Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20606 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20606 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 38519/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (SCTPFR59P16G888K), COGNOME (CODICE_FISCALE)
-resistente- avverso SENTENZE di CORTE D’APPELLO TRIESTE n. 336/2019 depositata il 24/05/2019 e n. 784/2017, depositata il 13 novembre 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che :
-la Corte d’appello di Trieste, nel decidere in sede di gravame la causa di divisione fra i fratelli COGNOME ed NOME COGNOME, ha riformato la sentenza di primo grado, riconoscendo dapprima, con sentenza non definitiva (n. 851/2017), la comoda divisibilità del compendio comune (abitazione e pertinente area scoperta), negata dal primo giudice;
-la causa è poi proseguita con la nomina di un consulente per il frazionamento, per essere poi definita con ulteriore sentenza n. 336/2019, con attribuzione delle porzioni divise, secondo le indicazioni contenute nel dispositivo;
-la Corte d’appello ha compensato per un terzo le spese di lite, poste per il resto a carico di NOME COGNOME, a carico del quale essa ha posto per intero le spese delle consulenze tecniche di primo e secondo grado;
-per la cassazione delle sentenze, definitiva e non definitiva, NOME COGNOME ha proposto ricorso affidato a tre motivi: con il primo ha censurato la decisione, ex art. 360 comma 1, n. 3 e n. 5, per violazione di legge o omesso esame di fatti decisivi relativamente al riconoscimento della comoda divisibilità; con il secondo motivo ha denunziato omissione di pronunzia sulla costituzione, in favore di porzione oggetto di attribuzione in suo favore, di una servitù di prelievo di acqua dal pozzo; con il terzo motivo ha censurato la decisione per violazione dell’art. 91 c.p.c., perché la Corte d’appello ha posto le spese delle consulenze tecniche, svolte in primo e in secondo grado, a carico dell’attuale ricorrente, invece che a carico della massa;
–NOME COGNOME dopo avere depositato procura alle liti in data 19 settembre 2023, ha depositato memoria in prossimità
dell’adunanza camerale fissata ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c. ; -ha depositato memoria anche il ricorrente.
Considerato che :
-la memoria depositata dal resistente, il quale non ha depositato controricorso nel termine, è inammissibile, dovendosi dare seguito al principio in base al quale «Nell’ambito del procedimento camerale di cui all’art. 380 bis.1 c.p.c., introdotto dall’art. 1 bis del d.l. n. 168 del 2016, conv. con modif. dalla l. n. 196 del 2016 e con riferimento ai giudizi introdotti con ricorso depositato successivamente all’entrata in vigore della predetta legge di conversione, l’inammissibilità del controricorso tardivo rende inammissibili anche le memorie depositate dalla parte intimata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., in quanto, divenuta la regola la trattazione camerale e quella in udienza pubblica l’eccezione, deve trovare comunque applicazione la preclusione dell’art. 370 c.p.c., di cui la parte inosservante delle regole del rito non può che subire le conseguenze pregiudizievoli, salvo il parziale recupero delle difese orali nel caso in cui sia fissata udienza di discussione, con la conseguenza che venuta a mancare tale udienza alcuna attività difensiva è più consentita» (Cass. n. 23921/2020).
-il primo motivo è infondato;
-in tema di divisione, deve intendersi per comoda divisibilità di un bene non tanto la mera possibilità di una sua materiale ripartizione tra gli aventi diritto, quanto la sua concreta attitudine ad una ripartizione, cui derivi a ciascun partecipante, o gruppo di partecipanti, un bene il quale, perdendo il minimo possibile dell’originario valore indotto dall’essere elemento di una entità
unitaria, non abbia neppure a subire particolari limitazioni funzionali o condizionamenti, con riguardo alla possibilità di attribuire a ciascun condividente un’entità autonoma e funzionale, ed evitando, per contro, che rimanga in qualche modo pregiudicato l’originario valore del cespite, ovvero che ai partecipanti vengano assegnate porzioni inidonee alla funzione economica dell’intero (Cass. n. 1738/2002; n. 14577/2012; n. 27984/2023);
-nella sentenza impugnata non si leggono affermazioni in contrasto con questi principi;
-invero, l’idea di fondo che ispira la gran parte delle censure mosse con il primo motivo è che il frazionamento dell’area comune, in quanto oggetto di servitù in favore delle porzioni già di proprietà esclusiva delle parti in causa , possa pregiudicare l’esercizio delle servitù preesistenti, come costituite in forza dei titoli;
-tale idea, fatta propria dal giudice di primo grado, attribuisce alla divisione, rispetto alla servitù gravanti sul bene comune, un’efficacia che essa non possiede;
-in fatti, nell’ ipotesi di divisione del fondo servente, la servitù permane così come in precedenza esercitata, essendo del tutto indifferente, a questi effetti, che i proprietari dei fondi dominanti siano estranei o che i fondi dominanti appartengano agli stessi condividenti;
-si ricorda, per completezza di esame, che il principio nemini res sua servit trova applicazione soltanto quando un unico soggetto è titolare del fondo servente e di quello dominante e non anche quando il proprietario di uno di essi sia anche comproprietario dell’altro, giacche in questo caso l’intersoggettività del rapporto è data dal concorso di altri titolari (Cass. n. 7971/2022; n. 13106/2000;
-pertanto, se la servitù era esercitata anche su porzione attribuita a compartecipe diverso dal proprietario del fondo dominante (cfr. art. 1071 c.c.), la divisione non modifica le precedenti modalità di esercizio;
-vale pur sempre il principio che la divisione non può comportare l’imposizione di oneri o limitazioni al contenuto dei diritti precedentemente esercitati o comunque spettanti sui beni comuni ai condividenti in forza di titolo preesistente;
-sotto questo profilo nella sentenza impugnata non c’è nulla che possa autorizzare l’illazione che, acconsentendo al frazionamento del fondo servente, la Corte di merito abbia riconosciuto legittima una modifica dei precedenti modi di esercizio della servitù;
-anzi si legge nella decisione un significativo passaggio che dice esattamente il contrario;
-in particolare, si intende richiamare quel passaggio della motivazione , nella parte in cui la Corte d’appello, in dissenso con il giudice di primo grado, riconosce che «sarà il frazionamento a definire le porzioni e rendere utilmente esercitabile la servitù, fatti salvi gli strumenti giuridici che potranno essere esercitati se e quando uno dei condividenti violerà le condizioni di esercizio pacifico della servitù esistente»;
-le considerazioni che precedono consentono di superare anche le censure formulate nel n. 2 del primo motivo in esame, laddove si rimprovera alla Corte d’appello di non avere considerato che il frazionamento avrebbe imposto talune modifiche al garage di proprietà esclusiva del ricorrente, onde consentire l’ accesso al medesimo;
-la censura allude alla violazione della regola, in parte già richiamata, secondo cui il giudice della divisione, ai fini della
ripartizione in natura, non può mai imporre a carico di uno o di entrambi i condividenti l’obbligo di procedere a modifiche o variazioni della consistenza, ubicazione o conformazione dei fabbricati di loro proprietà esclusiva, trattandosi di beni non compresi (ed insuscettibili di essere attratti) nell’oggetto della divisione (Cass. n. 937/1982; n. 2983/2019).
-nella sentenza, però, non si impone alcuna opera di questo tipo, ma si distribuiscono le porzioni;
-d’altronde, una volta chiarito che la servitù non potrà ricevere pregiudizio dalla divisione, va da sé che le modalità di esercizio rimangono quelle attuali;
-il rilievo proposto con tale parte del motivo in esame, pertanto, continua a risentire dell’idea di fondo che ispira la censura, che trova nella decisione una secca smentita;
-si rimprovera alla Corte d’appello, infine, di avere affermato la comoda divisibilità del bene senza considerare l’entità della spesa occorrente per fare il frazionamento, come calcolata dalla consulenza tecnica;
-si richiama in questo caso un principio esatto, e cioè che il giudice non può riconoscere la divisibilità o l’indivisibilità senza procedere all’accertamento tecnico delle spese necessarie alla divisione in natura dell’immobile (Cass. n. 5536/1981);
-tuttavia, la censura non è coordinata con la decisione, che attribuisce le porzioni indicandole analiticamente, senza imporre ai compartecipi lavori o opere di sorta;
-invero, il ricorrente richiama, a sostegno della censura, quanto affermato dal consulente tecnico, ma il richiamo, appunto, non è coordinato con la decisione impugnata, la quale ha un contenuto
autonomo, non contenendo alcun rinvio, nemmeno implicito, alla consulenza tecnica;
-sotto questo profilo, pertanto, la censura difetta pure di specificità;
-ed invero, secondo il costante insegnamento di legittimità, qualora una determinata questione giuridica -che implichi un accertamento di fatto -sia stata del tutto ignorata dal giudice di merito, il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere di allegarne l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito e di indicare in quale atto del giudizio precedente sia stato fatto, onde dar modo alla Corte di controllare de visu la veridicità di tale asserzione (cfr. Cass. n. 1550/2021; n. 1542/2021);
-il secondo motivo è infondato;
-la denunziata omissione di pronunzia non considera che, in tema di divisione giudiziale, il provvedimento giudiziale non opera come provvedimento costitutivo delle eventuali servitù, bensì come fatto giuridico che, in correlazione con la situazione obbiettiva dei luoghi, determina il sorgere della servitù secondo lo schema della costituzione per destinazione del padre di famiglia (Cass. n. 3916/1977; n. 12950/2000);
-è piuttosto vero che la eventuale statuizione giudiziale potrebbe operare in senso contrario, nel senso di impedire la nascita della servitù (Cass. n. 7840/1986);
-conseguentemente, se la situazione dei fondi divisi, in rapporto alla situazione esistente manente communione , è tale da giustificare la nascita della servitù, questa sorge ex lege in applicazione della regola sopra richiamata, anche se il
provvedimento giudiziale non la menzioni esplicitamente (Cass. n. 18909/2020);
-il terzo motivo è fondato: le spese di consulenza tecnica, nel procedimento divisorio, sono sostenute nell’interesse comune e vanno di regola a carico della massa, in pratica ripartite in ragione delle quote dei condividenti;
-«nel giudizio di divisione, il giudice, anche in caso di compensazione delle spese processuali tra le parti, può legittimamente disporre che quelle relative alla consulenza tecnica di ufficio siano a carico di tutti i condividenti “pro quota”, posto che, in ragione della finalità propria della consulenza di aiuto nella valutazione degli elementi che comportino specifiche conoscenze, la prestazione dell’ausiliare deve ritenersi resa nell’interesse generale della giustizia e, correlativamente, nell’interesse comune delle parti stesse» (Cass. n. 9813/2015);
-la sentenza impugnata va, dunque, cassata in accoglimento del terzo motivo, e, non essendo necessari accertamenti in fatto, la causa va decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c., con l’esclusione della condanna delle spese delle consulenze tecniche di primo e secondo grado, che vanno poste a carico dei condividenti in ragione di ½ ciascuno, fermo il resto;
-si compensano per intero le spese di legittimità, in ragione della scarsa rilevanza del motivo accolto, ai fini pratici.
P.Q.M.
la Corte rigetta il primo e il secondo motivo; accoglie il terzo motivo e, per l’effetto, cassa, limitatamente alla pronuncia sulle spese delle consulenze tecniche, la sentenza impugnata, e, decidendo nel merito, pone le spese delle consulenze tecniche di primo e secondo grado a carico dei condividenti in ragione di ½
ciascuno; dichiara interamente compensate le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda