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Spese legali: chi paga se vince un solo attore?

Un politico, citato per diffamazione da tre soggetti (due persone fisiche e una società), veniva condannato a risarcire solo una di esse. La Corte d’Appello, tuttavia, lo obbligava a pagare una parte delle spese legali a tutti e tre, inclusi i due che avevano perso la causa. La Corte di Cassazione ha annullato questa decisione, stabilendo un principio fondamentale sulla ripartizione delle spese legali: in caso di pluralità di domande, la soccombenza va valutata per ogni singolo rapporto processuale. Pertanto, il convenuto deve rimborsare le spese solo all’attore vittorioso, mentre le parti soccombenti non hanno diritto ad alcun rimborso e possono, anzi, essere condannate a pagare le spese alla controparte.

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Pubblicato il 23 agosto 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Spese Legali: Come si Ripartiscono in Cause con Più Attori?

La gestione delle spese legali rappresenta uno degli aspetti più delicati e sentiti nei contenziosi giudiziari. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fatto luce su un quesito cruciale: cosa succede quando un convenuto viene citato in giudizio da più attori, ma risulta vittorioso nei confronti di alcuni e soccombente verso altri? La Corte ha stabilito un principio di diritto fondamentale, affermando che la valutazione della soccombenza, e la conseguente condanna alle spese, deve avvenire in modo distinto per ciascun rapporto processuale. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso: una Causa per Diffamazione a più Voci

La vicenda trae origine da un’azione legale per diffamazione promossa da tre soggetti – una società e due persone fisiche – contro un esponente politico locale. L’accusa era legata alla pubblicazione di un post, ritenuto diffamatorio, sulla pagina Facebook di un gruppo consiliare di minoranza.

Il Tribunale di primo grado aveva accolto le domande di risarcimento di due dei tre attori, rigettando quella del terzo. In appello, la decisione veniva parzialmente riformata: la Corte territoriale confermava la condanna al risarcimento in favore di una sola attrice, rigettando anche la domanda della società. All’esito del doppio grado di giudizio, quindi, il convenuto risultava soccombente solo nei confronti di una delle tre controparti.

Nonostante ciò, la Corte d’Appello lo condannava a pagare un terzo delle spese dell’intero doppio grado di giudizio in favore di tutti gli attori, compresi quelli le cui domande erano state respinte, ritenendo sussistente una “reciproca soccombenza”. Contro questa statuizione sulle spese, il convenuto proponeva ricorso in Cassazione.

La Decisione della Cassazione: Nozione di Soccombenza e Spese Legali

La Suprema Corte ha accolto il motivo di ricorso relativo alla violazione delle norme sulla ripartizione delle spese legali, cassando con rinvio la sentenza impugnata su questo specifico punto. Gli altri motivi, relativi alla responsabilità per il post diffamatorio e al diritto di critica, sono stati invece rigettati.

La Corte ha chiarito che l’approccio del giudice d’appello è stato errato. In presenza di tre domande risarcitorie distinte, proposte da tre soggetti diversi, si configurano tre autonomi rapporti processuali. La valutazione della soccombenza non può essere complessiva, ma deve essere condotta separatamente per ciascuno di questi rapporti.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione richiamando il principio fondamentale sancito dall’art. 91 del codice di procedura civile, noto come “principio di soccombenza”. Secondo tale principio, la parte che perde la causa è tenuta a rimborsare le spese alla parte vittoriosa.

Nel caso di specie, il convenuto era risultato integralmente vittorioso nei confronti di due attori, le cui domande erano state rigettate. Pertanto, non solo non poteva essere condannato a pagare loro le spese, ma avrebbe avuto, in linea di principio, il diritto di vedersi rimborsate le proprie. La Corte d’Appello ha errato nel configurare una “reciproca soccombenza” in una situazione in cui, per due dei tre rapporti, vi era una vittoria netta e totale del convenuto.

La decisione impugnata ha violato un principio cardine del nostro ordinamento processuale: la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, neppure in parte, al pagamento delle spese in favore della parte integralmente soccombente. Il giudice di rinvio dovrà quindi procedere a una nuova liquidazione delle spese, valutando autonomamente i tre distinti rapporti processuali e applicando correttamente il principio di soccombenza per ciascuno di essi.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza della Cassazione offre un importante chiarimento per tutti i contenziosi con una pluralità di parti. Le implicazioni pratiche sono significative:

1. Valutazione Separata: In caso di domande cumulate da più attori, il giudice deve valutare l’esito di ogni singola domanda per determinare chi paga le spese legali.
2. Tutela della Parte Vittoriosa: Una parte che ottiene il rigetto completo della domanda proposta nei suoi confronti non può essere condannata a pagare le spese alla controparte soccombente.
3. Chiarezza nei Rapporti Processuali: La decisione ribadisce che la presenza di più parti non crea un unico calderone processuale, ma una serie di rapporti distinti che devono essere analizzati singolarmente ai fini della regolamentazione delle spese.

In conclusione, la sentenza rafforza il principio di causalità e responsabilità nella gestione delle spese legali, assicurando che l’onere economico del processo gravi su chi ha dato illegittimamente causa al giudizio, senza penalizzare chi si è difeso con successo.

Se vengo citato in giudizio da più persone ma solo una vince la causa, devo pagare le spese legali a tutti?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la soccombenza va valutata per ogni singolo rapporto processuale. Di conseguenza, il convenuto è tenuto a rimborsare le spese legali solo all’attore che ha vinto la causa. Non può essere condannato a pagare le spese agli attori le cui domande sono state respinte.

La responsabilità del capogruppo di un’associazione non riconosciuta per un post diffamatorio è automatica?
La sentenza non affronta direttamente il merito di questa questione, in quanto il relativo motivo di ricorso è stato dichiarato inammissibile per ragioni processuali. La Corte non si è pronunciata sulla sussistenza o meno di una responsabilità automatica del capogruppo, ma ha solo rilevato che la censura del ricorrente non era correttamente formulata contro la decisione d’appello.

Il diritto di critica politica giustifica la diffusione di notizie false?
No. La Corte ha confermato il principio consolidato secondo cui, per invocare l’esimente del diritto di critica, il fatto presupposto e oggetto della critica deve corrispondere a verità, sia pure non assoluta ma almeno putativa (cioè ragionevolmente ritenuta vera sulla base delle fonti). Poiché nel caso di specie i giudici di merito avevano accertato che lo scritto diffondeva notizie false, hanno correttamente escluso l’applicazione della scriminante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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