Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9727 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 9727 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/04/2025
SENTENZA
sul ricorso 22683-2022 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, AGENZIA DELLE ENTRATE E RISCOSSIONE-ADER, in persona , l’uno, del Ministro ‘ pro tempore ‘, l’altro del legale rappresentante ‘ pro tempore ‘, domiciliat i ‘ ex lege ‘ in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che li rappresenta e difende per legge;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona dell’Avv. NOME COGNOME nella qualità di responsabile della funzione legale e contenzioso, domiciliata ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta
Oggetto
OPPOSIZIONE ESECUZIONE
Cartella di pagamento – Spese relative a procedimento penale
R.G.N. 22683/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 16/12/2024
Udienza Pubblica
elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
nonché contro
COGNOME con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME ma domiciliato ‘ ex lege ‘ presso il proprio difensore come in atti, rappresentato e difeso dall’ Avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 910/2022 della Corte d’appello di Milano, depositata il 18/03/2022;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
udita la Sostituta Procuratrice Generale Dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso come da requisitoria scritta, chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi gli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Il Ministero della Giustizia e l’Agenzia delle Entrate e Riscossione-RAGIONE_SOCIALE ricorrono, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 910/22, del 18 marzo 2022, della Corte d’appello di Milano, che – respingendone il gravame avverso la sentenza n. 3589/20, del 23 giugno 2020, del Tribunale della stessa città ha confermato l’accoglimento dell’opposizione ex art. 615 cod. proc. civ., proposta da NOME COGNOME avverso cartella di pagamento emessa da Equitalia Giustizia S.p.a., per l’importo di € 11.506,33, per il recupero di un decimo delle spese relative ad un procedimento penale celebrato, tra gli altri imputati, a carico del COGNOME e conclusosi con sentenza di condanna passata in giudicato.
2. Riferiscono, in punto di fatto, gli odierni ricorrenti che a seguito della definitività della condanna penale, pronunciata dal GIP del Tribunale di Milano – tra gli altri imputati – nei confronti del COGNOME, Equitalia Giustizia apriva una partita di credito dell’importo complessivo di € 114.943,45, addebitato, in solido, a tutti gli obbligati. Successivamente, su richiesta dell’Ufficio Recupero Crediti, l’agente per la riscossione, aprendo una nuova partita di credito, quantificava l’importo dovuto dal COGNOME nella misura di € 11.506,33, pari a un decimo del totale delle spese liquidate, emettendo una nuova cartella . L’interessato, difatti, nelle more di tali attività, si era rivolto al Giudice dell’Esecuzione penale del Tribunale di Milano, affinché l’importo del credito erariale posto a suo carico venisse calcolato in base a ripartizione in quote, sicché l’adito giudicante, in accoglimento dell’istanza, stabiliva – con ordinanza del 10 luglio 2018 – che le spese da attribuire al COGNOME dovessero essere limitate a quelle attinenti al solo reato ascritto al capo 1) della sentenza passata in giudicato.
Su tali basi, pertanto, l’Ufficio Recupero Crediti faceva richiesta all’Ufficio Spese di Giustizia della Procura della Repubblica presso il Tribunale milanese affinché suddividesse le spese riportate nel foglio notizie secondo le modalità stabilite dal Giu dice dell’Esecuzione penale. La Procura di Milano, tuttavia, con nota del 17 gennaio 2019, nel premettere che le spese riguardavano lo svolgimento di un’articolata attività di indagine, implicante soprattutto il ricorso a numerose intercettazioni telefonic he, evidenziava l’impossibilità distinguere le stesse con attribuzione ad un singolo reato o indagato.
Per tale ragione, il COGNOME proponeva opposizione ex art. 615 cod. proc. civ. innanzi al Tribunale di Milano avverso la cartella di pagamento emessa per il ridetto importo di € 11.506,33, chiedendo previa sospensione dell’efficacia esecutiva della stessa – la rettifica delle somme dovute in pagamento, secondo i
criteri indicati dal Giudice dell’Esecuzione penale con l’ordinanza del 10 luglio 2018, in particolare contestando che la ripartizione dovesse effettuarsi attribuendogli un decimo del totale delle spese, dovendo, invece, tenersi conto della circostanza che la sua posizione processuale era del tutto secondaria rispetto a quella degli altri coimputati, attinti dalla quasi totalità delle intercettazioni.
Concesso il provvedimento ex art. 624 cod. proc. civ., radicatasi la fase di merito del giudizio di opposizione, il Ministero della Giustizia, oltre ad eccepire preliminarmente l’incompetenza del giudice civile in favore del giudice dell’esecuzione penale (richiamando Cass. Sez. Un. Pen., sent. 29 settembre 2011, n. 491), resisteva all’opposizione – non senza sollevare, comunque, eccezione di difetto di legittimazione passiva, a suo dire facente capo solo ad Equitalia Giustizia – invocando la nota della Procura della Repubblica di Milano, secondo cui, al momento della definizione del procedimento penale, con la richiesta di rinvio a giudizio, risultava essere stato redatto e inviato all’ufficio del GIP del locale Tribunale un unico foglio notizie, comprensivo di tutte le spese del procedimento.
Disposta dal giudice di prime cure l’integrazione del contraddittorio verso ADER, la proposta opposizione veniva accolta, con decisione poi confermata in appello, stante il rigetto del gravame esperito dal Ministero della Giustizia – che reiterava, in tale sede, tutte le eccezioni e difese già proposte e dall’ADER.
Avverso la sentenza della Corte ambrosiana hanno proposto ricorso per cassazione il Ministero della Giustizia e l’ADER, sulla base – come detto – di quattro motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, nn. 1), 2) e 3), cod. proc. civ. ‘incompetenza funzionale del Giudice
civile nei confronti del giudice penale in relazione alle censure formulate dal sig. COGNOME ( recte : COGNOME).
Si censura la sentenza là dove ha confermato la reiezione dell’eccezione d’incompetenza, in favore del giudice penale, già sollevata in primo grado. Esito, questo, al quale la Corte territoriale è pervenuta sul rilievo che con la proposta opposizione il Fo rnoni ‘non ha censurato, di per sé, la portata della propria condanna alle spese del procedimento penale e, quindi, l’interpretazione del titolo, essendosi invece limitato a lamentare l’errata quantificazione delle stesse sia quanto al calcolo del concreto ammontare delle voci esposte, sia quanto alla loro pertinenza con riferimento al reato cui si riferisce la propria condanna, sia per mancata applicazione all’ente creditore in sede di incidente di esecuzione penale’.
Richiamano, sul punto, i ricorrenti i principi enunciati dalle Sezioni Unite Penali di questa Corte con la già citata sentenza 29 settembre 2011, n. 491, che ‘hanno operato una distinzione tra i due momenti cronologicamente ed ontologicamente diversi tra loro, quello della statuizione penale sulle spese e quello della successiva quantificazione delle stesse’.
Orbene, mentre il primo momento ‘riguarda l’emissione e la portata della condanna alle spese’, il secondo concerne ‘l’operazione contabilmente determinata del quantum che ne discende’, sicché mentre il giudice dell’esecuzione penale è ‘chiamato a dirimere le questioni inerenti al primo dei due descritti momenti’, al contrario , ‘il giudice civile dell’opposizione all’esecuzione deve occuparsi delle contestazioni relative alla concreta attuazione quantificatoria della statuizione penale’. Tali contestazioni, in particolare, potranno investire ‘o aspetti squisitamente contabili o la riconducibilità di talune voci a perimetro di applicabilità della condanna’, beninteso a condizione ‘che non vi siano dubbi sulla definizione del detto perimetro e si
verta quindi solo sul concreto rispetto di esso in sede di quantificazione’.
Orbene, nel caso in esame, l’opponente ha lamentato che il calcolo delle spese da esso dovute ‘non è stato fatto tenendo conto dei criteri stabiliti dal Giudice dell’Esecuzione, sezione GIPGUP del Tribunale di Milano, ma effettuando una mera ripartizione pro-quota di un decimo del totale ‘ ; ciò benché, nel proprio provvedimento, il Giudice dell’Esecuzione avesse evidenziato come la posizione processuale del COGNOME fosse ‘ del tutto secondaria rispetto alle posizioni processuali degli altri coimputati che, a differenza sua, sono attinti da numerose intercettazioni telefoniche’, dovendo, quindi, il medesimo ‘rispondere esclusivamente di spese circoscritte ad eventuali limitatissime attività di captazione di colloqui telefonici sulla propria utenza’.
Assumono gli odierni ricorrenti che la parte allora opponente ‘non si è limitata alla contestazione circoscritta – peraltro non corredata da una proposta di corretta quantificazione del quantum debeatur – di alcune voci di spesa, ma ha prospettato una critica del «perimetro» della condanna penale, fino ad arrivare a sostenere che alcune delle spese contestate fossero riferibili a operazioni giudiziarie (nello specifico «intercettazioni telefoniche») compiute esclusivamente nei confronti di altri soggetti in dagati’. Si tratterebbe di ‘questioni che mirano dunque a sovvertire un collegamento tra la condanna penale e le spese del procedimento’, come tali rientranti nella competenza del giudice dell’esecuzione penale.
3.2. Il secondo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. violazione dell’art. 2697 cod. civ. in combinato disposto con l’art. 280 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Si censura la sentenza impugnata, là dove ha condiviso l’assunto del primo giudice secondo cui – essendo pacifico che la
somma richiesta al COGNOME ammontasse ad un decimo di tutte le spese per le intercettazioni e non, invece, a quelle ‘attinenti esclusivamente al delitto a lui ascritto’ – non poteva accogliersi il rilievo del Ministero e di Equitalia Giustizia circa l’impossibilità di procedere ad un quantificazione conforme al ‘ dictum ‘ del Giudice dell’ e secuzione penale, e ciò in quanto, a loro dire, ‘era stato redatto un unico foglio notizie comprensivo di tutto gli esborsi’, come sottolineato nella nota del 17 gennaio 2019 della Procura di Milano. Per contro, il giudice dell’opposizione ha ritenuto che tale rilievo non potesse ‘andare a discapito del diritto dell’opponente di rispondere di tutte e sole le spese al cui pagamento è stato condannato’.
Orbene, nel condividere tale conclusione, il giudice d’appello ha rigettato il motivo di gravame con il quale era stato lamentato che, a fronte della suddetta nota della Procura milanese, l’opponente ex art. 615 cod. proc. civ. non ave sse ‘ provato, ma ancor prima, nemmeno allegato, quale fosse, a suo avviso, la corretta determinazione dell’importo dovuto’, non procedendo ad alcuna ‘puntuale ricognizione’ su ‘quali voci di spesa attribuitegli non fossero dovute, così omettendo di assolvere al l’onere della pr ova sul medesimo gravante’. Per contro, la Corte ambrosiana ha ritenuto che ‘competa ex art. 2697 cod. civ. al solo creditore (Ministero della Giustizia, ufficio recupero crediti) dimostrare che gli importi richiesti con la cartella di pagamento oggetto di causa siano dovuti nella misura esposta, in quanto corrispondenti ai costi relativi per l’accertamento del reato per i quali l’intimato è stato condannato’, a nulla potendo valere l’impossibilità di distinguere le attività di investigazione riferibili al solo COGNOME, evidenziata nella suddetta nota della Procura della Repubblica di Milano del 17 gennaio 2019, perché essa non potrebbe ‘certo invertire l’onere della prova’.
Su tali basi, pertanto, la sentenza impugnata ha concluso che ‘la constatazione della pacifica mancata indicazione, neppure per relationem con riferimento agli atti presupposti, nella cartella di pagamento in questione, delle corrette modalità di quantificazione delle somme richieste e del fatto che le stesse siano in concreto imputabili al reato per il quale il COGNOME è stato condannato, ne determina di per sé l’annullamento’.
Così pronunciandosi, tuttavia, la Corte territoriale avrebbe fatto malgoverno delle norme di cui al d.P.R. n. 115 del 2002, onerando il Ministero ‘di un obbligo di motivazione in sede di cartella che non sussiste nei termini esposti’, come risulta dalla giurisprudenza di questa Corte (è citata, in particolare, Cass. Sez. Un., sent. 14 maggio 2010, n. 11722).
Inoltre, assumono sempre i ricorrenti, spettava, comunque, all’opponente -a norma dell’art. 2697 cod. civ., violato dalla sentenza impugnata per aver invertito l’onere probatorio -‘dimostrare, in sede di giudizi o, i fatti estintivi della pretesa, indicando e motivando le voci che non sarebbero risultate dovute sulla base del foglio notizie’, avendo l’amministrazione procedente ‘dimostrato il fatto costitutivo della pretesa’, ovvero ‘la sentenza penale di condanna’, provvedendo, altresì, ‘ad allegare tutta la documentazione prevista dal TUSG afferente alle spese del procedimento penale da cui è originato il credito erariale’.
3.3. Il terzo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione dell’art 92 cod. proc. civ. in relazione all’art 1, comma 367 e ss., della legge 24 dicembre 2007, n. 244, là dove la Corte d’appello di Milano ha posto a carico del Ministero della Giustizia le spese del giudizio, in luogo della condanna della sola Equitalia Giustizia S.p.a.
Viene censurata – come già in appello, in quel caso in relazione alle spese del primo grado di giudizio – la statuizione di condanna alle spese del giudizio nei confronti del Ministero della Giustizia, giacché essa ‘non tiene conto della disciplina vigente’ , ovvero quella meglio indicata in rubrica, ‘da cui si ricava una sostanziale estraneità dell’Amministrazione dello Stato nelle operazioni di quantificazione delle somme e di iscrizione a ruolo’, oggetto di una convenzione con Equitalia Giustizia, alla quale, dunque, è st ata conferita ‘titolarità dei crediti relativi alle spese di giustizia’.
3.4. Il quarto motivo – indicato erroneamente come quinto denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 92 cod. proc. civ., là dove la Corte d’appello di Milano ha condannato anche l’ADER al pagamento delle spese di lite nonostante la sostanziale estraneità al rapporto giuridico controverso.
Si sottolinea, infatti, che ADER è tenuta unicamente all’esazione dei tributi, contributi e accessori contenuti nei ruoli già formati dagli enti impositori, essendole invece precluso ogni esame di merito e di legittimità sul ruolo stesso.
Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, il COGNOME, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata, non senza previamente evidenziare l’incompletezza della ricostruzione dei fatti, operata dai ricorrenti .
Rammenta, infatti, di essersi ancora una volta rivolto – prima di agire a norma dell’art. 615 cod. proc. civ., a fronte della apertura della nuova partita di credito da parte di Equitalia Giustizia al Giudice dell’esecuzione penale, il quale , però, con ordinanza del 29 agosto 2018, dichiarava non luogo a provvedere, affermando che ‘eventuali provvedimenti in merito alla procedura esecutiva relativa alla nuova cartell a esattoriale’ erano ‘di competenza del giudice civile’.
Con controricorso Equitalia Giustizia ha, invece, aderito ai primi due motivi di ricorso, chiedendone, per il resto, il rigetto.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
Il Procuratore Generale presso questa Corte, in persona di una sua Sostituta, ha rassegnato conclusioni scritte, nel senso del rigetto del ricorso.
I ricorrenti hanno presentato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso va rigettato.
9.1. Il primo motivo – del quale, peraltro, risulta dubbia la stessa ammissibilità – non è fondato.
9.1.1. Assumono i ricorrenti che la parte opponente, nel giudizio ex art. 615 cod. proc. civ., ‘non si è limitata alla contestazione circoscritta -peraltro non corredata da una proposta di corretta quantificazione del quantum debeatur – di alcune voci di spesa, ma ha prospettato una critica del «perimetro» della condanna penale, fino ad arrivare a sostenere che alcune delle spese contestate fossero riferibili a operazioni giudiziarie (nello specifico «intercettazioni telefoniche») compiute esclusivamente nei confronti di altri soggetti indagati’, sicché su tale contestazione si sarebbe dovuto pronunciare, a loro dire, il giudice penale.
Nello scrutinare tale motivo è necessario muovere dalla constatazione che – come ribadito, ancora di recente, da questa Corte fra il giudice (dell’esecuzione) penale e il giudice civile non si pongono mai questioni di competenza (Cass. Sez. Un., sent. 6 dicembre 2021, n. 38596, Rv. 66324801), ‘sicché il giudice civile, se davanti a lui si pongono temi riservati alla cognizione del giudice penale, deve rigettare l’opposizione’ e non dichiararsi incompetente (Cass. Sez. 3, ord. 22 maggio 2023, n. 14082, Rv. 667834-01).
Si pone, dunque, un preliminare interrogativo, occorrendo chiedersi se la prospettazione della questione – oggetto del presente motivo di ricorso – in termini di difetto di competenza del giudice civile e non di ‘ammissibilità della censura’ sottoposta al suo esame (come ‘rettificato’ dai ricorrenti solo nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ.) non infici l’ammissibilità stessa del motivo.
Inoltre, sempre ai fini dello scrutinio dell’ammissibilità, deve rilevarsi come la sua articolazione si fondi sull’assunto che il COGNOME, nell’opporsi alla cartella di pagamento, avesse richiamato quanto statuito dal Giudice dell’Esecuzione Penale con l’ordinanza del 10 luglio 2018 (secondo cui le spese da attribuirgli dovevano essere limitate a quelle attinenti al solo reato ascritto al capo 1 della sentenza passata in giudicato), sostenendo i ricorrenti che, in questo modo, attraverso la proposta opposizione, sarebbe stata prospettata una critica del «perimetro» della condanna penale.
Orbene, il riferimento alla suddetta ordinanza del 10 luglio 2018 avrebbe richiesto a norma dell’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ. – una più ‘puntuale indicazione’ del suo contenuto: e ciò pur nell’interpretaz ione ‘non formalistica’ dei requisiti di ammissibilità e procedibilità del ricorso per cassazione, imposta dalla sentenza della Corte EDU Succi e altri c. Italia, del 28 ottobre
2021 (cfr. Cass. Sez. Un, ord. 18 marzo 2022, n. 8950, Rv. 664409-01).
Nondimeno, anche in ragione della pregnanza nomofilattica che connota la questione oggetto del presente motivo (e tale da aver comportato la trattazione del presente ricorso in pubblica udienza), reputa questa Corte di dover dare preminente rilievo, ad onta della sua dubbia ammissibilità, all ‘i nfondatezza del motivo.
9.1.2. Ciò detto, nello scrutinarlo, occorre prendere le mosse – come anche evidenziato dal Procuratore Generale presso questa Corte – d all’ordinanza del 29 agosto 2018, con il Giudice dell’esecuzione penale ha dichiarato non luogo a provvedere sull’ ulteriore istanza del COGNOME, ritenendola attinente a questioni di quantificazione del credito erariale, da devolvere, pertanto, alla cognizione del giudice civile.
Il contenuto di tale provvedimento, infatti, corrobora la conclusione secondo cui la portata della condanna alle spese era ormai stata, in sede penale, totalmente definita.
Se è vero, infatti, che ‘le contestazioni attinenti al «perimetro» della condanna al pagamento delle spese del processo penale’ sono quelle relative ‘alla sussistenza, all’estensione e ai caratteri di detta condanna, che mettono quindi in discussione la su a effettiva portata’ (così Cass. Sez. 3, ord. n. 14082 del 2023, cit .), deve rilevarsi che, nel caso di specie, la ‘estensione’ della condanna non era più in discussione . Essa era già stata chiarita dal Giudice dell’Esecuzione Penale con il provvedimento del 10 luglio 2018, donde la successiva declaratoria di non doversi procedere – da parte del medesimo, con l’ordinanza del 29 agosto 2018 in merito all’istanza con cui gli si chiedeva di intervenire, nuovamente, sul punto.
Nella specie, dunque, si poneva solo il problema di identificare e, di conseguenza, calcolare quali delle spese sostenute – in particolare, per le disposte intercettazioni telefoniche – potessero ritenersi attinenti al solo reato ascritto al COGNOME al capo 1) della sentenza passata in giudicato; principio nell’enunciare il quale il Giudice dell’ esecuzione p enale si era attenuto ai ‘ dicta ‘ di questa Corte, secondo cui ‘all’imputato sono addebitabili esclusivamente le spese relative ai reati per i quali egli ha subito la condanna penale, ed eventualmente quelle relative a reati che con i primi presentano una connessione qualificata, in base alla formulazione ormai abrogata dell’art. 535 cod. proc. pen. ma tuttora valida per le sentenze anteriori alla riforma’ (così, nuovamente, Cass. Sez. 3, ord. n. 14082 del 2023, cit .). La questione, pertanto, risulta essere stata correttamente devoluta al giudice civile, a norma dell’art. 615 cod. proc. civ.
9.2. Il secondo motivo, invece, è in parte inammissibile e in parte non fondato.
Il primo esito, per vero, va affermato in relazione alla censura che addebita alla sentenza impugnata di aver addossato all’amministrazione un obbligo di ‘ motivazione ‘ degli importi indicati in cartella, là dove la pronuncia in esame ha, invece, fatto carico al Ministero ( e all’ADER ) di non aver adempiuto, in giudizio, l’onere di dimostrare la debenza degli importi dei quali ha preteso il pagamento , all’uopo essendosi ritenuto insufficienti le risultanze del ‘foglio notizie’ .
Quanto, invece, alla censura – che investe proprio tale affermazione di violazione dell’art. 2697 cod. civ., essa risulta non fondata.
Difatti, in tema di recupero di spese di giustizia penali, ‘nel giudizio di opposizione ex art. 615 cod. proc. civ. avverso la cartella di pagamento notificata, nel quale il debitore contesti la
concreta determinazione dell’importo dovuto sulla base della sentenza penale di condanna al pagamento delle spese del procedimento penale, grava sull’ente creditore l’onere della prova che le somme richieste a titolo di spese di giustizia sono effettivamen te dovute dall’intimato, essendo oggetto di autoliquidazione da parte dell’ente creditore stesso, e tale onere va assolto non solo specificando in modo adeguato e comprensibile i presupposti e le modalità della autoliquidazione effettuata in via amministrativa, ma anche documentando l’attività svolta a tal fine dai funzionari competenti, in modo da mettere in condizione il giudice di verificare in concreto se essa sia stata effettuata correttamente, anche con riguardo alla pertinenza delle spese addebitate all’intimato ai reati per i quali egli ha subito condanna’ (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 15 novembre 2023, n. 31774, Rv. 669475-02).
In definitiva, ai fini del recupero delle spese di giustizia penali, rileva non tanto e non solo la completezza della cartella di pagamento (che, pure, deve contenere gli elementi indispensabili per consentire al destinatario di effettuare il necessario controllo sulla correttezza della pretesa creditoria e tale obbligo di motivazione; restando insufficiente il richiamo ‘ per relationem ‘ alla sentenza penale di condanna o il rinvio ad altri atti non sono stati precedentemente comunicati), quanto l’ordinario onere di qualsiasi creditore di dare adeguata prova del credito azionato: onere che, in caso di specifica contestazione, neppure è soddisfatto dalla mera conformità a modelli o schemi fissati in astratto da provvedimenti amministrativi generali o da norme di rango secondario, perché essa non vale, di per sé, a garantire la presenza di tutti gli elementi e i dati indispensabili per la compiuta estrinsecazione del diritto di difesa del soggetto a cui l’atto si rivolge con la minaccia di un’esecuzione forzata.
9.3. Infine, i motivi terzo e quarto – suscettibili di scrutinio unitario, data la loro connessione, attenendo ambedue all’individuazione dei soggetti tenuti al pagamento delle spese di lite – sono infondati.
9.3.1. Al riguardo, deve premettersi che – come ribadito ancora di recente da questa Corte – nelle cause di opposizione alla riscossione coattiva di crediti non tributari (qual è quella in esame) non sussiste litisconsorzio necessario fra l ‘ ente creditore e l ‘ agente della riscossione, spettando piuttosto a quest ‘ ultimo la possibilità di chiamare in causa l ‘ ente interessato secondo lo schema dell ‘ art. 106 cod. proc. civ. (Cass. Sez. 3, ord. 6 novembre 2023, n. 30777, Rv. 669451-01).
Ciò nondimeno, la presenza in giudizio – nel caso di specie tanto dell’Ente creditore, il Ministero della Giustizia, quanto dell’agente per la riscossione (Equitalia RAGIONE_SOCIALE, alla quale è poi subentrata RAGIONE_SOCIALE), giustifica la condanna di entrambi alla sopportazione delle spese del giudizio, il primo quale titolare della pretesa impositiva, il secondo in applicazione del principio della ‘causalità della lite’, ovvero per aver emesso la cartella di pagamento. Quanto, in particolare, alla posizione di ques t’ultimo, deve qui ribadirsi che nella controversia con cui ‘ il debitore contesti l ‘ esecuzione esattoriale, in suo danno minacciata o posta in essere, non integra ragione di esclusione della condanna alle spese di lite nei confronti dell ‘ agente della riscossione, né – di per sé sola considerata – di loro compensazione, la circostanza che l ‘ illegittimità dell’azione esecutiva sia da ascrivere al creditore interessato, restando peraltro ferme, da un lato, la facoltà dell’agente della riscossione di chiedere all ‘ ente impositore la manleva dall ‘ eventuale condanna alle spese in favore del debitore vittorioso e, dall ‘ altro, la possibilità, per il giudice, di condannare al loro pagamento il solo ente creditore interessato o impositore,
quando questo è presente in giudizio, compensandole nei rapporti tra il debitore vittorioso e l ‘ agente della riscossione, purché sussistano i presupposti di cui all ‘ art. 92 cod. proc. civ., diversi ed ulteriori rispetto alla sola circostanza che l ‘ opposizione sia stata accolta per ragioni riferibili all ‘ ente creditore ‘ ( così Cass. Sez. 3, sent. 13 giugno 2018, n. 15390, Rv. 649058-01; in senso conforme Cass. Sez. 6-3, ord. 9 luglio 2020, n. 14502, Rv. 658510-01).
Al rigetto del ricorso segue la regolamentazione delle spese.
A questo riguardo, poiché la controricorrente RAGIONE_SOCIALE ha aderito ai primi due motivi del ricorso, nei rapporti con i ricorrenti Ministero e Agenzia sussistono gravi ed eccezionali ragioni per disporre la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità sostenute da detta controricorrente; nessuna attività difensiva del controricorrente COGNOME pare poi indotta dalla adesione di RAGIONE_SOCIALE ai primi due motivi di ricorso, sicché non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità nei rapporti tra dette parti; la liquidazione delle spese sostenute dal Fornoni segue invece la soccombenza dei soli ricorrenti e si quantifica come da dispositivo, tenuto conto di quanto richiesto con apposita nota.
11. A carico dei ricorrenti, stante il rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare , al competente ufficio di merito, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se ed in quanto eventualmente dovuto in relazione alla loro qualità soggettiva e, in ogni caso, secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 65719801), ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso, condannando il Ministero della Giustizia e l’Agenzia delle Entrate e Riscossione -ADER, a rifondere a NOME COGNOME le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in € 3.082,00, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge; dichiara compensate le spese tra i ricorrenti ed Equitalia Giustizia RAGIONE_SOCIALEp.a.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se ed in quanto eventualmente dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito della camera di consiglio della