Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 22507 Anno 2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Civile Ord. Sez. 3 Num. 22507 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
SEZIONE TERZA CIVILE
composta dai signori magistrati:
dott. NOME COGNOME
Presidente
dott. NOME COGNOME
Consigliera
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliere relatore
dott. NOME COGNOME
Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 19598 del ruolo generale dell’anno 2024, proposto da
COGNOME NOME COGNOMEC.F.: TARGA_VEICOLO)
rappresentata e difesa dall’avvocat o NOME COGNOMEC.F.: RMN CODICE_FISCALE
-ricorrente principale-
-controricorrente al ricorso incidentale-
nei confronti di
COGNOME NOME (C.F.: BRN MLN 85D64 E098P) COGNOME NOME (C.F.: PLL NDR 71L07 E098X)
entrambi rappresentati e difesi dall’avvocat o NOME COGNOMEC.F.: PLL NDR 71L07 E098X)
-ricorrenti incidentali-controricorrenti al ricorso principale-
per la cassazione della sentenza della Corte d’a ppello di Trieste n. 264/2024, pubblicata in data 6 giugno 2024; udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del
20 giugno 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
NOME COGNOME e NOME COGNOME dopo avere sporto querela, si sono costituiti parte civile nel processo penale promosso nei confronti di NOME COGNOME per il delitto di diffamazione
Oggetto:
RESPONSABILITÀ CIVILE DIFFAMAZIONE
Ad. 20/06/2025 C.C.
R.G. n. 19598/2024
Rep.
posto in essere nei loro confronti attraverso la pubblicazione di alcuni messaggi su una pagina Facebook . Il giudizio penale, dopo una condanna in primo grado, si è concluso con l’assoluzione della COGNOME in appello. La sentenza penale di appello è stata, peraltro, cassata da questa Corte, ai soli fini civili (Cass. pen., Sez. 5, sentenza n. 37036 dell’8 settembre 2023), con rinvio per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello, ai sensi dell’art. 622 c.p.p..
All’esito del giudizio di rinvio, la domanda risarcitoria è stata accolta dalla Corte d’a ppello di Trieste, che ha condannato la COGNOME a pagare a ciascuno degli attori l’importo di € 4.000,00 . Ricorre la COGNOME, sulla base di quattro motivi.
Resistono con controricorso la COGNOME ed il COGNOME che propongono a loro volta ricorso incidentale sulla base di due motivi.
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis .1 c.p.c..
Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c..
Ragioni della decisione
1. Esame dei primi tre motivi del ricorso principale
1.1 Con il primo motivo del ricorso principale si denunzia « omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.) ovvero mancato esame delle circostanze di fatto che portavano ad escludere la riferibilità degli epiteti alle controparti ».
La ricorrente contesta la decisione impugnata nella parte in cui la Corte d’appello ha affermato che le espressioni diffamatorie di cui di discute (segnatamente, le espressioni « quattro stronzi » e « 7 coglionazzi vestiti a festa ») erano effettivamente riferibili agli attori.
Sostiene, in particolare, che la Corte d’appello avrebbe ignorato « la sequenza e il contenuto completo dei singoli commenti, i ripetuti riferimenti a ‘Rete 4’, i riferimenti al cameraman ed alle inquadrature, il numero di ‘7 coglionazzi’ ecc. ecc.) », che, a suo avviso sarebbero state « assolutamente decisive nel portare ad escludere la riferibilità degli epiteti alle controparti ». Il motivo è inammissibile.
La Corte d’appello, premesso che « la tesi difensiva fatta propria dal Giudice penale d ‘ appello », secondo cui l’espressione « quattro stronzi » era riferita all’emittente ‘ Rete 4 ‘ e non agli attori, era stata ritenuta dalla Corte di Cassazione, in sede penale, fondata su motivazione non adeguata, ha poi affermato espressamente che « non solo dal tenore letterale dei commenti e delle risposte appostate su facebook appare evidente un collegamento tra le persone dei querelanti e l ‘ epiteto offensivo, non solo lo stesso risulta apposto di seguito alla foto ritraente anche i querelanti, ma neppure la COGNOME -scegliendo di rimanere assente al dibattimento penale di prime cure come sottolineato da quel Giudice -ha affermato di aver così definito l ‘ emittente televisiva, che curò le interviste, piuttosto che gli intervistati a lei invisi per le opinioni da loro espresse. Inoltre comunque tutte le contumelie appostate apparivano rivolte verso le persone raffigurate nella foto sovrastante e non v ‘ è alcun elemento nei messaggi appostati dalla convenuta che lumeggi in qualche modo che intendesse offendere l ‘ emittente televisiva e non le persone raffigurate nella sovrastante fotografia ». Ha, inoltre, aggiunto: « quanto poi alla tesi difensiva che sia l’epiteto ‘ quattro stronzi ‘ che ‘ 7 coglionazzi ‘ fosse rivolto impersonalmente ad un insieme indistinto di persone inquadrate nell ‘ ambito del servizio televisivo trasmesso rimane smentito dal fatto che detti commenti risultano sempre apposti sotto la foto ritraente -tra gli altri -i due querelanti, sicché non vi può essere serio dubbio che era rivolta anche a loro in quanto parte de gruppo ritratto ».
Si tratta di accertamenti di fatto sostenuti da una motivazione fondata sull’esame e sul prudente apprezzamento di tutti gli elementi istruttori rilevanti, ivi inclusi (quanto meno in via implicita) quelli di cui la ricorrente deduce l’omesso esame, motivazione certamente adeguata, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non sindacabile nella presente sede
D’altra parte, è appena il caso di ribadire che, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, « l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, prin cipale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il ‘fatto storico’, il cui esame sia stato omesso, il ‘dato’, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il ‘come’ e il ‘quando’ tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua ‘decisività’, fermo restando c he l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie » (Cass., Sez. U, sentenza n. 8053 del 7/04/2014; Sez. U, sentenza n. 8054 del 7/04/2014; Sez. 6 – 3, sentenza n. 25216 del 27/11/2014; Sez. 3, sentenza n. 9253 del l’ 11/04/2017; Sez. 2, ordinanza n. 27415 del 29/10/2018; Sez. 2, ordinanza n. 17005 del 20/06/2024).
Nella specie, non vi è dubbio che il fatto storico rilevante (la riferibilità delle espressioni diffamatorie agli attori, nel contesto del mezzo informatico con il quale esse erano state diffuse) sia stato preso in considerazione e correttamente valutato ed accertato dalla Corte territoriale, sulla base di motivazione adeguata, onde non potrebbe avere alcun rilievo anche l’eventualità che nella sentenza non si fosse dato conto di tutte le risultanze probatorie.
In definitiva, le censure formulate con il motivo di ricorso in esame finiscono per risolversi nella contestazione di insindacabili accertamenti di fatto operati dai giudici del merito sulla base di adeguata motivazione, nonché nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito in sede di legittimità.
1.2 Con il secondo motivo del ricorso principale si denunzia « Violazione o falsa applicazione delle norme di diritto (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) in relazione alla mancata allegazione e prova del danno (artt. 2043 e 2059 c.c.) ».
Il motivo è inammissibile.
La ricorrente sostiene che gli attori non avrebbero allegato, nell’atto di riassunzione del giudizio in sede civile, alcun elemento idoneo a consentire l’accertamento e la liquidazione del danno subito, onde la Corte d’appello avrebbe liquidato tale danno esclusivamente sulla base della valutazione del fatto in sé, come se si trattasse di un ‘ danno in re ipsa ‘ .
Non è richiamato, però, nel ricorso, in modo puntuale e specifico, il contenuto rilevante degli atti difensivi degli stessi attori, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. (limitandosi la ricorrente ad affermare, del tutto apoditticamente, che « è pacifico che gli attori in riassunzione non abbiano dedotto nulla di ‘diverso dal fatto in sé’ »), come sarebbe stato necessario per la valutazione della fondatezza dell’assunto, e ciò anche tenendo conto della circostanza che il danno era stato già ritenuto
sussistente e liquidato dal giudice penale in primo grado, evidentemente sulla base delle allegazioni svolte dagli attori in sede di costituzione di parte civile.
Ciò impedisce in radice alla Corte di accedere al merito della censura formulata con il motivo di ricorso in esame.
1.3 Con il terzo motivo del ricorso principale si denunzia « omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.) ovvero mancato esame delle circostanze rilevanti per una corretta quantificazione del danno ».
Secondo la ricorrente, la Corte d’appello non avrebbe adeguatamente considerato tutte le circostanze di fatto da lei dedotte in relazione alla corretta liquidazione del danno, che, sempre secondo il suo assunto, avrebbero dovuto condurre ad una determinazione di un importo inferiore a quello effettivamente riconosciuto, anche considerando che il giudice penale di primo grado, pur sull’assunto del carattere diffamatorio di tutte e non solo alcune -delle espressioni allegate come tali dagli attori, aveva liquidato un importo inferiore.
Anche questo motivo è inammissibile.
La Corte d’appello ha liquidato il danno sulla base delle seguenti considerazioni: « Quanto alla concorrenza in concreto del danno -come già sottolineato dal Tribunale in sede penale -risulta che le parole offensive furono appostate su siti Facebook visibili, anche attraverso altri siti, a un sensibile numero di utenti -circa 10 mila ricorda il primo Giudice -in Gorizia città di circa 35 mila abitanti in relazione a questione sensibile nel dibattito sociale e politico cittadino. Come già ricordato i due querelanti erano ritratti nella foto appostata cui sotto seguirono gli epiteti ingiuriosi ricordati, sicché non concorrono dubbi sulla circostanza fattuale che poterono esser riconosciuti dagli utenti che li conoscevano ed inoltre -come ricordato dal Tribunale -la COGNOME riappostò un anno dopo il medesimo post, peraltro mai
rimosso dal sito originario. Dunque concorre effettività del pregiudizio all ‘ onore ed immagine pubblica dei due riassumenti, per giunta scientemente mantenuto e riproposto nel tempo, e trattandosi di danno morale nell ‘ impossibilità da parte dei soggetti lesi di fornire adeguata prova dell ‘ entità del pregiudizio subito può questa Corte ricorrere alla liquidazione in via equitativa del ristoro, ex artt. 1226 e 2056 cod. civ. Liquidazione che dovrà tener conto della circostanza che solo due espressioni sono state ritenute offensive e della risonanza della condotta nel limitato ambiente cittadino goriziano per persone che hanno anche -come ricorda la stessa convenuta in riassunzione -avuto -all ‘ epoca -ed anche successivamente una visibilità pubblica. Pertanto equo reputa la Corte fissare, a valori attuali, il ristoro in € 4.000,00 per ciascuno dei soggetti riassumenti, con interessi legali di mora ad iniziare dal 1.6.2024 sino al saldo ».
Analogamente a quanto osservato in relazione al primo motivo di ricorso, si tratta di una motivazione fondata sull’esame e sul prudente apprezzamento di tutti gli elementi istruttori rilevanti, ivi inclusi (quanto meno in via implicita) quelli di cui la ricorrente deduce l’omesso esame, motivazione certamente adeguata, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non sindacabile nella presente sede.
Anche in questo caso, non vi è dubbio che i fatti storici rilevanti (e, cioè, quelli incidenti sull’entità del pregiudizio arrecato dalla pubblicazione delle espressioni diffamatorie, tenuto conto anche della diffusione dello scritto, della rilevanza dell ‘ offesa e della posizione sociale delle vittime) siano stati presi in considerazione e correttamente accertati dalla Corte territoriale, sulla base di motivazione adeguata, onde non potrebbe avere alcun rilievo anche l’eventualità che nella sentenza non si fosse dato conto di tutte le risultanze probatorie.
Anche con riguardo al profilo in esame, pertanto, in definitiva, le censure formulate con il motivo di ricorso in esame finiscono per risolversi nella contestazione di insindacabili accertamenti di fatto operati dai giudici del merito sulla base di adeguata motivazione, nonché nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito in sede di legittimità.
2. Esame del quarto motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale
Con il quarto motivo del ricorso principale si denunzia « Violazione o falsa applicazione delle norme di diritto (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) in relazione alla mancata compensazione delle spese di lite (art. 92, comma 2, c.p.c.) ».
La ricorrente sostiene che la Corte d’appello non avrebbe adeguatamente considerato che l’esito complessivo e globale del giudizio aveva dato luogo ad una situazione di parziale soccombenza reciproca delle parti, essendo stata la domanda degli attori parzialmente respinta, quanto meno in relazione ad alcune delle pretese risarcitorie, nonché in relazione alle spese del processo penale: ciò avrebbe comportato l’erronea applicazione del principio della soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c..
Con il primo motivo del ricorso incidentale si denunzia « Violazione ed errata applicazione (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) degli artt. 91 e 92 c.p.c., con riferimento alle statuizioni relative alle spese sostenute nei precedenti giudizi penali ».
I ricorrenti contestano la decisione impugnata nella parte in cui la Corte d’appello ha escluso la « liquidazione delle spese di lite relative ai primi due gradi del giudizio penale (innanzi il Tribunale di Gorizia e la Corte d’Appello di Trieste) ».
Con il secondo motivo del ricorso incidentale si denunzia « Violazione o falsa applicazione delle norme di diritto (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) in relazione all’art. 4, comma 1 (Tabella
15) e all’art. 4, comma 1 -bis, del Decreto 55/2014 come aggiornato dal D.M. 147/2022 ».
I ricorrenti deducono che la Corte d’appello non avrebbe correttamente applicato i parametri tariffari per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità davanti alla Corte di Cassazione penale e quello di rinvio in sede civile.
2.1 L’esame dell’ultimo motivo del ricorso principale e dei due motivi di quello incidentale può essere effettuato congiuntamente, avendo tutti tali motivi ad oggetto il capo della decisione impugnata relativo alla regolamentazione delle spese processuali.
2.2 In proposito, deve osservarsi, in primo luogo, che la decisione impugnata certamente non risulta conforme all’indirizzo di questa Corte (espressamente richiamato dalla stessa parte ricorrente in via incidentale e, comunque, almeno implicitamente, alla base anche delle censure svolte con l’ultimo motivo del ricorso principale), al quale va senz’altro data continuità, secondo il quale « nell’ipotesi di cassazione della sentenza penale di assoluzione ai soli effetti civili, nel giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p., il giudice civile deve provvedere sulle spese dell’intero giudizio applicando il principio della soccombenza all’esito globale del processo, e quindi liquidarle in favore della parte che, pur essendo stata soccombente nelle fasi precedenti l’annullamento, sia risultata vincitrice all’esito del rinvio » (Cass., Sez. 3, sentenza n. 1570 del 19/01/2023; Sez. 3, ordinanza n. 26130 del 7/09/2023).
Nella specie, la Corte d’appello, nel negare che potessero essere « riconosciute le spese di difesa delle parti civili in sede penale di merito posto che la causa si fondava sull’azione penale esercitata dal P.M. conclusasi con l’assoluzione dell’imputata, ex art 541 cod. proc. pen. », ha disatteso, in particolare, il principio di diritto, alla base degli arresti appena richiamati, in base al quale « è regola del giudizio di rinvio, applicabile anche a quello in esame, che all ‘ interno di un procedimento civile, la parte soccombente nei gradi di merito precedenti a quello di legittimità, che poi risulti vittoriosa all ‘ esito del giudizio di rinvio, ha diritto ad ottenere la liquidazione non solo delle spese processuali relative ai giudizi di rinvio e di cassazione, ma anche di quelle sostenute nel corso dell ‘ intero processo (Cass. n. 1407/ 2020; Cass. 15868/ 2015) (Cass. Sez. 3, n. 1570/2023 cit.) »; ciò « in quanto la decisione all ‘ esito del giudizio di rinvio è quella che chiude il procedimento, accogliendo o rigettando la domanda; non v ‘ è nuova domanda a seguito di rinvio, ma sempre la medesima, inizialmente proposta, la quale prosegue dopo l ‘ annullamento in cassazione; non rileva la circostanza che il giudizio di rinvio sulle sole domande civili sia autonomo rispetto a quello penale, come più volte ribadito da questa Corte, né che si determini una traslatio piena dal giudice penale a quello civile, in quanto tale regola mira solo a stabilire che il giudice civile può autonomamente rivalutare il fatto, accertandolo senza essere vincolato dalla decisione penale (Cass. 11936/ 2006; Cass. 16916/ 2019; Cass. 517/ 2020) ».
La mancata considerazione del rilievo delle fasi del giudizio sulla domanda di accertamento della responsabilità civile dell’imputata che si erano già svolte in sede penale, da parte della Corte d’appello civile, determina la radicale ed integrale difformità, rispetto ai principi di diritto sin qui esposti, del capo della decisione impugnata avente ad oggetto la regolamentazione delle spese processuali e ne impone l’integrale caducazione .
La suddetta regolamentazione, infatti, avrebbe dovuto essere effettuata, anche nel caso in esame, sulla base del principio della soccombenza in ragione dell ‘ esito globale del processo e, quindi, tenendo conto dell’avvenuto accoglimento, totale o parziale, di tutta la domanda (o dei diversi capi di domanda) come formulata inizialmente in sede di costituzione di parte civile, non solo in considerazione di quella parte di essa eventualmente ancora in discussione nel giudizio limitato agli effetti civili e, com unque, in quello di rinvio al giudice civile di cui all’art. 622 c.p.p..
Di conseguenza, il capo della decisione impugnata avente ad oggetto la regolamentazione delle spese processuali va integralmente cassato, affinché, in sede di rinvio, si provveda ad una nuova regolamentazione delle suddette spese tenendo conto dell’esito globale della lite, esteso all’intera domanda come originariamente formulata in sede penale e successivamente esaminata sia nel corso del suddetto giudizio penale che in quello successivo, di rinvio al giudice civile ai sensi dell’art. 622 c.p.p..
2.3 Ciò determina, altresì, l’assorbimento sia del secondo motivo del ricorso incidentale che delle altre censure di cui all’ultimo motivo del ricorso principale, dovendo le questioni con essi poste essere oggetto di rinnovata valutazione nello stesso giudizio di rinvio, all’esito della nuova decisione in ordine alla regolamentazione delle spese globali della controversia civile.
3. Conclusioni
È accolto il primo motivo del ricorso incidentale e, per quanto di ragione, il quarto motivo del ricorso principale, ricorso quest’ultimo che è per il resto disatteso; è assorbito il secondo motivo del ricorso incidentale.
La sentenza impugnata è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’a ppello di Trieste, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità (nonché per
quelle del procedimento cautelare di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 373 c.p.c.) .
Per questi motivi
La Corte:
-accoglie il primo motivo del ricorso incidentale e, per quanto di ragione, il quarto motivo del ricorso principale, ricorso quest’ultimo che è per il resto disatteso; dichiara assorbito il secondo motivo del ricorso incidentale;
-cassa, per l’effetto, la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’appello di Trieste, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità (nonché per quelle del procedimento cautelare di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 373 c.p.c.).
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Ci-