che l’appellata non aveva proposto appello incidentale sulle spese, che l’esito dell’appello era stato complessivamente più favorevole per l’appellante e che, senza neppure motivare, la decisione sulle spese di primo grado era risultata peggiorativa per la posizione dell’appellante vittorioso, con conseguente violazione del principio secondo cui l’impugnazione può giovare soltanto a chi la propone e della posizione autonoma della condanna alle spese.
2.2 Il secondo motivo è fondato.
La parziale riforma della decisione impugnata, da parte della sentenza d’appello, può, infatti, dar luogo alla modifica del capo relativo alle spese del primo grado di giudizio solo all’esito del rigoroso riscontro di un rapporto di dipendenza tra i due capi, inteso in senso costituzionalmente rispettoso del diritto all’impugnazione, tale cioè da non trasformare la proposizione dell’impugnazione in una reformatio in pejus per chi abbia
impugnato (Cass., Sez. 2, 19/1/2025, n. 1276, non massimata; Cass. Sez. 3, 05/10/2023, n. 28136).
Nella specie, occorre osservare come i giudici di primo grado avessero condannato il convenuto alla restituzione della somma richiesta di euro 58.451,14, mentre la Corte d’Appello, riformando detta pronuncia, aveva condannato l’appellante, originario convenuto, al pagamento della minor somma di euro 38.967,43, consentendo al predetto di ritenere la quota della metà, riconosciuta di proprietà del padre, decurtata della quota spettante alla madre a titolo successorio dal coniuge. Nella determinazione delle spese, poi, i giudici d’appello, in assenza di appello incidentale sul punto, avevano compensato per un quarto quelle di entrambi i gradi del giudizio, ponendo la restante parte a carico di NOME COGNOME che avevano condannato a pagare, quanto al primo grado, la somma complessiva di euro 7.616,00 (i cui ¾ ammontano a euro 5.712,99) per compensi, oltre accessori di legge, a fronte di una liquidazione operata con la sentenza impugnata nella misura di euro 2.728,00.
E’ allora evidente come la condanna totale alle spese del primo grado sia stata quantitativamente inferiore rispetto alla compensazione parziale operata in secondo grado, sicché, non essendovi stata un’impugnazione sul punto, vi è stata, nella sostanza, una reformatio in peius dovuta a extrapetizione, in contrasto col principio secondo cui l’obbligo di rideterminazione globale delle spese di lite, che spetta al giudice di appello quando riforma anche parzialmente la sentenza di primo grado, cede di fronte al divieto di ultrapetizione.
Deriva da quanto detto la fondatezza della censura.
3.1 Con il terzo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 comma primo, n. 3 cod. proc. civ., perché la Corte di merito aveva
erroneamente condannato l’appellante al pagamento delle spese legali del giudizio di secondo grado, nonostante fosse stato vittorioso in tale grado, sicché avrebbe dovuto al più compensare integralmente le spese.
3.2 Il terzo motivo è invece infondato.
Come correttamente evidenziato nella proposta di definizione ex art. 380bis cod. proc. civ., in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, che in quella di concorso di altri giusti motivi (Cass., Sez. 6-3, 17/10/2017, n. 24502; Cass., Sez. 5, 31/3/2017, n. 8421).
Rientra, peraltro, nel potere discrezionale del giudice di merito, sottratto anch’esso al sindacato di legittimità, la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (Cass., Sez. 6-3, 26/05/2021, n. 14459; Cass., Sez. 2, 20/12/2017, n. 30592; Cass., Sez. 2, 31/01/2014, n. 2149).
In conclusione, dichiarata la fondatezza del secondo motivo e l’infondatezza del terzo, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata limitatamente alle spese del primo grado del giudizio.
Peraltro, non essendovi questioni di fatto da analizzare, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384, secondo comma,
cod. proc. civ., disponendosi che le spese del primo grado siano liquidate nella misura di euro 2.728,00.
In ragione della parziale soccombenza del ricorrente, le spese del presente giudizio devono essere compensate tra le parti.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dispone che le spese del giudizio di primo grado siano quantificate in euro 2.728,00.
Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16/4/2025.