Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20155 Anno 2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Civile Ord. Sez. 3 Num. 20155 Anno 2025 Presidente: NOME Relatore: COGNOME Data pubblicazione: 18/07/2025
composta dai signori magistrati:
dott. NOME COGNOME
Presidente
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 6060 del ruolo generale dell’anno 2024, proposto da
COGNOME NOME (C.F.: TARGA_VEICOLO), in proprio e nella sua qualità di (già) Capogruppo in Consiglio Comunale a Nuvolera (BS) del gruppo politico di minoranza lista civica ‘RAGIONE_SOCIALE‘ rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA), in persona del legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME NOME (C.F.: SGT CODICE_FISCALE COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE) avvocato NOME COGNOME (C.F.: SGT
rappresentati e difes i dall’ LCN 68H67F990E)
-controricorrenti- per la cassazione della sentenza della Corte d’a ppello di Brescia n. 52/2024, pubblicata in data 15 gennaio 2024; udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del
22 maggio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
Oggetto:
RESPONSABILITÀ CIVILE DIFFAMAZIONE
Ad. 22/05/2025 C.C.
R.G. n. 6060/2024
Rep.
NOME e NOME COGNOME, nonché la RAGIONE_SOCIALE, hanno agito in giudizio nei confronti di NOME COGNOME per ottenere il risarcimento dei danni che assumono di avere subito in conseguenza della pubblicazione di un ‘ post ‘ diffamatorio sul sito Facebook del gruppo di minoranza nel consiglio comunale di Nuvolera, lista civica ‘RAGIONE_SOCIALE‘ , di cui il COGNOME era capogruppo.
Il Tribunale di Brescia ha accolto le domande proposte da NOME COGNOME e dalla RAGIONE_SOCIALE, rispettivamente per l’importo di € 3.000 ,00 e di € 1.000 ,00; ha, invece, rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME.
La Corte d’a ppello di Brescia, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha rigettato anche la domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE, confermando invece l’accoglimento di quella della sola NOME COGNOME.
Ricorre il Bianco COGNOME, sulla base di cinque motivi.
Resistono, con unico controricorso, NOME e NOME COGNOME nonché la RAGIONE_SOCIALE
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis .1 c.p.c..
Parte controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art.
380 bis .1 c.p.c..
Ragioni della decisione
Con il primo motivo del ricorso si denunzia « Violazione o falsa applicazione della norma ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. relativamente all’individuazione della responsabilità per le obbligazioni sociali/fatti illeciti compiuti dalle persone che rappresentano l’associazione priva di personalità giuridica ex art. 38 c.c. ».
Il ricorrente sostiene che la C orte d’appello gli avrebbe « attribuita la responsabilità della pubblicazione del post sulla pagina Facebook dell’associazione », confermando la sentenza di primo
grado, « pur in presenza della mancata prova dell’attribuzione del post ».
Il motivo è inammissibile.
1.1 Secondo il ricorrente, sarebbe stato violato l’art. 38 c.c., perché gli sarebbe stata attribuita la responsabilità dello scritto diffamatorio esclusivamente quale capogruppo della lista civica, ovvero legale rappresentante dell’associazione non riconosciuta, pur in mancanza di prova di una sua personale condotta illecita.
In realtà, la C orte d’appello non ha deciso nel merito la questione oggetto della censura del ricorrente: essa ha, invece, ritenuto, nella sostanza, inammissibile il suo primo motivo di appello, avente ad oggetto tale questione, in quanto esso non coglieva adeguatamente il senso della statuizione di primo grado impugnata.
1.2 La Corte territoriale ha affermato testualmente quanto segue, in proposito:
« È irrilevante quanto dedotto dall’appellante rispetto ad un asserito errore del Tribunale sulla contestazione del fatto che avesse o meno inserito il post nel sito facebook del gruppo politico ‘RAGIONE_SOCIALE‘. Il testo della sentenza, che si riporta ‘la questione può essere esaminata nel merito, dovendosi ritenere non contestata l’attribuzione al convenuto della responsabilità della pubblicazione apparsa sulla pagina facebook del gruppo politico ‘RAGIONE_SOCIALE‘ di Nuvolera di cui all’epoca egli era capogruppo consiliare in Comune’ è stato male interpretato nel motivo di impugnazione. NOME COGNOME che era stato convenuto in giudizio in qualità di capogruppo del gruppo consiliare ‘RAGIONE_SOCIALE‘, non aveva contestato questa sua qualità, né il titolo della responsabilità che derivava dalla sua carica politica per le condotte che potevano attribuirsi al gruppo, tra le quali rientra la pubblicazione
del post del 9.12.2013, che trattava argomenti rilevanti all’interno dell’amministrazione del Comune di Nuvolera ».
Per come è formulata la motivazione, parrebbe, in verità, potersi addirittura evincere che la C orte d’appello si sia limitata a rilevare che il Tribunale aveva ritenuto non contestata, in fatto, la attribuibilità al convenuto della condotta di pubblicazione dello scritto diffamatorio, quale responsabile dell’attività posta in essere dal gruppo anche sul proprio profilo social (indipendentemente dal soggetto che aveva poi materialmente inserito il post sul profilo Facebook ).
Il ricorrente, al contrario, parrebbe sostenere che i giudici di merito abbiano affermato (erroneamente, in diritto) che egli dovesse rispondere comunque delle condotte riconducibili all’associazione, in virtù della sua mera posizione di legale rappresentante (essendo in realtà limitata la sua non contestazione esclusivamente a tale qualità), quindi anche in mancanza di una condotta illecita a lui direttamente imputabile.
1.3 Come già chiarito, la C orte d’appello non ha , peraltro, valutato e ritenuto infondato nel merito il motivo di appello relativo alla sussistenza della responsabilità del convenuto per la pubblicazione dello scritto diffamatorio, ma ha sostanzialmente ritenuto inammissibile il predetto motivo di gravame perché la censura non era coerente con la effettiva ratio decidendi alla base della statuizione impugnata: si tratta, cioè, di una statuizione di carattere meramente processuale.
Il motivo di ricorso in esame non è diretto a contestare specificamente tale statuizione di carattere processuale (il che avrebbe dovuto avvenire con la puntuale indicazione delle ragioni per cui, in realtà, il motivo di appello coglieva adeguatamente l’effettiva ratio decidendi alla base della statuizione di primo grado, contrariamente a quanto ritenuto dalla C orte d’appello), ma il merito della decisione sul piano del diritto sostanziale: secondo il ricorrente, sarebbe stato, infatti, violato l’art.
38 c.c., in quanto gli sarebbe stata attribuita la responsabilità dello scritto diffamatorio, non perché egli fosse direttamente responsabile della sua pubblicazione, ma solo in quanto capogruppo della lista civica, ovvero -parrebbe di intendere -quale l egale rappresentante dell’associazione non riconosciuta.
1.4 Si tratta, in primo luogo, di una censura di violazione di norme di diritto sostanziale (art. 38 c.c.) che, così come formulata, parrebbe risultare in realtà -al più -diretta contro la decisione di merito di primo grado, non contro quella della corte d’appello, il cui oggetto è esclusivamente la specificità del motivo di appello (e che, quindi, ha contenuto meramente processuale).
1.5 D’altra parte, per valutare se la C orte d’appello abbia ritenuto correttamente (o meno) che il motivo di appello avanzato dal NOME COGNOME non coglieva adeguatamente l’effettiva ratio della decisione di primo grado, sarebbe stato necessario un puntuale richiamo del contenuto, non solo della decisione del Tribunale, ma, altresì, degli atti difensivi del giudizio di primo grado e del preciso contenuto del motivo di gravame sul punto in contestazione, onde poter verificare gli effettivi termini in cui la questione della riconducibilità al convenuto dello scritto pubblicato era stata posta nel giudizio di primo grado, quelli sulla base dei quali era stata decisa dal Tribunale e quelli in base ai quali la decisione era stata censurata in sede di gravame.
Tale richiamo del contenuto degli atti processuali, sui quali potrebbe fondarsi la censura in esame, manca del tutto nel ricorso, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., onde la censura stessa deve ritenersi inammissibile, anche sotto tale profilo.
Con il secondo motivo si denunzia « Violazione o falsa applicazione della norma ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. relativamente alla scriminante della critica politica, ai sensi dell’art. 51 c.p. ».
Il ricorrente contesta la decisione impugnata nella parte in cui la C orte d’appello ha escluso che lo scritto in contestazione costituisse legittimo esercizio del diritto di critica politica.
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
2.1 La Corte di merito ha ritenuto, in diritto, che l’esercizio del diritto di critica politica non scriminasse la condotta diffamatoria posta in essere dal ricorrente -peraltro, nei confronti della sola NOME COGNOME -in quanto ha accertato, in fatto, che lo scritto controverso diffondeva notizie false sul conto di quest’ultima, che neanche potevano essere ritenute putativamente corrispondenti a verità, e che, dunque, la critica politica era stata illegittimamente esercitata in relazione a tali notizie false.
2.2 La decisione impugnata risulta, in diritto, conforme all’indirizzo consolidato di questa Corte secondo cui « in tema di responsabilità civile per diffamazione, il diritto di critica non si concreta nella mera narrazione di fatti, ma si esprime in un giudizio avente carattere necessariamente soggettivo rispetto ai fatti stessi; per riconoscere efficacia esimente all ‘ esercizio di tale diritto, occorre, tuttavia, che il fatto presupposto ed oggetto della critica corrisponda a verità, sia pure non assoluta, ma ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze soggettive » (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 19204 del 6/07/2023; Sez. 3, Ordinanza n. 21892 del 21/07/2023; Sez. 3, Ordinanza n. 36530 del 29/12/2023).
2.3 D’altra parte, è principio altrettanto consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, quello secondo il quale « in tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa, la ricostruzione storica dei fatti, la valutazione del contenuto degli scritti, l ‘ apprezzamento in concreto delle espressioni usate come lesive dell ‘ altrui reputazione e la valutazione dell ‘ esistenza o meno dell ‘ esimente dell ‘ esercizio dei diritti di cronaca e di critica costituiscono oggetto di accertamenti in fatto, riservati al giudice di merito ed insindacabili in sede di
legittimità se sorretti da argomentata motivazione » (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 18631 del 9/06/2022; Sez. 3, Ordinanza n. 5811 del 28/02/2019; Sez. 3, Ordinanza n. 6133 del 14/03/2018; Sez. 3, Sentenza n. 80 del 10/01/2012; Sez. 3, Sentenza n. 20138 del 18/10/2005).
2.4 Ne consegue che la censura di violazione dell’art. 51 c.p. è infondata in diritto, mentre, per il resto, il motivo di ricorso si risolve nella contestazione di accertamenti di fatto sostenuti da adeguata motivazione, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale, quindi, non sindacabile nella presente sede.
Con il terzo motivo si denunzia « Violazione o falsa applicazione della norma ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. relativamente al risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 1226 c.c. ».
Il ricorrente sostiene che non era stata affatto fornita la prova del danno, necessaria ai fini della sua liquidazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. .
Il motivo è infondato.
A sostegno della censura di violazione dell’art. 1226 c.c. , il ricorrente stesso si limita a trascrivere alcuni passaggi della motivazione di una decisione di questa Corte [« La sentenza della Suprema Corte n. 25164/2020, in tema di ricorso alla prova presuntiva, specifica che: ‘Premessa la diversa (e non più discutibile) ontologia del danno morale, questa Corte ha costantemente affermato (per tutte, Cass. civ. sez. Unite n. 26972/2008) che, attenendo il pregiudizio non patrimoniale de quo ad un bene immateriale, il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo e può costituire anche l’unica fonte di convincimento del giudice, pur essendo onere del da nneggiato l’allegazione di tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata dei fatti noti, onde consentire di risalire al fatto ignoto (così
definitivamente superandosi la concezione del danno in re ipsa, secondo la quale il danno costituirebbe una conseguenza imprescindibile della lesione, tale da rendere sufficiente la dimostrazione di quest’ultima affinchè possa ritenersi sussistente il diritto al risarcimento). 4.1.2. Occorre, cioè, verificare se, alla complessità della morfologia del danno non patrimoniale, derivante dalla complessità contenutistica dei diritti della persona di volta in volta lesi, corrisponda un altrettanto articolato onere assertorio e probatorio. In ossequio al disposto dell’art. 163 c.p.c., comma 2, n. 4, oggetto di allegazione devono essere i fatti primari, ovvero i fatti costitutivi del diritto al risarcimento del danno e, con specifico riguardo alle conseguenze pregiudizievoli causalmente riconducibili alla condotta, l’attività assertoria deve consistere nella compiuta descrizione di tutte le sofferenze di cui si pretende la riparazione (mentre all’onere di allegazione dei danni non corrisponde un onere di qualificazione giuridica, ovvero il loro inquadramento sub specie iuris, alla luce del principio iura novit curia). 4.1.3. L’onere di allegazione è altresì funzionale all’esplicazione del diritto di difesa, onde consentire di circoscrivere il contenuto dello speculare onere di contestazione e, di conseguenza, di delimitare, nell’ambito dei fatti allegati, quelli da provare’ ], per poi sostenere, in modo del tutto apodittico, che « La Corte di Appello di Brescia non si atteneva a tale principio ».
Anche al di là della assoluta genericità e del carattere apodittico della censura così formulata, ritiene il Collegio che la Corte d’appello si sia , in realtà, correttamente attenuta ai principi di diritto richiamati dallo stesso ricorrente, avendo affermato, in proposito: « La prova del danno non patrimoniale subito da NOME COGNOME è stata raggiunta per presunzione, tramite la prova della diffusione via web della pubblicazione diffamatoria che aveva ad oggetto notizie false sul suo operato di Sindaco dalla
quale era seguito il discredito della sua condotta inerente la carica elettiva ricevuta dai cittadini di Nuvolera ».
Si tratta di un accertamento di fatto sostenuto da adeguata, benché sintetica, motivazione in ordine alla sussistenza, in via presuntiva, della sofferenza morale derivata alla parte attrice dal discredito causato dalla pubblicazione controversa, motivazione non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale, quindi, non sindacabile in sede di legittimità.
Tale accertamento presuntivo sulla sussistenza del danno è, di per sé, sufficiente a giustificare la sua liquidazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c.
Va, quindi, esclusa la dedotta violazione di tale ultima disposizione.
Con il quarto motivo si denunzia « Violazione o falsa applicazione della norma ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. relativamente principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c. ».
Il ricorrente formula due distinte censure:
a) contesta la mancata condanna alle spese processuali di NOME COGNOME, la cui domanda è stata rigettata già in primo grado; b) contesta che, nonostante in sede di appello sia stata parzialmente riformata la decisione di primo grado, con il rigetto (anche) della domanda risarcitoria proposta da RAGIONE_SOCIALE (oltre a quella di NOME COGNOME in proprio), la C orte d’appello lo ha condannato a pagare un terzo delle spese del doppio grado di giudizio (anche) in favore degli attori soccombenti, oltre che in favore dell’unica attrice vittoriosa, NOME COGNOME.
Il motivo è fondato, con riguardo alla seconda censura.
Le originarie domande risarcitorie erano state proposte da NOME COGNOME, da NOME COGNOME e dalla RAGIONE_SOCIALE
In primo grado sono state accolte quelle di NOME COGNOME e della RAGIONE_SOCIALE, mentre è stata rigettata quella di NOME COGNOME. Il Tribunale ha, peraltro, condannato il convenuto
COGNOME NOME a rimborsare alla società RAGIONE_SOCIALE e a NOME COGNOME le spese di causa (liquidate in € 2.000,00 per compensi professionali ed € 545,00 per spese/anticipazioni), senza nulla precisare in relazione alle spese relative alla domanda (rigettata) di NOME COGNOME.
La C orte d’appello ha accolto l’appello in relazione alla (sola) domanda della RAGIONE_SOCIALE e rigettato la domanda di quest’ultima, confermando invece l’accoglimento di quella di NOME COGNOME.
Ha, poi, rinnovato la liquidazione delle spese dell’intero doppio grado di giudizio e le ha compensate per due terzi, condannando il convenuto NOME COGNOME al pagamento del residuo terzo in favore di tutti gli appellati (quindi, anche in favore di NOME RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, attori integralmente soccombenti), ritenendo sussister e una situazione di ‘ reciproca soccombenza ‘.
Alla luce di tale decisione, va disattesa la censura relativa alla omessa pronuncia in ordine alle spese relative alla domanda proposta da NOME COGNOME per il primo grado.
La statuizione in parola non è, però, conforme agli artt. 91 e 92 c.p.c..
In primo luogo, la situazione di reciproca soccombenza delle parti, posta dalla C orte d’appello a fondamento della statuizione sulle spese dell’intero doppio grado di giudizio di merito, in realtà non sussiste affatto: erano state, infatti, proposte tre diverse e distinte domande risarcitorie, da tre diversi soggetti, di cui una è stata, all’esito del doppio grado di giudizio, accolta e le altre due rigettate.
Pertanto, vi erano tre diversi autonomi rapporti processuali e la valutazione di soccombenza andava effettuata distintamente in relazione a ciascuno di tali tre distinti rapporti, non complessivamente.
Di conseguenza, anche le spese di lite andavano liquidate in relazione a ciascun rapporto processuale, sulla base della soccombenza individuata con riguardo ad ognuno di essi.
La decisione risulta, d’altra parte, erronea in diritto anche perché, per quanto riguarda le domande proposte da NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE, entrambe rigettate, è stato violato il principio per cui la parte integralmente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno in parte, al pagamento delle spese in favore di quella integralmente soccombente: il convenuto NOME COGNOME, quindi, non poteva essere condannato a pagare, neanche in parte, le spese del doppio grado di giudizio in favore di tali soggetti, spese che potevano, al più, essere in parte o in tutto compensate, in presenza delle eccezionali ragioni di cui all’art. 92, comma 2, c.p.c., da esplicitare nella motivazione.
Tali rilievi impongono la cassazione con rinvio dell’intero capo della decisione impugnata avente ad oggetto le spese del doppio grado di giudizio.
La C orte d’appello dovrà, in sede di rinvio, valutare autonomamente i tre distinti rapporti processuali (in nessuno dei quali è ravvisabile reciproca soccombenza, perché ognuna delle tre domande avanzate o è stata integralmente accolta o è stata integralmente rigettata) e stabilire se vi sono altri motivi legittimi di compensazione, per ciascuno di essi, ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c., ovvero se le spese debbano essere liquidate, per ciascun rapporto processuale, sulla base del principio della socco mbenza, ai sensi dell’art. 91 c.p.c..
Con il quinto motivo si denunzia « Violazione o falsa applicazione della norma ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. relativamente alle norme sulla mediazione obbligatoria di cui al d.lgs. n. 28 del 2010 ».
Il motivo è inammissibile.
Essendo stata rigettata, nel merito, la domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE, la questione della sua procedibilità deve ritenersi del tutto irrilevante e il ricorso, sotto tale profilo, è inammissibile per difetto di interesse, in quanto avanzato dalla parte integralmente vittoriosa nel merito.
È accolto, per quanto di ragione e nei termini sopra evidenziati, il quarto motivo del ricorso, che è disatteso per il resto. La sentenza impugnata è cassata in relazione al l’unico motivo accolto, per quanto di ragione, con rinvio alla Corte d’a ppello di Brescia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Per questi motivi
La Corte:
-accoglie, per quanto di ragione, il quarto motivo del ricorso, che è disatteso per il resto, e cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Ci-