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Spese di lite rinuncia: chi paga se la controparte tace?

Una società di trasporti, dopo aver perso in appello una causa sul calcolo della retribuzione in ferie di un dipendente, rinuncia al ricorso in Cassazione. Poiché il lavoratore non ha accettato la rinuncia, la Corte Suprema dichiara l’estinzione del giudizio e, applicando il principio sulle spese di lite rinuncia, condanna la società a pagare i costi del procedimento di legittimità.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Spese di Lite in Caso di Rinuncia: La Cassazione Chiarisce la Ripartizione dei Costi

Quando una parte decide di rinunciare a un ricorso in Cassazione, cosa accade alle spese legali sostenute fino a quel momento? La risposta non è sempre scontata e dipende da un dettaglio procedurale cruciale: l’accettazione della rinuncia da parte della controparte. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce proprio su questo aspetto, delineando un principio fondamentale in materia di spese di lite rinuncia.

I Fatti del Caso: Dalla Retribuzione in Ferie alla Rinuncia in Cassazione

La vicenda trae origine da una controversia di diritto del lavoro. Un dipendente di una nota società di trasporti ferroviari aveva ottenuto, sia in primo grado che in appello, il riconoscimento del suo diritto a percepire, durante le ferie, un trattamento economico comprensivo di alcune indennità specifiche, come l’indennità di assenza dalla residenza e quella di utilizzazione professionale. La Corte d’Appello di Milano aveva confermato la decisione, condannando l’azienda al pagamento delle somme dovute.

Contro questa sentenza, la società ha proposto ricorso per cassazione. Tuttavia, nel corso del giudizio di legittimità, la stessa società ha deciso di fare un passo indietro, presentando una formale rinuncia al ricorso. A questo punto, si è posta la questione di come regolare le spese legali del giudizio di Cassazione.

La Decisione della Corte: Estinzione e Condanna alle Spese di Lite Rinuncia

La Corte di Cassazione ha preso atto della rinuncia presentata dalla società ricorrente. Poiché il lavoratore (controricorrente) non ha formalmente accettato tale rinuncia, i giudici hanno proceduto a dichiarare l’estinzione del giudizio.

La conseguenza diretta, in base all’articolo 391 del codice di procedura civile, è stata la condanna della parte rinunciante – la società – alla rifusione delle spese di lite sostenute dal lavoratore. La Corte ha liquidato una somma complessiva, oltre accessori, da distrarsi direttamente in favore del procuratore del controricorrente, dichiaratosi antistatario.

Esclusione del Raddoppio del Contributo Unificato

Un altro punto importante chiarito dall’ordinanza riguarda il cosiddetto ‘raddoppio del contributo unificato’. La Corte ha specificato che questa sanzione, prevista dal Testo Unico sulle spese di giustizia, non si applica nei casi di estinzione del giudizio. Essa consegue solo a esiti tipici come il rigetto, l’inammissibilità o l’improcedibilità del ricorso, come confermato da consolidata giurisprudenza.

Le Motivazioni

La motivazione alla base della condanna alle spese risiede nel dettato dell’articolo 391, quarto comma, del codice di procedura civile. La norma stabilisce che il rinunciante deve rimborsare le spese alla controparte, a meno che non vi sia un diverso accordo tra le parti. La mancata accettazione della rinuncia da parte del controricorrente impedisce di presumere un accordo e rende necessaria una pronuncia del giudice sulle spese.

In pratica, la legge presume che la rinuncia non accettata equivalga a una sorta di ‘soccombenza virtuale’. La parte che abbandona il giudizio, senza che l’altra parte concordi su tale abbandono, deve farsi carico dei costi che la sua iniziativa processuale ha generato per la controparte. La condanna alle spese di lite rinuncia serve quindi a ristorare la parte che ha dovuto difendersi in un giudizio poi abbandonato unilateralmente.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame offre un’importante lezione pratica. La rinuncia a un ricorso è un atto strategico che può chiudere una lite, ma le sue conseguenze economiche dipendono dalla reazione della controparte. Se non si ottiene un’accettazione formale, che magari regoli anche le spese in un accordo transattivo, la parte rinunciante deve mettere in conto la quasi certa condanna al pagamento delle spese legali. Questo principio garantisce che la parte che ha resistito legittimamente a un’impugnazione non subisca un danno economico a causa del successivo ‘ripensamento’ dell’avversario.

Chi paga le spese legali se una parte rinuncia al ricorso in Cassazione?
La parte che rinuncia al ricorso è tenuta a rimborsare le spese legali alla controparte, a meno che quest’ultima non accetti formalmente la rinuncia e vi sia un diverso accordo tra le parti.

Perché la mancata accettazione della rinuncia è rilevante per le spese di lite?
Perché, secondo l’art. 391 del codice di procedura civile, l’assenza di accettazione induce il giudice a porre le spese di lite a carico della parte che ha rinunciato, in quanto è stata la sua iniziativa processuale, poi abbandonata, a generare i costi per la controparte.

In caso di estinzione del giudizio per rinuncia, si applica il raddoppio del contributo unificato?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che il raddoppio del contributo unificato non si applica quando il giudizio si estingue, ma solo nei casi in cui l’impugnazione viene respinta nel merito, dichiarata inammissibile o improcedibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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