Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12500 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12500 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8477/2023 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché contro
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende -controricorrente-
nonché contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende -controricorrenti-
nonché contro
COGNOME NOME, FESTA NOME, COGNOME NOME, FESTA NOME, AGENZIA ENTRATE RISCOSSIONE GIA’ EQUITALIA
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 313/2023 depositata il 17/01/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1. come si legge nell’ordinanza di questa Corte n.20977 del 2018, NOME COGNOME avviava procedura esecutiva immobiliare nei confronti di NOME, NOME e NOME COGNOME, nonché di NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME. Il Tribunale di Roma, ravvisata la necessità di procedere a giudizio di divisione immobiliare, sospendeva la procedura esecutiva e avviava quella di divisione del bene. Successivamente ordinava all’attore di integrare il contraddittorio nei confronti dei comproprietari, nonché nei confronti dei creditori ipotecari Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio ed Equitalia Sud S.p.A.; tali due creditori restavano contumaci nel giudizio di primo grado. Instauratosi il regolare contraddittorio, il procedimento veniva interrotto per il decesso di NOME COGNOME; la riassunzione del giudizio veniva operata senza notifica ai creditori ipotecari rimasti contumaci. Il Tribunale ordinava dunque di integrarsi il contraddittorio nei loro confronti.
L’attore provvedeva all’integrazione del contraddittorio notificando unicamente l’ordinanza che imponeva tale obbligo, senza tuttavia notificare l’atto di riassunzione. Il Tribunale di Roma ravvisava in ciò un elemento di irritualità dell’integrazione del contraddittorio e dichiarava, conseguentemente, l’estinzione del giudizio di divisione. Contro tale decisione il Ventura proponeva appello. La Corte d’Appello di Roma riteneva che l’ordinanza che aveva dichiarato l’estinzione del giudizio per omessa riassunzione nei termini dovesse essere impugnata mediante reclamo dinnanzi al collegio anziché mediante appello e pertanto l’appello veniva dichiarato inammissibile. La decisione veniva fatta oggetto, da parte del COGNOME, di ricorso per cassazione.
Con la richiamata ordinanza, questa Corte accoglieva il ricorso affermando che la Corte territoriale aveva errato nel ritenere inammissibile l’appello avverso l’ordinanza che aveva dichiarato estinto il procedimento di divisione e cassava la pronuncia impugnata rinviando la causa al merito anche per le spese.
La causa veniva riassunta dal COGNOME davanti alla Corte di Appello di Roma.
Quest’ultima, con sentenza n.313 del 2023, preso atto dell’accordo transattivo raggiunto tra il COGNOME e il debitore NOME COGNOME dichiarava cessata la materia del contendere. Provvedeva poi sulle spese in questo modo: ‘per quanto attiene alle spese di lite, dovendosi avere riguardo all’esito complessivo del giudizio e non a singole fasi e gradi, deve disporsi l’integrale compensazione delle stesse nei confronti dei soggetti diversi dal COGNOME, unico debitore esecutato, stante la natura necessitata del giudizio di divisione e nei confronti del Festa stesso con il quale è intervenuto accordo transattivo’;
2.contro la sentenza della Corte di Appello, NOME COGNOME ricorre con quattro motivi;
la spa Intesa San Paolo resiste con controricorso;
NOME COGNOME resiste con controricorso e chiede, ai sensi dell’art. 89 c.p.c., che sia disposta la cancellazione dalla pagina 4 del ricorso della espressione ‘in pratica i comunisti ritenevano che la situazione fosse favorevole alla protezione nei confronti del loro debitori, evidentemente avvezzi a non onorare i loro debiti’ e chiede che il difensore del ricorrente sia condannato al risarcimento dei danni morali causati dall’uso di tale espressione;
NOME, NOME e NOME COGNOME, eredi di NOME COGNOME resistono con controricorso;
NOME e NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME, la Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, poi Intesa San Paolo spa, e Equitalia RAGIONE_SOCIALE poi Agenzia delle Entrate Riscossione sono rimasti intimati;
ricorrente e controricorrenti hanno depositato memoria. La memoria depositata dal ricorrente in data 8 aprile 2025 è inammissibile perché tardiva rispetto al termine previsto dall’art. 380 bis 1, c.p.c.;
considerato che:
1.con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. Il ricorrente deduce di avere proposto alle controparti di far dichiarare cessata la materia del contendere a spese delle controparti stesse e che queste ‘i comunisti, la esattoria e la Banca’ – avevano rifiutato la proposta. Il ricorrente sostiene che la Corte di Appello ha errato nel compensare le spese dell’intero giudizio di divisione avendo egli vinto in Cassazione, dove aveva ottenuto l’annullamento della decisione di appello con la quale era stata dichiarata inammissibile l’impugnazione contro la pronuncia di estinzione emessa dal giudice di primo grado, ed avendo vinto anche nel giudizio di rinvio, dato che la decisione del Tribunale era stata annullata;
2.con il secondo motivo si lamenta l’illogicità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui è affermato che le
spese dovevano essere integralmente compensate nei confronti dei soggetti diversi dal debitore ‘stante la natura necessitata del giudizio di divisione’. Il ricorrente sostiene di essere stato costretto a chiamare in giudizio tali soggetti, comproprietari del bene da dividere o creditori con garanzia su quel bene, e sostiene che la compensazione è ingiustificata.
I due motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.
Questa Corte ha affermato (ord. n.2787 del 31/01/2023) che ‘Nella divisione endo-esecutiva, occasionata dall’avvio di procedura esecutiva per il soddisfacimento di un credito rimasto inadempiuto, le spese di lite, che di norma sono poste a carico della massa e sopportate “pro quota” da ciascun condividente, sono regolate dal principio della soccombenza, atteso che il creditore procedente non è un condividente e ha diritto al rimborso delle spese affrontate per il miglior esito della procedura esecutiva, nell’interesse comune del ceto creditorio, ivi comprese quelle processuali, stante il rapporto di strumentalità che lega il giudizio di divisione incidentale all’esecuzione’.
La Corte di Appello ha errato nel compensare, con la apparente motivazione del riguardo per ‘l’esito complessivo del giudizio e non delle singole fasi e gradi’ e per ‘la natura necessitata del giudizio di divisione’, le spese tra l’attuale ricorrente -creditore procedente e attore nel giudizio di divisione endoesecutiva- e i condividenti;
3. con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione dell’art.91 c.p.c. e dell’art.132 c.p.c. per avere la Corte di Appello ‘premiato’ il debitore compensando le spese malgrado che egli, dopo avere definito la transazione, si fosse, ‘alla vigilia dell’appello, schierato con i parenti e financo con la banca ipotecaria’. Si lamenta altresì, in riferimento al n. 5 del primo comma dell’art. 360 c.p.c., che ‘la sentenza non si pronunciata circa le proposte conciliative del creditore soddisfatto’ rifiutate dalle altre parti in causa;
Per la prima parte il motivo è inammissibile.
La Corte di Appello ha compensato le spese tra creditore e debitore ‘stante l’intervenuto accordo transattivo’. In sostanza ha preso atto della volontà delle parti rispetto alla quale è irrilevante l’asserita incoerenza del debitore che, fermo restando l’accordo raggiunto, avrebbe ‘preso le parti’ dei condividenti e della banca.
Per la seconda parte il motivo è assorbito dall’accoglimento dei motivi primo e secondo.
4.con il quarto motivo di ricorso si lamenta violazione degli artt. 96, 112 e 132 c.p.c. per avere la Corte di Appello omesso di pronunciarsi sulla richiesta di condanna degli eredi di NOME COGNOME ai sensi dell’art. 96, secondo comma, c.p.c., in relazione al fatto che la COGNOME aveva agito esecutivamente per le spese liquidatele dalla prima sentenza di appello, e sulla richiesta di condanna di ‘tutti gli appellati in solido’ ai sensi dell’art. 96 terzo comma c.p.c.
Il motivo è, per la prima parte, per un verso infondato e per altro verso inammissibile.
La Corte di Appello ha disposto che, quale effetto della propria sentenza, gli eredi della COGNOME restituissero all’attuale ricorrente la somma ottenuta a titolo di spese.
In questo modo ha implicitamente rigettato la domanda di condanna ex art. 92 comma 2 c.p.c.
È pertanto infondata la doglianza di violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia.
Quanto alla dedotta violazione dell’obbligo di motivazione del rigetto e alla dedotta violazione dell’art. 96 comma 2, le doglianze sono inammissibili per difetto di specificità.
Il ricorrente allega di avere, in comparsa conclusionale, chiesto la condanna degli eredi della COGNOME oltre che alla restituzione della somma ottenuta (4. 620 euro) anche ‘al pagamento del medesimo importo quale sanzione ex art. 96 c.p.c.’.
La condanna al risarcimento dei danni ex art. 96, secondo comma, c.p.c. non è correlabile alla sola caducazione del titolo giudiziale non definitivo messo in esecuzione, ma è condizionata al fatto che il creditore abbia intrapreso o compiuto l’esecuzione, senza la normale prudenza.
Il ricorrente non deduce di aver rappresentato alla Corte di Appello che la COGNOME avesse agito senza la normale prudenza. Né deduce che la Corte di Appello comunque avesse gli elementi per ritenere che la COGNOME avesse agito senza la normale prudenza.
Il motivo è, per la seconda parte, riferita alla richiesta di condanna di ‘tutti gli appellati in solido’ ai sensi dell’art. 96 terzo comma c.p.c. assorbito dall’accoglimento del primo e secondo motivo di ricorso, spettando al giudice del rinvio valutare la sussistenza dei presupposti applicativi del terzo comma dell’art. 96 c.p.c. dopo aver deciso delle spese;
5. va infine accolta la richiesta del controricorrente NOME COGNOME di cancellazione della frase ‘in pratica i comunisti ritenevano che la situazione fosse favorevole alla protezione nei confronti del loro debitori, evidentemente avvezzi a non onorare i loro debiti’, che si legge a pagina 4 del ricorso. L’espressione ‘evidentemente avvezzi a non onorare i loro debiti’ è sconveniente e offensiva e non è necessaria all’esercizio del diritto di difesa del ricorrente. Essa, perciò, deve essere cancellata a norma dell’art. 89 c.p.c., applicabile anche nei giudizi di legittimità (cfr. fra altre Cass. 29 marzo 1999 n.3032). Quanto alla richiesta di condanna del ricorrente al risarcimento dei ‘danni morali’, premesso che ‘la cancellazione delle espressioni offensive e il risarcimento del danno previsti dall’art.89 c.p.c. sono sanzioni diverse, distinte ed autonome e che pertanto la prima, che non ha alcuna finalità risarcitoria ma attua un fine preventivo, di polizia generale, impedendo l’immanenza di una causa di danno, può aver luogo senza la seconda e viceversa’ (Cass. civ. n. 11063/2002),
tale richiesta non è accoglibile in relazione al fatto che i lamentati danni sono allegati in modo generico e indimostrati;
in conclusione il primo e secondo motivo di ricorso vanno accolti, il terzo va in parte rigettato e resta in parte assorbito, il quarto va rigettato;
la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e la causa deve essere rinviata, anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione;
PQM
la Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, rigetta in parte il terzo motivo, dichiara assorbito, nel resto, il terzo motivo, rigetta il quarto motivo, cassa la sentenza impugnata in riferimento ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione;