Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14368 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 14368 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/05/2024
Oggetto: custodia
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 5583/2019 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in Terni, INDIRIZZO.
-RICORRENTE –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO.
-CONTRORICORRENTE/RICORRENTE INCIDENTALE-
e
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t..
-INTIMATA- avverso la sentenza n. 754/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 2.11.2018.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23.4.2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Udito il Pubblico Ministero in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale e il rigetto di quello incidentale.
Udito l’AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE), ha adito il Tribunale di Terni, chiedendo la condanna dell’RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle indennità di custodia dell’auto TARGA_VEICOLO, pari ad €. 219000, anche a titolo di ingiustificato arricchimento, per il periodo 31.12.200031.12.2001.
La vettura era stata oggetto di furto, e NOME COGNOME, che ne era proprietario, aveva incamerato l’indennizzo assicurativo; l’auto era stata successivamente ritrovata e sequestrata dal Pubblico Ministero che ne aveva ordinato il dissequestro, disponendone la restituzione al proprietario in data 30.11.2000.
La convenuta ha resistito e ha chiamato in causa il COGNOME, che ha eccepito di aver da tempo perduto il possesso del veicolo e di non dover rispondere degli oneri di custodia.
Il Tribunale ha respinto la domanda, rilevando che il sequestro penale non era stato convalidato.
La sentenza, impugnata dalla RAGIONE_SOCIALE, è stata riformata dalla Corte di appello di Perugia, che ha condannato NOME COGNOME al pagamento dell’importo forfettario di €. 1.316,84, liquidato ai sensi dell’art. 1, commi 318 -321, L. 311/2004.
Il giudice distrettuale ha evidenziato che, sebbene in caso di mancata convalida del sequestro le spese di custodia non siano dovute, tuttavia, ai sensi del comma terzo dell’art. 84 disp. att. c.p.p. e dell’art. 150 DPR 115/2002, l’avente diritto alla restituzione è comunque tenuto al pagamento per il periodo
successivo alla scadenza di 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento di restituzione.
N essun onere poteva invece gravare sull’RAGIONE_SOCIALE poiché la corresponsione dell’indennizzo e la previsione dell’art. 7 della polizza, che obbligava l’assicurato a rilasciare una procura a vendere in caso di successivo rinvenimento del mezzo, non avevano prodotto il trasferimento della proprietà del bene assicurato in capo all’assicuratore.
Per la cassazione della sentenza la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso affidato ad un unico motivo, illustrato con memoria, cui ha replicato NOME COGNOME con controricorso e con ricorso incidentale condizionato affidato a quattro motivi; l’RAGIONE_SOCIALE non ha svolto difese.
La causa, inizialmente avviata la trattazione camerale dinanzi alla sesta sezione civile, è stata rimessa in pubblica udienza con ordinanza interlocutoria n. 15460/2020.
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. L’unico motivo del ricorso principale censura la violazione negli artt. 59 e 276 del D.P.R. 115/2002, nonché degli artt. 1, commi 318-321 della L. 311/2004, 1766 e 1781 c.c., sostenendo che con D.M. 265/2006 sono state adottate le tariffe per la determinazione delle indennità giornaliere per la custodia e la conservazione dei veicoli sottoposti a sequestro penale probatorio e preventivo, i cui importi tengono conto della natura pubblicistica dell’incarico e che dette tabelle si applicano soltanto alle custodie di veicoli sottoposti a sequestro i cui oneri siano a carico dell’erario, non per quantificare le spese spettanti ad una depositeria se, come nel caso di specie, è già venuto meno il carattere pubblicistico della funzione di custode e si è ormai instaurato un rapporto meramente civilistico
tra quest’ultimo e l’avente diritto alla restituzione della cosa. Espone la ricorrente che, in ogni caso, le indennità dovevano essere al più liquidate in applicazione delle Tariffe Aci, non ai sensi della L. 311/2004, il cui art. 1, commi 318-321, era stato dichiarato incostituzionale con sentenza n. 267/2017.
Il motivo è fondato nei termini che seguono.
La Corte d’appello ha liquidato, a titolo di oneri di custodia, un importo complessivo forfettario, comprensivo del trasporto, secondo la previsione dell’art. 1, commi 318 -321, della L. 311 del 2004, norma che riguarda le procedure di alienazione e rottamazione già avviate e non ancora concluse alla data della sua entrata in vigore, quale lex specialis imperniata sull’eccezionale previsione di alienazione al soggetto titolare del deposito dei veicoli in sequestro.
In primo luogo la disposizione era più applicabile, essendo stata già dichiarata incostituzionale.
Nel prevedere che, in presenza di determinate condizioni, i veicoli giacenti presso i custodi a seguito dell’applicazione di provvedimenti di sequestro dell’autorità giudiziaria, anche se non confiscati, fossero alienati, anche ai soli fini della rottamazione, mediante cessione al soggetto titolare del deposito, la norma riconosceva ai custodi, con effetto retroattivo, compensi inferiori a quelli previgenti in contrasto con l’art. 3 Cost., venendo a penalizzare irragionevolmente e senza alcun meccanismo di riequilibrio, l’interesse dei custodi per la non prevista, né prevedibile, incisiva riduzione del compenso che confidavano loro spettante in relazione a pregressi rapporti di custodia, essendo, per di più, essi onerati, a seguito dell’acquisto forzoso, di provvedere alla conseguente attività di smaltimento dei veicoli già oggetto di deposito (cfr. testualmente, Corte cost. 267/2017).
Occorre inoltre convenire che dopo la scadenza del termine di trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento di dissequestro e di restituzione del bene all’avente diritto, il carattere pubblico della funzione del custode e il connesso onere di anticipazione delle spese di conservazione e custodia a carico dello Stato vengono meno.
Ricevuta l’ eventuale comunicazione del provvedimento di dissequestro (oggi contemplata dall’art. 150, comma quarto, D.P.R. 115/2002, nel testo introdotto dal D.L. 115/2005, convertito con L. 168/2005), il custode è tenuto ad attivarsi efficacemente nei confronti dell’avente diritto che non abbia provveduto al tempestivo ritiro del bene (Cass. 16850/2019; Cass. pen. s.u. 25161/2002; Cass. pen. 3899/1995; Cass. pen. 1504/1999).
Il relativo credito soggiace, quindi, alle norme del codice civile secondo i principi generali (Cass. 16850/2019).
Passando all’esame del ricorso incidentale condizionato, con il primo motivo NOME COGNOME denuncia la violazione degli artt. 112, 346 c.p.c. e 2909 c.c., sostenendo che il Tribunale aveva rigettato in toto la pretesa azionata dal custode senza pronunciarsi sull’eccezione di difetto di legittimazione passiva dell’RAGIONE_SOCIALE, che doveva considerarsi assorbita e che l’assicuratore avrebbe dovuto riproporre in appello, non potendo essere riesaminata d’ufficio.
Il motivo è infondato.
La questione della carenza di titolarità passiva del rapporto controverso sollevata dall’RAGIONE_SOCIALE, che aveva indicato nel COGNOME il soggetto tenuto al pagamento delle spese di custodia, era oggetto di una mera difesa, ponendo in discussione lo stesso fatto costitutivo della domanda rivolto ad ottenere le indennità per la custodia da parte della RAGIONE_SOCIALE ed era, quindi, rilevabile d’ufficio anche in appello, salvo l’eventuale non contestazione della
contro
parte e ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti (Cass. s.u. 2951/2016).
Il Tribunale aveva poi esplicitamente escluso che l’RAGIONE_SOCIALE dovesse rispondere del debito, non avendo alcun rapporto con la società che esercitava il servizio di custodia, e quest’ultima società, impugnando la decisione, aveva riproposto le domande già introdotte in primo grado anche verso l’assicuratrice , sicché il tema della titolarità passiva del rapporto controverso era stato comunque devoluto al giudice di appello.
3. Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 58 e 150 del D.P.R. 115/2002, nonché dell’art. 1723 c.c., sostenendo che la Corte d’appello, nel porre le spese di custodia a carico del COGNOME, avrebbe omesso di considerare che questi era semplice mandante di RAGIONE_SOCIALE e che il rilascio della procura a vendere era volto a soddisfare l’interesse della società assicurativa ad alienare il veicolo e a incamerare il corrispettivo, in modo da recuperare almeno in parte l’indennizzo versato al proprietario. Pertanto, il mandato a vendere rispondeva esclusivamente ad un interesse del mandatario, mentre il COGNOME era privo di ogni potere di disposizione e del diritto ad ottenere la restituzione del veicolo, ove rinvenuto, non dovendo rispondere dei costi di custodia.
Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 1362, 1366 e 1370 c.c., lamentando che il giudice distrettuale abbia indebitamente svalutato la previsione dell’art. 7 delle condizioni di polizza secondo cui, qualora il recupero del veicolo fosse avvenuto dopo il pagamento dell’indennizzo, l’assicurato avrebbe rilasciato all’impresa la procura a vendere, autorizzandola a trattenere il ricavato, occorrendo valutare se e come l’obbligazione assunta dal
COGNOME di consentire l’incasso del ricavato a favore dell’RAGIONE_SOCIALE pur senza poterne valutare la congruità rispetto all’indennizzo erogatogli, potesse rilevare quale attribuzione in favore della società assicuratrice delle facoltà tipiche del diritto di proprietà, occorrendo ricercare la volontà dei contraenti nel sottoscrivere la polizza e dovendosi interpretare le clausole dubbie in senso sfavorevole al predisponente.
Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 1206 e 1207 c.c., sostenendo che il Tribunale avrebbe dovuto considerare che l’assicuratore che non si era attivat o per ricevere la restituzione e che essendo in mora, doveva sostenere le spese di custodia.
I tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
Il provvedimento di dissequestro del veicolo, con invito a ritirarlo presso il custode, era stato emesso e comunicato al COGNOME nel dicembre 2000 nella qualità di avente titolo alla restituzione ai sensi dell’art. 84 del d.lgs. 271/1989 (contenente le norme di attuazione del codice di procedura penale).
La norma, abrogata dall’art. 299 D.P.R. 115/2002 e riprodotta, con successive modifiche, nell’art. 150 TUSG, prevedeva che la restituzione delle cose sequestrate fosse disposta dall’autorità giudiziaria, di ufficio o su richiesta dell’interessato.
La restituzione era concessa a condizione che prima fossero pagate le spese per la custodia e la conservazione delle cose sequestrate, salvo che in caso di pronuncia di archiviazione, di sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento o se le cose sequestrate appartenessero a persona diversa dall’imputato o il decreto di sequestro fosse stato revocato a norma dell’articolo 324 del codice.
Le spese di custodia e di conservazione erano in ogni caso dovute dall’avente diritto alla restituzione per il periodo successivo al trentesimo giorno decorrente dalla data in cui il medesimo ha ricevuto la comunicazione del provvedimento di restituzione.
Ai sensi dell’art. 263 c.p.p. la restituzione delle cose sequestrate è anche attualmente disposta dal giudice con ordinanza se non vi è dubbio sulla loro appartenenza.
Nel corso delle indagini preliminari, provvede sulla restituzione il pubblico ministero con decreto motivato. Contro il decreto del pubblico ministero che dispone la restituzione o respinge la relativa richiesta, gli interessati possono proporre opposizione sulla quale il giudice provvede a norma dell’articolo 127.
In caso di controversia sulla proprietà delle cose sequestrate, il giudice ne rimette la risoluzione al giudice civile del luogo competente in primo grado, mantenendo nel frattempo il sequestro.
La rimessione degli atti in sede civile presuppone che sia controverso il diritto alla restituzione (anche se non sia già pendente un giudizio civile).
Come si desume dalla lettera della norma, che espressamente menziona il diritto alla restituzione, nonché dalla riserva al giudice civile prevista dall’art. 324, comma ottavo, c.p.p., detta rimessione può essere disposta solo a seguito dell’adozione di un provvedimento da parte del p.m. e della successiva opposizione dell’interessato (Cass. pen. 25863/2002).
Se, invece, non vi è alcun procedimento in sede civile, il giudice penale può direttamente restituire le cose al soggetto al quale esse risultino legittimamente appartenere alla stregua degli elementi fattuali fino ad allora accertati (Cass. pen. 26914/2013).
In ogni caso, la persona che avrebbe diritto alla restituzione deve inoltre individuarsi non in ogni soggetto che abbia una qualunque forma di interesse alla restituzione, ma solo in quello che rivesta una posizione giuridica autonomamente tutelabile, coincidente con la titolarità di un diritto soggettivo (di natura reale o anche solo personale) o anche di una situazione di mero rapporto di fatto tuttavia tutelato (ad esempio il possesso: cfr. Cass. pen. 21273/2017; Cass. pen. 42895/04; Cass. pen. 3775/1994.
Ne consegue che obbligato al pagamento delle somme oggetto di domanda era il solo soggetto indicato provvedimento penale come avente titolo alla restituzione, anche se non proprietario, il quale, se intendeva contestare tale qualità, era tenuto a proporre opposizione al decreto di restituzione a norma del combinato disposto di cui all’art. 127 e dell’ art. 263, comma quinto, c.p.p., in mancanza del quale il custode aveva azione solo nei suoi confronti per ottenere il pagamento degli oneri di custodia.
Era impregiudicata, anche in mancanza di opposizione, la possibilità, di chi avesse versato le spese di custodia, di agire in sede civile verso l’effettivo obbligato, ma in tal caso la pretesa del soggetto a cui favore fosse stata disposta la restituzione doveva essere esercitata solo ai fini del rimborso e verso il titolare di diritti sul bene oggetto di custodia (Cass. 5699/2011 nonché Cass. 23444/2006 e Cass. 22362/2018; Cass. pen. 25161/2002 ).
E’ perciò decisivo considerare che l’RAGIONE_SOCIALE, in virtù della condizioni di polizza, aveva facoltà di porre in vendita il bene e di trattenere il ricavato ma non era tuttavia destinataria del provvedimento di dissequestro adottato dal PM, che individuava nel COGNOME l’avente titolo alla restituzione.
Non risulta, inoltre, che questi abbia fatto opposizione, sicché doveva rispondere del pagamento in virtù del decreto del PM non opposto nei confronti della RAGIONE_SOCIALE.
E’ perciò irrilevante accertare se nei rapporti tra assicuratore ed assicurato la clausola sub 7 della polizza, prevedendo il rilascio di procura a vendere in caso di ritrovamento del bene assicurato, comportasse anche l’obbligo di versare le spese di custodia in quanto atto idoneo a realizzare indirettamente il conferimento di una piena disponibilità del bene e a produrre, nella sostanza, gli effetti dell’atto di trasferimento del diritto di proprietà (cfr. per talune ipotesi, Cass. 2697/1997; Cass. 3434/1991), non avendo il COGNOME proposto verso l’RAGIONE_SOCIALE una domanda di rimborso delle somme versate alla società custode.
Essendo il COGNOME e non la RAGIONE_SOCIALE destinataria del provvedimento di restituzione, era il primo ad essere in mora nel ritiro del bene presso la depositeria – scaduto il termine di trenta giorni dalla comunicazione del dissequestro – e non la società assicurativa, che, anche sotto profilo, non poteva rispondere dei costi di custodia ai sensi dell’art. 1207 c.c. (in tal senso, Cass. pen. 1504/1999).
Il quinto motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. e l’omessa pronuncia sulla domanda della RAGIONE_SOCIALE volta ad ottenere la liquidazione delle spese di custodia in applicazione delle tariffe RAGIONE_SOCIALE.
La censura è inammissibile, non essendo deducibile dal COGNOME, per carenza di interesse, l’omessa pronuncia rispetto ad una domanda proposta dalla controparte processuale.
E’, pertanto, accolto l’unico motivo del ricorso principale, con rigetto del ricorso incidentale.
La sentenza è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese di legittimità.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
accoglie l’unico motivo del ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese di legittimità.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda