Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24007 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 24007 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 27/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17963/2021 R.G. proposto da : COGNOME rappresentato e difeso da se medesimo e dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende -ricorrente incidentale- avverso ORDINANZA di TRIBUNALE MILANO n. 19634/2019 depositata il 21/04/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/05/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. L’avv. NOME COGNOME ottenne, a seguito di ricorso al Tribunale di Milano, il decreto ingiuntivo n. 3855/19 notificato il 14/02/19 relativamente ad un credito ammontante ad euro 47.482,90, maturato per la prestazione professionale -giudiziale e stragiudiziale -svolta in favore della Banca di Credito Cooperativo di Milano sulla base di un contratto di assistenza professionale annuale, rinnovabile annualmente, sottoscritto in data 16/12/1996 dal professionista e dall’allora RAGIONE_SOCIALE di Sesto San Giovanni Soc. RAGIONE_SOCIALE
Con ricorso ex art. 702bis c.p.c. ed ex art.14 del D. Lgs n.150 del 2011, la banca propose opposizione avverso il decreto ingiuntivo e chiese dichiararsi l’improponibilità e/o l’improcedibilità della domanda per illegittimo frazionamento del credito; nel merito, chiese, in via principale, accogliersi l’opposizione e revocarsi il decreto ingiuntivo e, in subordine, determinarsi il compenso, se dovuto, sulla base della ‘ convenzione operativa e tariffaria con i legali fiduciari ‘ stipulata in data 11.4.2013 e del relativo allegato 1, quale ‘ tabella dei parametri economici di riferimento ‘; in via ulteriormente subordinata, chiese applicarsi i parametri ministeriali vigenti al momento della conclusione dell’attività da parte del professionista.
Si costituì in giudizio COGNOME NOME e sollevò eccezione di inammissibilità dell’opposizione per tardività, essendo stata proposta con ricorso ex art. 14 D. Lgs. 150/11 anziché con atto di citazione; lamentò che il decreto ingiuntivo aveva ad oggetto compensi anche per prestazioni di assistenza stragiudiziale e che si era formato il giudicato in relazione ad altro decreto ingiuntivo recante n. 1395/2018, RGN 13134/2017, emesso dal Tribunale di Monza; nel merito, chiese il rigetto dell’opposizione e, in via subordinata, qualora il Tribunale avesse ritenuto applicabile la convenzione tariffaria del 2013, chiese rideterminarsi i compensi a
norma dell’art. 2233 comma 2 c.c. e secondo i parametri di equità di cui all’art. 13 bis della L. 247/2012 e, per l’effetto, chiese la condanna della Banca al pagamento della somma di euro 47.842,90, oltre accessori di legge ed interessi ex d.lgs. 231/2002 dal dovuto al saldo.
All’esito del giudizio, il Tribunale di Milano, con ordinanza collegiale del 21/04/2021, accolse parzialmente l’opposizione dell’istituto di credito e, per l’effetto, revocò il decreto ingiuntivo; condannò l’opponente a pagare al convenuto opposto la somma di euro 3.230,00, oltre interessi moratori dalla domanda al saldo, con compensazione delle spese di lite.
Per quel che rileva in questa sede, il giudice del gravame rigettò l’eccezione di inammissibilità dell’opposizione, trattandosi di procedimento regolato dall’art. 14 d.lgs. 150/2011 , perché le prestazioni stragiudiziali erano prodromiche o complementari all’attività giudiziale civile e con esse strettamente connesse.
Per quanto concerneva l’eccezione di giudicato, il Tribunale di Milano statuì che il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Monza non poteva avere effetto di giudicato nel giudizio dinanzi a sé, in quanto relativo al pagamento di compensi per attività diverse da quelle oggetto del giudizio, rese in forza di autonomi rapporti di mandato, basate su differenti petitum e causa petendi .
Il Tribunale escluse che sussistesse un illegittimo frazionamento del credito, evidenziando che i crediti azionati derivavano da distinti incarichi professionali che si erano susseguiti nel tempo e, pertanto, non attenevano ad un unico rapporto obbligatorio.
Quanto alla validità della convenzione dell’11.4.2013, affermò che, contrariamente a quanto sostenuto dall’Avv. COGNOME non si era realizzato alcun mutuo consenso in riferimento ad un nuovo contenuto testuale del contratto a seguito della proposta modificativa dell’avvocato, avvenuta con la missiva del 12.6.2013, cui non era seguita l’accettazione della banca, tanto che era
intervenuto il recesso dalla convenzione del 1996; tuttavia, l’Avv. COGNOME, sebbene non avesse sottoscritto la convenzione del 12.6.13, aveva concluso, in data 29.5.2015, un accordo di liquidazione dei compensi con la BBC Gestione Crediti, mandataria della Banca di Credito Cooperativo, che richiamava le tariffe della convenzione del 12.6.13, integrate con le modifiche ed integrazioni contenute nella missiva del 12.6.2013 inviata dallo stesso Avv. COGNOME alla BCC Gestione Crediti.
Secondo il Tribunale, per le attività svolte fino al 30.6.2014, la somma concordata nell’accordo si riferiva a tutti gli incarichi eseguiti fino al 30.6.2014 mentre, per le attività svolte successivamente, si applicavano i compensi dell’Allegato 1 della Convenzione dell’11.4.2013, con le modifiche ed integrazioni del 12.6.2013.
Il Tribunale rigettò la domanda subordinata di nullità dell’accordo per violazione dell’art.13 bis della Legge n.247 del 2012, poiché detta normativa era entrata in vigore il 6.12.2017, dopo la rinuncia al mandato da parte dell’Avv. COGNOME avvenuta in data 16.11.2017, e rigettò conseguentemente anche la domanda subordinata di rideterminazione del compenso ex 2233, comma 2, c.c.
COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano sulla base di diciassette motivi.
2.1.La Banca di Credito Cooperativo di Milano ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale articolato in quattro motivi, cui l’avv. COGNOME ha resistito con controricorso.
2.2. In prossimità dell’adunanza in camera di consiglio le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.E’ opportuno evidenziare che tra le medesime parti pendevano innanzi a questa Corte numerosi giudizi aventi ad oggetto la
medesima vicenda sostanziale e le stesse questioni di diritto oggi riproposte.
Reputa il collegio di dare seguito ai principi di diritto già enunciati nei numerosi precedenti, tra cui si richiamano Cass. N. 7354/2025, Cass. N.7355/2025, Cass N. 9733/2025, Cass. N. 9735/2025, Cass. N. 12905/2025.
Deve essere preliminarmente esaminata l’eccezione sollevata dal NOME COGNOME nella memoria ex art. 378 c.p.c. in riferimento all’asserito vizio di costituzione del giudice, ex art. 276 c.p.c., per essersi svolto il giudizio di opposizione, introdotto secondo il rito semplificato di cui all’art. 14 del D. Lgs. n.150/2011, davanti al giudice relatore, che avrebbe riservato la decisione, autorizzando il deposito delle memorie di replica, mentre il procedimento avrebbe dovuto essere non solo deciso ma anche trattato dal Tribunale in composizione collegiale, a pena di nullità.
L’eccezione non merita accoglimento.
Il vizio di costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c. – derivante dalla violazione dell’art. 276 c.p.c. correlato alla previsione speciale di collegialità dell’art. 14 del D. Lgs. n. 150/2011, ratione temporis applicabile, determina una nullità insanabile (Cass. 6.6.2016 n.11581), che in forza del rinvio dell’art. 158 c.p.c. all’art. 161 c.p.c., può essere fatta valere solo nei limiti e secondo le regole proprie del ricorso in cassazione.
Nel caso in esame, il vizio di costituzione del giudice non è stato censurato né col ricorso principale, né con quello incidentale, ma con memoria ex art. 378 c.p.c., né può essere rilevato d’ufficio (Cass. N. 12905 del 2025).
Con il primo motivo di ricorso si denunzia la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 641, 645, e 702 bis c.p.c., artt. 28 legge 13 giugno 1942 n. 794 e artt. 3 e 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, per non avere il Tribunale accolto l’eccezione di inammissibilità per tardività
dell’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla banca. Il ricorrente si duole del fatto che il Tribunale non abbia valutato che il credito da lui vantato fosse relativo sia all’attività giudiziale che stragiudiziale, e, pertanto, la banca avrebbe dovuto introdurre il giudizio di opposizione con citazione, ai sensi dell’art. 645 c.p.c. e non con ricorso, peraltro, notificato il 17/09/2019, ben oltre il termine di quaranta giorni, ex art. 641 c.p.c., dalla notifica dell’ingiunzione , avvenuta il 14/02/2019.
3.1 Il motivo è infondato.
Il Tribunale ha accertato che il ricorso monitorio era teso ad ottenere il pagamento del compenso dell’avvocato NOME COGNOME sia per attività giudiziali civili che stragiudiziali connesse, svolte a favore della Banca di Credito Cooperativo di Sesto San Giovanni (Cass. n. 7354/2025; Cass. 12905 del 2025).
Pertanto, la banca ha correttamente introdotto il giudizio con ricorso ex art. 702 bis c.p.c, essendo le attività stragiudiziali connesse a quelle giudiziali.
Di conseguenza la banca ben poteva avvalersi del deposito del ricorso entro quaranta giorni dalla notifica del decreto ingiuntivo, anziché dell’atto di citazione notificato nello stesso termine ai fini dell’opposizione.
L’opposizione era, quindi, tempestiva.
In ogni caso, come statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte (SSUU 12.1.2022 n. 758; nello stesso senso Cass. n. 5659/2022), nei procedimenti «semplificati» disciplinati dal D.Lgs. n. 150/2011, nel caso in cui l’atto introduttivo sia proposto con citazione, anziché con ricorso eventualmente previsto dalla legge, il procedimento – a norma dell’art. 4 del D.Lgs. n. 150/2011 – è correttamente instaurato se la citazione sia notificata tempestivamente, producendo essa gli effetti sostanziali e processuali che le sono propri, ferme restando le decadenze e preclusioni maturate secondo il rito erroneamente prescelto dalla parte; tale sanatoria
piena si realizza indipendentemente dalla pronuncia dell’ordinanza di mutamento del rito da parte del giudice, la quale opera solo pro futuro, ossia ai fini del rito da seguire all’esito della conversione, senza penalizzanti effetti retroattivi, restando fermi quelli, sostanziali e processuali, riconducibili all’atto introduttivo, sulla scorta della forma da questo in concreto assunta e non a quella che esso avrebbe dovuto avere, dovendosi avere riguardo alla data di notifica della citazione effettuata quando la legge prescrive il ricorso o, viceversa, alla data di deposito del ricorso quando la legge prescrive l’atto di citazione.
Pertanto, nel caso di specie, quand’anche il decreto ingiuntivo fosse stato chiesto dall’avvocato anche per il pagamento di compensi per attività stragiudiziali svincolate dall’attività giudiziale civile, una volta scelto dall’opponente, anche se erroneamente, il rito sommario di cognizione semplificato ex artt. 702 bis c.p.c. e 14 del D. Lgs. n. 150/2011 (previsto per le sole attività giudiziali civili e stragiudiziali connesse o complementari), con la proposizione dell’opposizione a decreto ingiuntivo al Tribunale di Milano in composizione collegiale mediante ricorso con richiamo dell’art. 702 bis c.p.c., la tempestività di quest’ultimo non poteva che essere valutata facendo riferimento alla data del suo deposito secondo le regole del rito scelto, e non a quella della notificazione alla controparte del ricorso e del decreto di fissazione di udienza, data l’irretroattività degli effetti del mutamento di rito eventualmente disposto ed anche a prescindere da tale mutamento.
4. Con il secondo motivo si denunzia, ex art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2909 e 2233 c.c., per non avere il Tribunale accolto l’eccezione di giudicato formatosi in riferimento ad un precedente decreto ingiuntivo del Tribunale di Monza, non validamente opposto, che avrebbe identità di petitum e causa petendi .
Con il terzo motivo, correlato al precedente, si censura il vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 2909 c.c. e art. 645 c.p.c., nonché in relazione agli artt. 132 e 134 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost., in riferimento all’obbligo di motivazione, poiché il Tribunale di Milano avrebbe ritenuto che i contratti del 2013/2015 non fossero coperti da giudicato con riferimento all’opposizione dichiarata tardiva dal Tribunale di Monza.
Con il quarto motivo, si censura il vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 112 c.p.c. e 2909 c.c., perché Tribunale di Milano, distinguendo tra attività svolta prima e dopo il 30/06/2014, avrebbe erroneamente stabilito che la prima fosse già stata remunerata e la seconda andasse liquidata sulla base della convenzione del 2015. Diversamente, il Tribunale di Monza, con sentenze passate in giudicato, avrebbe diversamente liquidato il compenso per attività svolte ante giugno 2014 perché non regolate dall’accordo del 2015.
6.1. I motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono infondati.
Il preteso giudicato esterno, formatosi tra le stesse parti sul decreto ingiuntivo del Tribunale di Monza n. 1395/2018, è insussistente.
L’accertamento dell’operatività della convenzione tariffaria del 1996 rispetto a taluni incarichi di difesa (e che rendeva applicabili le tariffe professionali), non può ritenersi oggetto di un giudicato esterno anche rispetto ad ogni ulteriore mandato difensivo, costituente un diverso titolo giustificativo del diritto al compenso per le distinte attività (Cass. n. 7354/2025; Cass. 32370/2023; Cass. 10430/2023; cfr., per i rapporti di durata, Cass. 17223/2020, Cass. 10430/2023; Cass. 37/2019 secondo cui il vincolo di giudicato, sia pur formato in relazione a periodi temporali diversi, opera solo a condizione che il fatto costitutivo sia lo stesso ed in
relazione ai soli aspetti permanenti del rapporto, con esclusione di quelli variabili).
Il Tribunale ha accertato che il presente giudizio ha ad oggetto il pagamento di compensi per incarichi professionali differenti e autonomamente conferiti rispetto a quelli oggetto dell’asserito giudicato, anche se in forza della medesima regolazione tariffaria convenzionale reiterata negli anni fino al raggiungimento dell’accordo liquidatorio del 29.4.2015. Pertanto, le cause, connotate da diversità sia di petitum che di causa petendi, non sono coperte da giudicato.
L’ordinanza impugnata ha poi sottolineato che, nel ricorso che aveva portato all’emissione del decreto ingiuntivo del Tribunale di Monza tardivamente opposto, non era stata fatta menzione della convenzione che, secondo la prospettazione della banca, sarebbe stata conclusa l’11.4.2013, né dell’accordo effettivamente raggiunto il 29.4.2015, per cui non si era formato alcun giudicato implicito in ordine alla vigenza o meno di quegli accordi per gli incarichi oggetto della presente controversia, evidentemente invocabile, per il principio che il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, solo per i distinti incarichi di cui al ricorso monitorio accolto dal Tribunale di Monza.
Il quinto motivo denunzia la nullità, ex art. 360, n. 4 c.p.c., degli artt. 134 c.p.c. e 111 Cost. in quanto il Tribunale avrebbe valutato l’attività prestata in ragione dei singoli ed autonomi mandati conferiti, salvo poi liquidarla complessivamente, con contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili.
7.1. Il motivo è infondato.
Il Tribunale, con motivazione non apparente, ha spiegato le ragioni per le quali, in relazione alla convenzione dell’11.4.2013, non si era realizzato alcun mutuo consenso in riferimento ad un nuovo contenuto testuale del contratto di cui alla proposta modificativa dell’avvocato con la lettera del giugno 2013, e, a conferma di ciò
era intervenuto il recesso dalla convenzione del 1996; tuttavia, l’Avv. COGNOME, sebbene non avesse sottoscritto la convenzione del 12.6.13, aveva concluso, in data 29.5.2015, un accordo di liquidazione dei compensi con la BBC Gestione Crediti, mandataria della Banca di Credito Cooperativo, che richiamava le tariffe della convenzione del 12.6.13, integrate con le modifiche ed integrazioni contenute nella missiva del 12.6.2013 inviata dallo stesso Avv. COGNOME alla BCC Gestione Crediti.
Secondo il Tribunale, per le attività svolte fino al 30.6.2014, la somma concordata nell’accordo si riferiva a tutti gli incarichi eseguiti fino al 30.6.2014, mentre per le attività svolte successivamente si applicavano i compensi dell’Allegato 1 della Convenzione dell’11.4.2013, con le modifiche ed integrazioni del 12.6.2013.
Il sesto motivo denunzia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, n. 3 c.p.c., nonché la nullità della ordinanza ex art. 360 n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 112 c.p.c., per essersi il Tribunale di Milano pronunziato ultra ed extrapetita , avendo affermato che l’accordo del 29/04/15 fosse omnicomprensivo di tutte le posizioni affidate all’avv. COGNOME e non solo di quelle espressamente indicate nell’accordo.
8.1. Il motivo è infondato.
8.2. Il vizio di ultrapetizione è configurabile unicamente nel caso in cui il giudice attribuisca alla parte un bene non richiesto, o maggiore di quello richiesto (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 702 del 04/03/1968, Rv. 331920; conf. Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16608 del 11/06/2021, Rv. 661686).
Non integra vizio di ultrapetizione la libera valutazione dei mezzi di prova dedotti dalle parti, relativamente ai fatti sui quali permanga la contestazione tra le medesime, che sia condotta dal giudice di merito nei limiti della questione che è stata sottoposta alla sua
cognizione (cfr. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 15734 del 17/05/2022, Rv. 665101).
Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto che l’accordo liquidatorio del 29.4.2015 comprendesse i compensi per l’attività compiuta dal legale fino al 30.6.2014, mentre i compensi per l’attività successiva si sarebbero dovuti liquidare secondo la tabella allegata alla convenzione della convenzione dell’11.4.2013, come modificata ed integrata dalla lettera del professionista del 12.6.2013. Ciò non in virtù di una sottoscrizione formale della convenzione, ma perché l’accordo del 29.4.2015 la richiamava per disciplinare le attività svolte dopo il 30.6.2014.
Il Tribunale ha deciso in ordine alla domanda, interpretando i contratti conclusi tra le parti ed il corredo probatorio in atti, sottraendosi, pertanto, al vizio di extrapetizione.
Con il settimo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, n. 3 c.p.c., degli artt. 1362 e segg. c.c. nonché degli artt. 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost. sull’obbligo di motivazione, nella parte in cui il Tribunale ha attribuito all’accordo liquidatorio del 29/04/15, un valore omnicomprensivo di tutte le pratiche affidategli, quando, invece, esso era riferito soltanto a 96 posizioni.
Con l’ottavo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, n. 3 c.p.c., degli artt. 1362 e ss. c.c., e dell’art. 115 c.p.c., per avere il Tribunale attribuito alla convenzione efficacia retroattiva, in contrasto con il materiale probatorio costituito dallo scambio di missive con la banca.
Con il nono motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, n. 3 c.p.c., degli artt. 1362 e ss. c.c., e degli artt. 112 e 115 c.p.c., per avere il Tribunale escluso la deroga contenuta nella convenzione, che specificamente prevederebbe l’esclusione dell’applicabilità della convenzione stessa alle pratiche affidate in epoca precedente alla stipula.
11.1. I motivi, che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.
E’ consolidato il principio secondo cui, in tema di interpretazione e qualificazione dei contratti, l’accertamento della volontà in relazione al contenuto del negozio si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito, che è incensurabile in sede di legittimità se non quando la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito dal giudice per attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto o per violazione delle regole ermeneutiche stabilite dagli artt. 1362 e ss. cod. civ.; ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati (Cass. ord. 31.12.2024 n.35277; Cass. n. 18214/2024; Cass. n. 99461/2021; Cass. 27136/2017; Cass. 16254/2012; Cass. 24539/2009).
Il sindacato di legittimità non può vertere sul risultato interpretativo in sé, afferendo esso alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (tra le altre, Cass., 10 febbraio 2015, n. 2465).
La Corte di cassazione non può intervenire per sostituire un’interpretazione plausibile con un’altra altrettanto plausibile (Cass. ord. 27.9.2024 n. 25836; Cass. 10.5.2018 n. 11254; Cass. 28.11.2017 n. 28319; Cass. 15.11.2017 n. 27136), come è certamente l’interpretazione fornita dal Tribunale di Milano.
Il Tribunale, nell’ordinanza impugnata, ha interpretato l’accordo liquidatorio del 29.4.2015 secondo il suo tenore letterale e valorizzando il comportamento tenuto dalle parti prima della
sottoscrizione, ritenendo contraria a buona fede l’interpretazione proposta dall’avvocato COGNOME volta a limitarne l’applicabilità alle sole pratiche elencate nell’allegato.
Più specificatamente, per le attività svolte dall’avv. COGNOME in data anteriore al 30.6.2014, l’ordinanza impugnata ha privilegiato il dato testuale del riferimento a tutte le attività prestate dal professionista per la B.C.C., anche se per errore non riportate nell’elenco degli incarichi allegato, in quanto le parti avevano utilizzato l’espressione ‘salvo errori o omissioni’, in relazione all’importo di € 599.828,22 (da ridurre in sede di fatturazione del 25%), intendendolo vincolante ed omnicomprensivo, non essendo stata formalizzata alcuna riserva per attività anteriori al 30.6.2014 non ricollegate ad incarichi ricompresi nell’elenco.
La Corte di merito, ricomprendendo nell’importo di € 599.828,22 tutte le attività poste in essere dall’avv. COGNOME per la BCC prima del 30.6.2014, indipendentemente dal loro collegamento con gli incarichi elencati, ha valorizzato la circostanza che l’accordo liquidatorio non era stato predisposto unilateralmente dalla banca.
Quanto alla deroga del punto 5.2 alla convenzione dell’11.4.2013, prevista nella lettera dell’avv. COGNOME del 12.6.2013 (quella che prevedeva l’applicazione della convenzione solo alle pratiche nuove), l’ordinanza impugnata ha chiarito che non si era formato alcun vincolo contrattuale nel 2013, poiché la controproposta ivi contenuta non era stata mai accettata dal Direttore Generale della BCC, come si evince dalla lettera a sua firma del 18.6.2013.
Inoltre, tale clausola è risultata superata, per incompatibilità, dalla disciplina dettata nell’accordo liquidatorio del 29.4.2015 ( come già ritenuto da questa Corte con la sentenza n. 12905 del 2025, pronunciata tra le medesime parti).
L’interpretazione data dal Tribunale di Milano è quindi plausibile e conforme ai canoni ermeneutici degli articoli 1362 e 1366 cod. civ.
Il decimo motivo denunzia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, n. 3 c.p.c. e la nullità della pronuncia, in relazione agli artt. 132 e 134 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost., in riferimento all’obbligo di motivazione che il Tribunale avrebbe disatteso, posto che da un lato ha dichiarato il mancato accordo sulla convenzione tariffaria dell’11/4/2013 -desunto dall’intervenuto recesso, nel dicembre 2015, dal contratto di consulenza del 1996 da parte della banca stessa -dall’altro ha operato un ragionamento opposto e quindi contraddittorio in relazione all’accordo dell’aprile 2015, che, insiste il ricorrente, non poteva che riferirsi soltanto ad alcune pratiche dal medesimo curate e quindi non era omnicomprensivo, quale doveva considerarsi, invece, il contratto del 1996.
12.1. Il motivo è inammissibile perché, dopo la riforma dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. non è più sindacabile la motivazione contraddittoria, o illogica e non è certamente configurabile, né risulta lamentata la mancanza, o mera apparenza della motivazione, o una contraddittorietà della stessa di tale gravità da non consentire di comprendere le effettive ragioni della decisione adottata.
L’undicesimo motivo denunzia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, n. 3 c.p.c., dell’art. 2233 c.c., del D.M. n. 55/14 e del D.M. n. 127/04, dell’art. 13 bis della legge professionale forense, come introdotto dal D.L. n. 148/2017 (c.d. ‘equo compenso’), nonché degli artt. 24, 35 e 36 Cost.
Il dodicesimo motivo lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 2233 c.c.
14.1 I motivi, che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.
Il ricorrente lamenta che il Tribunale aveva deciso di non dover applicare la legge sull’equo compenso per intervenuto esaurimento del rapporto avvocato/banca, a causa della rinuncia al mandato,
avvenuta il 16/11/2017 prima dell’entrata in vigore della legge de qua.
Come già deciso in varie pronunce, questa Corte ritiene che in tema di onorari professionali, l’art. 13 bis della l. n. 247 del 2012, vigente ratione temporis (introdotto dall’art. 19 quaterdecies del d.l. n. 148 del 2017, conv. con modif. dalla l. n. 172 del 2017, con effetti dall’1.1.2018), relativo al cd. equo compenso dell’avvocato, non ha natura interpretativa e valore retroattivo, per cui non è applicabile ai rapporti professionali ormai cessati e alle prestazioni già espletate anteriormente alla sua entrata in vigore (Cass. n. 7354/25).
Nel caso di specie, l’impugnata ordinanza ha escluso l’applicabilità ai rapporti professionali di causa dell’art. 13 bis della L.P.F., essendo intervenuta la rinuncia agli incarichi professionali dell’avvocato NOME COGNOME in data 16.11.2017, e quindi in data anteriore all’1.1.2018.
A ciò va aggiunto che trattandosi nella specie di tariffe concordate dalle parti nell’accordo liquidatorio del 29.4.2015, il Tribunale non ne avrebbe potuto disapplicare il contenuto economico, in quanto la pattuizione negoziale costituisce il criterio di determinazione del compenso privilegiato anche se difforme dalla tariffa forense (Cass. n. 15407/2024; Cass. n. 7904/2020).
Il tredicesimo motivo lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, n. 3 c.p.c. nonché l’omessa motivazione ex art. 360, n. 5 c.p.c., in relazione all’art. 2697 c.c. ed all’art. 112 c.p.c., oltreché in relazione all’art. 2233 c.c., per avere il Tribunale ritenuto provato il pagamento dei compensi spettanti al professionista per l’attività svolta ante 30/06/14 senza che la B.C.C. nulla avesse provato al riguardo.
15.1. Il motivo è inammissibile perché volto ad un riesame fattuale della vicenda inammissibile in sede di legittimità (ex plurimis, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. ord. 28.3.2025 n. 8176;
Cass. n. 16448/2024; Cass. n. 4979/2024; Cass. n. 35782/2023; Cass. n. 30878/2023).
Insussistente è la doglianza sulla violazione della regola dell’onere probatorio di cui all’art.2697 cod. civ., avendo il Tribunale deciso sulla base del materiale istruttorio, senza alcuna inversione dell’onere della prova.
16. Con il quattordicesimo motivo, subordinato ai precedenti, si denuncia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, n. 3 c.p.c., degli artt. 1362 e segg. c.c. e degli artt. 1372 e 2233 c.c., nonché degli artt. 112 e 115 c.p.c., per avere il Tribunale, nella liquidazione dei compensi, dapprima richiamato la convenzione del 2015, integrata dalla lettera del 12/06/13, salvo poi discostarsene del tutto.
16.1 Il motivo è, anch’esso, inammissibile perché attinge valutazioni di merito, essendo volto ad ottenere in sede di legittimità il riconoscimento di compensi ulteriori per pratiche affidate al RAGIONE_SOCIALE dalla BCC, per le quali egli assume di aver fornito prova del recupero dei crediti mediante transazioni, o procedure esecutive, con conseguente diritto alla maggiorazione del compenso secondo la previsione del punto 3.4 della lettera del 12.6.2013 dell’avv. COGNOME, indicata come integrativa della convenzione dell’11.4.2013.
Si tratta di indagine che è volta alla rivalutazione di elementi istruttori sottratti al sindacato di legittimità.
17. Il quindicesimo motivo, anch’esso subordinato, denuncia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, n. 3 c.p.c., del D.M. n. 55/14, degli artt. 1372 , 2233 e 2234 c.c., nonché degli artt. 112 e 115 c.p.c., nella parte in cui il Tribunale, nel quantificare i compensi, non ha tenuto conto della effettiva attività espletata nelle diverse fasi processuali e, sebbene per alcune prestazioni il collegio abbia rilevato la gratuità, questa non poteva estendersi
anche ad una supposta rinuncia dell’avvocato ad essere rimborsato delle spese anticipate.
16.1. Il quindicesimo motivo è inammissibile, perché sia pure richiamando asserite violazioni di legge, tende, in realtà, a sollecitare una diversa ricostruzione della volontà delle parti attraverso una differente valutazione del materiale istruttorio, non consentito in sede di legittimità.
Con il sedicesimo motivo, si denuncia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, n. 3 c.p.c., degli artt. 2233 e 2234 c.c., nonché degli artt. 24, 35 e 36 Cost. e degli artt. 112 e 115 c.p.c., per avere il Tribunale liquidato il compenso violando i minimi tariffari, quindi ledendo il decoro della professione.
18.1. Il motivo è infondato.
Va ricordato che l’accordo liquidatorio del 29.4.2015 è stato liberamente pattuito dalle parti e non è quindi modificabile dal giudice per adeguarlo al decoro professionale, in quanto le tariffe forensi sono stabilite a tutela dell’interesse del decoro e della dignità della categoria professionale e non dell’interesse generale della collettività (Cass. n.14293/2018; Cass. n. 1900/2017; Cass. n. 21235/2013; Cass. 22.11.1995 n. 12095).
Il diciassettesimo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, n. 3 c.p.c., degli artt. 2233 e 2234 c.c., nonché dell’art. 2 del D.M. n. 55/14, in relazione all’art. 112 c.p.c., per non avere il giudice di merito liquidato le spese forfettarie previste per legge, relative a due posizioni creditorie.
19.1. Il motivo è fondato.
L’ordinanza impugnata ha negato il rimborso delle spese generali sui compensi professionali liquidati all’avvocato COGNOME perché non previsto nella convenzione del 2013.
In realtà, il Tribunale ha ritenuto perfezionato tra le parti l’accordo liquidatorio del 29.4.2015, facente rinvio alla convenzione del 2013 come integrata dalla lettera dell’avv. COGNOME del 12.6.2013
sicché quando è stato sottoscritto l’accordo liquidatorio del 29.4.2015 era già entrato in vigore il D.M. n. 55/2014, che all’art. 2 prevedeva l’obbligatorietà del rimborso spese generali del 15% anche in caso di determinazione contrattuale del compenso.
20. Passando all’esame del ricorso incidentale, con il primo motivo la BCC denunzia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 1175 e 1375 c.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c., per avere il Tribunale rigettato l’eccezione di illegittimo frazionamento del credito per mancanza di unicità del rapporto obbligatorio.
20.1 Il motivo è infondato.
L’impugnata ordinanza ha escluso che ricorra un’ipotesi di illegittimo frazionamento del credito, sottolineando che si trattava di una pluralità di crediti discendenti da incarichi professionali distinti conferiti nel corso degli anni dalla BCC all’avvocato NOME COGNOME ancorché regolati da convenzioni tariffarie, e quindi non di crediti derivanti da un unico rapporto obbligatorio, sottolineando che la stessa BCC, per contrastare l’avversa eccezione di giudicato esterno del decreto ingiuntivo del Tribunale di Monza, emesso a favore del professionista, e tardivamente opposto dalla BCC, abbia sottolineato la diversità dei crediti fatti valere in quella sede, rispetto a quelli oggetto di questo giudizio, ed ha richiamato sul punto un precedente di questa Corte (Cass. ord. n.19898/2018). Già l’ordinanza di questa Corte n. 7354/2025 pronunciata tra le stesse parti per altri incarichi professionali ha ricordato che ‘non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un “unico rapporto obbligatorio”, proporre plurime richieste giudiziali di adempimento (Cass. sez. un. 23726/2007; Cass. 19898/2018; Cass. 15398/2019; Cass. 26089/2019; Cass. 9398/2017; Cass. 17019/2018) e anche le domande aventi ad oggetto distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, devono
esser proposte nel medesimo giudizio se le pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, salvo che risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata’ (Cass. n. 6591/2019; Cass. n. 17893/2018; Cass. n. 31012/2017; Cass. sez. un. 4090/2017), ed ha puntualizzato che è ammissibile il frazionamento ove sia riscontrabile un interesse processuale del creditore a proporre separati giudizi, interesse la cui verifica compete al giudice di merito (Cass. 24371/2021; Cass. 24721/2023; Cass. 24657/2023). Il quadro non risulta modificato dalla sentenza delle sezioni unite di questa Corte n. 7299 del 19.3.2025, nelle more sopravvenuta, chiamata a deliberare sulle diverse conseguenze riconducibili all’illegittimo frazionamento del credito (inammissibilità, o improponibilità della domanda; conseguenze sul piano delle spese processuali e della responsabilità ex art. 96 c.p.c.), che ha ribadito che ‘le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, e che tuttavia, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale, le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata (Cass. n. 6591/ 2019; Cass. n.17893/2018; Cass. n. 31012/2017; Cass. sez. un. 4090/2017). Ne deriva che
poiché nel caso in esame il Tribunale di Milano ha accertato l’esistenza di distinti crediti professionali rispetto a quelli separatamente azionati dall’avvocato NOME COGNOME ancorché basati su una medesima convenzione tariffaria dei compensi con la BCC, non riconducibili ad un rapporto obbligatorio unico e non inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato, né fondati sul medesimo fatto costitutivo, il provvedimento impugnato non era tenuto a motivare in ordine alla sussistenza in capo al creditore di un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, ben potendo il professionista legittimamente agire per il recupero di crediti relativi a distinti clienti della banca.
21. Il secondo motivo di ricorso incidentale denuncia la violazione/falsa applicazione dell’art. 1326 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., nella parte in cui il Tribunale non ha ritenuto concluso l’accordo del 2013 ritenendo che l’accettazione da parte dell’Avvocato COGNOME non sarebbe stata conforme alla proposta. 21.1. Il motivo è infondato.
Ai sensi dell’art. 2233, ultimo comma, c.c., i patti conclusi tra gli avvocati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali vanno redatti per iscritto a pena di nullità (Cass. 717/2023; Cass. 15563/2022; Cass. n. 24213/2021; Cass. 11597/2015), non potendo valere un’ipotetica non contestazione.
Nel caso di specie, il difensore aveva richiesto modifiche ritenute irrinunciabili, formulando una controproposta che la banca avrebbe dovuto accettare espressamente e per iscritto, accettazione della quale non dà conto la pronuncia, non potendo altrimenti giustificarsi l’applicazione delle previsioni tariffarie a tutte le pratiche curate dal ricorrente non ricadenti nell’ambito della successiva convenzione, che concerneva le sole attività svolte dopo 30.6.2014 (Cass. N.9733/25).
22. Il terzo motivo lamenta la nullità della pronuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., in relazione agli artt. 134 c.p.c. e 111 Cost., per avere il Tribunale contraddittoriamente ritenuto che le fatture emesse sulla base della convenzione del 2013 fossero relative all’esecuzione di detto contratto, salvo poi ritenere non conclusa la predetta convenzione per accettazione non conforme alla proposta.
22.1. Il motivo è inammissibile, in quanto dopo la riforma dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. operata dall’art. 54 comma 1 lettera b) del D.L. 22.6.2012 n. 134, non è più censurabile la contraddittorietà della motivazione.
Inoltre, non può ammettersi la rivalutazione in questa sede del materiale istruttorio rappresentato dalle fatture emesse dall’avvocato COGNOME allo scopo di desumerne, in contrasto con quanto deciso dal giudice di merito, la conclusione della convenzione del 2013 (Cass. 12905/2025).
23. Il quarto motivo denuncia la violazione/falsa applicazione degli artt. 1224 e 1284 c.c., nonché dell’art. 4 D. Lgs. n. 231/2002, nella parte in cui il Tribunale ha condannato la banca debitrice alla corresponsione degli interessi moratori a decorrere dalla domanda, anziché dalla data del provvedimento che aveva concluso il procedimento.
23.1. Il motivo è infondato.
Nel caso di richiesta avente ad oggetto il pagamento di compensi per prestazioni professionali rese dall’esercente la professione forense, gli interessi di cui all’art. 1224 cod. civ., competono a far data dalla messa in mora, coincidente con la data della proposizione della domanda giudiziale ovvero con la richiesta stragiudiziale di adempimento, e non anche dalla successiva data in cui intervenga la liquidazione da parte del giudice, eventualmente all’esito del procedimento sommario di cui al D. Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, non potendosi escludere la mora sol perché la
liquidazione sia stata effettuata dal giudice in misura inferiore rispetto a quanto richiesto dal creditore, in quanto il nostro ordinamento non ha recepito il principio romanistico in illiquidis non fit mora (Cass. ord. 10.10.2022 n. 29351; Cass. 19.8.2022 n. 24973; Cass. ord. 16.3.2022 n. 8611).
Nel caso in esame, essendo stato notificato il decreto ingiuntivo opposto il 14.02.2019, doveva trovare applicazione l’art. 1224 comma 4° cod. civ., introdotto dal D.L. n.132/2014, convertito nella L.n.162/2014, che dispone che, in assenza di predeterminazione delle parti, gli interessi dovuti a far data dalla domanda giudiziale siano quelli previsti dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento delle transazioni commerciali (ossia dal D. Lgs. n. 231/2002). Pertanto, il giudice di merito ha correttamente fatto decorrere gli interessi ex D. Lgs. 231/2002, dalla data della domanda giudiziale, da individuarsi in quella della notifica del decreto ingiuntivo dell’avv. NOME COGNOME
24. In conclusione, deve essere accolto il diciassettesimo motivo di ricorso principale e rigettati i restanti e deve essere rigettato il ricorso incidentale.
L’ordinanza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art.384 c.p.c., riconoscendo in favore del ricorrente le spese generali.
Atteso l’esito complessivo della lite, l e spese dell’intero giudizio vanno integralmente compensate tra le parti, considerato l’accoglimento parziale della domanda (a fronte della richiesta di € 47.482, 90 è stata liquidata la minor somma di € 3.230,00 ).
Ai sensi dell’art.13, comma 1 -quater del DPR n.115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari al doppio di quello previsto per il ricorso, a
norma dell’art.13, comma 1-bis, del DPR n.115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il diciassettesimo motivo del ricorso principale, rigetta i restanti, rigetta il ricorso incidentale, cassa il provvedimento impugnato in relazione al solo motivo accolto e, decidendo nel merito, riconosce in favore del ricorrente principale il rimborso delle spese generali.
Compensa, tra le parti, le spese d ell’intero giudizio.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 -quater del DPR n.115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’importo, a titolo di contributo unificato, pari al doppio di quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.13, comma 1-bis, del DPR n.115 del 2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 29/05/2025.