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Spese forfettarie avvocato: quando sono dovute?

La Corte di Cassazione si è pronunciata su una complessa vicenda tra un avvocato e un istituto di credito in merito al pagamento di compensi professionali. L’ordinanza chiarisce importanti principi sulla validità degli accordi, il frazionamento del credito e la tempestività dell’opposizione a decreto ingiuntivo. Il punto cruciale della decisione riguarda il riconoscimento delle spese forfettarie dell’avvocato, stabilendo che sono sempre dovute per legge, anche se non esplicitamente previste in una convenzione, qualora la normativa applicabile lo preveda.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Spese forfettarie avvocato: quando il rimborso è sempre dovuto

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta una complessa disputa tra un legale e un istituto di credito, offrendo chiarimenti cruciali su temi come accordi sui compensi, opposizione a decreto ingiuntivo e, soprattutto, il diritto al rimborso delle spese forfettarie dell’avvocato. La decisione sottolinea un principio fondamentale: il rimborso forfettario delle spese generali è un diritto sancito dalla legge che prevale anche su eventuali accordi che non lo prevedano esplicitamente.

I Fatti del Caso

Un avvocato otteneva un decreto ingiuntivo contro un istituto di credito per il pagamento di circa 47.000 euro a titolo di compensi per attività professionali, sia giudiziali che stragiudiziali, svolte sulla base di un rapporto di lunga data. La banca si opponeva al decreto, contestando la pretesa del legale su vari fronti. In particolare, l’istituto di credito sosteneva che il compenso dovesse essere calcolato sulla base di una convenzione tariffaria specifica, stipulata in un momento successivo all’inizio del rapporto.

Il Tribunale, in prima istanza, accoglieva parzialmente l’opposizione della banca, revocava il decreto ingiuntivo e condannava l’istituto a pagare una somma molto inferiore (circa 3.200 euro). Il professionista, ritenendo la decisione ingiusta, proponeva ricorso per cassazione, articolando ben diciassette motivi di contestazione. Anche la banca, a sua volta, proponeva un ricorso incidentale.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato i numerosi motivi di ricorso, rigettandone la maggior parte. Ha confermato la correttezza della decisione del Tribunale su questioni procedurali, come la tempestività dell’opposizione, e di merito, come l’inesistenza di un giudicato esterno derivante da un precedente decreto ingiuntivo e la corretta interpretazione degli accordi intervenuti tra le parti.

Tuttavia, la Cassazione ha accolto un motivo di ricorso del professionista, il diciassettesimo, ritenendolo fondato. Questo motivo riguardava il mancato riconoscimento del rimborso delle spese generali forfettarie, previste dalla normativa professionale.

Di conseguenza, la Corte ha cassato l’ordinanza impugnata limitatamente a questo punto e, decidendo nel merito, ha riconosciuto al ricorrente il diritto a tale rimborso, compensando però integralmente le spese dell’intero giudizio a causa dell’accoglimento solo parziale della domanda originaria.

Le Motivazioni della Sentenza: l’obbligatorietà delle spese forfettarie avvocato

Il cuore della decisione risiede nel ragionamento che ha portato all’accoglimento del diciassettesimo motivo di ricorso. Il Tribunale di merito aveva negato il rimborso delle spese forfettarie dell’avvocato sostenendo che non fosse previsto nella convenzione del 2013, richiamata nell’accordo liquidatorio successivo del 2015.

La Corte di Cassazione ha ribaltato questa interpretazione, affermando un principio di diritto cruciale: il rimborso delle spese generali nella misura del 15% sul compenso è obbligatorio per legge. La Corte ha specificato che, al momento della sottoscrizione dell’accordo liquidatorio (aprile 2015), era già in vigore il D.M. n. 55/2014. L’articolo 2 di tale decreto ministeriale prevede espressamente l’obbligatorietà del rimborso delle spese generali, anche in caso di determinazione contrattuale del compenso.

Questo significa che la previsione normativa prevale sul silenzio del contratto. Anche se le parti non hanno esplicitamente menzionato le spese forfettarie nell’accordo, esse sono comunque dovute perché imposte da una fonte legale. Il diritto del professionista a ricevere questo rimborso non può essere escluso da una mancata pattuizione, essendo una componente intrinseca e obbligatoria del compenso professionale secondo la normativa vigente all’epoca dei fatti.

Per quanto riguarda gli altri motivi, la Corte ha ribadito principi consolidati. Ad esempio, ha escluso l’illegittimo frazionamento del credito poiché le richieste del legale derivavano da incarichi professionali distinti e autonomi, seppur regolati dalla stessa convenzione tariffaria, mancando quindi il presupposto di un ‘unico rapporto obbligatorio’.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza della Corte di Cassazione rafforza la tutela del compenso professionale degli avvocati. L’insegnamento principale è chiaro: le spese forfettarie dell’avvocato, previste dai parametri forensi (attualmente il 15% del compenso), sono una componente essenziale e non derogabile della liquidazione, a meno che non sia la legge stessa a prevederlo. Esse sono dovute anche quando gli accordi contrattuali tra avvocato e cliente non ne fanno menzione. Questa pronuncia serve da monito per la redazione delle convenzioni sui compensi, ricordando che le normative professionali stabiliscono tutele minime che non possono essere ignorate dalle pattuizioni private.

Il rimborso delle spese generali forfettarie del 15% è sempre dovuto all’avvocato?
Sì, la Corte di Cassazione ha stabilito che il rimborso è obbligatorio per legge ai sensi del D.M. n. 55/2014, anche se non esplicitamente previsto nell’accordo tra le parti e anche in caso di determinazione contrattuale del compenso.

È possibile per un avvocato avviare più cause contro lo stesso cliente per compensi derivanti da diversi incarichi?
Sì, la Corte ha ritenuto che non si configuri un illegittimo frazionamento del credito quando le pretese derivano da incarichi professionali distinti e autonomi, anche se regolati da una medesima convenzione tariffaria, poiché non provengono da un unico rapporto obbligatorio.

Cosa succede se l’opposizione a un decreto ingiuntivo viene proposta con un rito processuale sbagliato?
La Corte ha ribadito il principio secondo cui la tempestività dell’opposizione va valutata in base alla data in cui l’atto introduttivo (anche se errato) è stato depositato o notificato. Gli effetti sostanziali e processuali si producono in base alla forma concretamente utilizzata, senza attendere l’eventuale ordinanza del giudice che dispone il mutamento del rito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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