Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8252 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2   Num. 8252  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/03/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 3650/2022 R.G. proposto da:
COGNOME  NOME,  COGNOME  PAOLO,  COGNOME  NOME,  NOME  COGNOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE IN VIAREGGIO, elettivamente domiciliato  in  ROMA  INDIRIZZO,  presso  lo  studio dell’avvocato COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente- avverso la SENTENZA  della CORTE  D’APPELLO di FIRENZE n. 1807/2021 depositata il 23/09/2021.
Udita  la  relazione  svolta  nella  udienza  pubblica  del  12/12/2024  dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Udito  il  Pubblico  Ministero  in  persona  del  AVV_NOTAIO Generale NOME COGNOME, il quale ha chiesto di accogliere il ricorso. Uditi gli AVV_NOTAIO e NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (rispettivamente,  i  primi  due  quali  nudi  proprietari,  i  restanti  quali usufruttuari,  di  unità  immobiliare  compresa  nel  RAGIONE_SOCIALE  RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE,  INDIRIZZO,  INDIRIZZO  Viareggio)  hanno proposto ricorso articolato in quattordici motivi avverso la sentenza n. 1807/2021 della Corte d’appello di Firenze, depositata il 23 settembre 2021.
Ha resistito con controricorso il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di Viareggio.
2. -I ricorrenti, nelle rispettive qualità, convennero dinanzi al Tribunale di Lucca il RAGIONE_SOCIALE, chiedendone la condanna al rimborso delle spese sostenute (pari ad € 59.393,83) per l’esecuzione di lavori di manutenzione imputabili al cattivo funzionamento delle tubazioni fognarie condominiali e alla presenza di una falda acquifera sotto il fabbricato. La necessità di tali lavori era stata riconosciuta da una assemblea del RAGIONE_SOCIALE svoltasi il 14 novembre 1994, e poi confermata in successive deliberazioni dell’organo collegiale. A seguito delle piogge occorse nell’autunno del 1999, la situazione era divenuta intollerabile, imponendosi l’urgenza dell’intervento. Non avendo l’assemblea condominiale tenutasi il 10 giugno 2009 deliberato il rimborso della predetta somma, gli attori avevano agito ai sensi dell’art. 1134 c.c. Il Tribunale di Lucca, con sentenza del 7 novembre 2016, accolse la domanda e condannò il RAGIONE_SOCIALE a versare agli attori la somma di
€ 52.542,67 più Iva, oltre che alle spese sostenute per il procedimento di mediazione e per il processo.
La Corte d’appello  di  Firenze  ha  poi  accolto  in  parte  il  gravame  del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, riducendone la condanna alla somma di € 9.010,00, oltre IVA ed interessi legali, e regolando conseguentemente le spese legali.
I giudici di secondo grado hanno dapprima affermato la sussistenza del diritto al rimborso delle spese ex art. 1134 c.c., avendo gli attori avvisato il RAGIONE_SOCIALE della necessità di eseguire urgentemente i lavori all’interno del loro appartamento, tanto che la stessa assemblea condominiale, nella riunione del 14 novembre 1994, aveva deliberato di ‘provvedere subito’ alla loro realizzazione. Nella perdurante inerzia della gestione condominiale, risultava pertanto giustificata l’iniziativa intrapresa dai signori COGNOME e COGNOME con l’affidamento dei lavori ad un’impresa.
In  prosieguo,  la  sentenza  impugnata  ha  tuttavia  escluso  la  natura condominiale del vespaio oggetto dell’intervento manutentivo, giacché il solaio afferente al piano terreno e costruito a livello della superficie  di  campagna  ha  solo  funzione  di  sostegno  e  non  copre alcun locale sottostante.
La Corte d’appello richiama sul punto l’espletata CTU, secondo la quale l’edificio oggetto di causa ‘è una struttura antica e all’epoca le modalità costruttive erano quelle di spiccare le fondazioni direttamente sulla sabbia e i pavimenti erano costruiti, con un interposto di strati di inerti, (vespaio), direttamente sulla medesima sabbia’. Tale ‘vespaio’, sempre secondo l’elaborato peritale, ‘non è una platea di fondazione e non è una parte comune dell’edificio, (è infatti solo un opera, corretta e necessaria, a vantaggio esclusivo dell’appartamento di cui trattasi)’ e, ancora, ‘l’opera, a pavimento, è stata semplicemente sostitutiva di un vecchio vespaio, sul quale
l’impermeabilizzazione o era mancante  o  non  assolveva  più al compito  cui  era  destinata  e  la  problematica  lamentate  dagli  attori (allagamenti)  non  ebbero  quindi  a  scaturire  da  parti  comuni  ma semplicemente dal cattivo funzionamento della impermeabilizzazione del vespaio’.
Ritenuti  gli  errori  della  sentenza  di  primo  grado  quanto  al  supposto carattere  condominiale  della  soletta  o  vespaio  e  quanto  alla  ‘non contestazione’ dell’importo dei lavori, la Corte d’appello di Firenze ha pertanto riconosciuto il diritto degli attori al rimborso delle sole spese sostenute  per  l’eliminazione  delle  infiltrazioni  provenienti  dai  muri perimetrali dell’edificio, stimate nell’importo di € 9.010,00.
L’appello  del  RAGIONE_SOCIALE  è  stato  accolto  altresì  sul punto  del  rimborso  delle  spese  di  assistenza  legale  per  la  fase precedente l’introduzione del procedimento di mediazione, ritenendo insufficiente a dar prova di tale voce di danno la notula professionale prodotta e irrilevante la  prova  per testimoni dedotta  sul fatto dell’invio  della  notula  da  parte  del  legale  ai  suoi  assistiti  e  della relativa richiesta di pagamento.
Essendo la domanda proposta dai signori COGNOME risultata solo in parte fondata, i giudici di appello hanno compensato per la metà le spese  del  doppio  grado  di  giudizio,  ponendo  la  residua  frazione  a carico del RAGIONE_SOCIALE.
Ha depositato memoria il Pubblico Ministero in persona del AVV_NOTAIO Generale NOME AVV_NOTAIO, concludendo per l’accoglimento del ricorso.
Hanno depositato memoria altresì i ricorrenti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va  premesso  che  il  ricorso  di  NOME  COGNOME,  NOME  COGNOME,  NOME  COGNOME  e NOME COGNOME si sviluppa in quattordici articolati motivi, pur non
sussistendo  né  una  speciale  complessità  giuridica,  né  una  rilevante importanza economica della fattispecie affrontata.
Nella redazione della presente ordinanza si farà perciò sintetico rinvio per relazione ai motivi ed agli argomenti contenuti negli atti di parte. 1.- Il primo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza ex art. 132 c.p.c. per motivazione inesistente e/o apparente. Dicono i ricorrenti che non è possibile comprendere il percorso logico seguito dalla Corte d’appello, ed in particolare se essa abbia inteso escludere di la risarcibilità di alcuni interventi di ripristino poiché ‘eseguiti su’ parte privata, oppure poiché si resero necessari a seguito infiltrazioni ‘provenienti da’ parte privata.
Questa incertezza, ad avviso dei ricorrenti, apre un ‘bivio’ che viene attraversato nelle censure a seguire.
Così, i motivi dal secondo al sesto, ove si ritenga che la Corte di Firenze abbia escluso il rimborso degli interventi di ripristino perché ‘eseguiti su’ parte privata, deducono la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1117 c.c. e 1123 c.c. (pagine 12 e ss. di ricorso), dell’art. 1134 c.c. (pagina 14), dell’art. 329 c.p.c. (pagine 14 e ss.; ciò perché non era stato oggetto dell’appello del RAGIONE_SOCIALE il capo della sentenza di primo grado secondo cui le spese erano state sostenute ‘per la cosa comune’) , degli artt. 115 e 116 c.p.c. (pagine 15 e ss.) e/o comunque l’omesso esame ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (pagine 17 e ss.).
Il settimo motivo denuncia, invece, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1117 e/o 1123 e/o 1134 c.c., degli artt. 2043 e 2051 c.c. e degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., ove ‘si ritenga’ che la Corte  di  Firenze  abbia  escluso  la  risarcibilità  di  alcuni  interventi  di ripristino  poiché  necessari  a  seguito  di  infiltrazioni  ‘provenienti  da’ parte privata.
-I primi sette motivi di  ricorso  possono  essere  esaminati congiuntamente, per loro connessione, e si rivelano non fondati.
2.1. -La motivazione della sentenza impugnata contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione, e non è perciò affatto ‘apparente’, consentendo un «effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice» (cfr. Cass. Sezioni Unite n. 8053 del 2014; n. 22232 del 2016; n. 2767 del 2023). Ciò è del resto confermato dalla stessa proposizione di molteplici motivi di ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, essendo tali vizi incompatibili con la contemporanea denuncia di un difetto di attività del giudice di secondo grado, in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia semmai risolta in modo giuridicamente non corretto.
L’esistenza di una motivazione che consente di individuare e comprendere  le  ragioni  della  decisione  rende  anche  ingiustificata  la prospettazione  ipotetica  e  perplessa  delle  censure  da  parte  dei ricorrenti.
2.2. Va premesso che la domanda che esaurisce il thema decidendum di causa, per quanto affermato nella sentenza impugnata ed esposto dai medesimi ricorrenti, concerne la pretesa di rimborso avanzata da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME ai sensi dell’art. 1134 c.c. nei confronti del RAGIONE_SOCIALE in relazione alle spese sostenute per l’esecuzione di lavori di manutenzione imputabili al cattivo funzionamento delle tubazioni fognarie condominiali e alla presenza di una falda acquifera sotto il fabbricato.
Sono perciò del tutto estranee alla materia di causa le questioni circa la ‘provenienza’ delle infiltrazioni e la ‘responsabilità’ del
condominio, quale custode dei beni e dei servizi comuni ex art. 2051 c.c., per ‘danni’ cagionati a porzione di proprietà esclusiva.
2.3. – Non è, poi, oggetto del sindacato devoluto dalle parti a questa Corte con le loro doglianze la questione che quella oggetto di causa fosse, o meno, una ‹‹spesa urgente››, agli effetti dell’art. 1134 c.c. (secondo  il  testo  previgente  alla  modifica  operata  con  la  legge  n. 220/2012, qui operante ratione temporis ).
Vertendosi, come detto, nell’ambito di un condominio edilizio, si applica l’art. 1134 c.c., il quale, a differenza dell’art. 1110 c.c., che opera in materia di comunione ordinaria, regola il rimborso delle spese di gestione delle parti comuni sostenute dal partecipante non alla mera trascuranza o tolleranza degli altri comunisti (per quanto di durata pluriennale, come espone la Corte di Firenze), quanto al diverso e più stringente presupposto dell’urgenza, intendendo la legge trattare nel condominio con maggior rigore la possibilità che il singolo possa interferire nell’amministrazione dei beni in comproprietà. Ne discende che, istaurandosi il condominio sul fondamento della relazione di accessorietà tra i beni comuni e le proprietà individuali, la spesa autonomamente sostenuta da uno di essi è rimborsabile soltanto nel caso in cui abbia i requisiti dell’urgenza, ai sensi dell’art. 1134 c.c. (Cass. Sez. Unite n. 2046 del 2006; Cass. n. 18759 del 2016).
Tale requisito dell’urgenza condiziona il diritto al rimborso del condomino gestore, il quale deve darne prova, e si spiega non soltanto come dimostrazione che le spese anticipate dal singolo fossero indispensabili per evitare un possibile nocumento a sé, a terzi od alla cosa comune, ma altresì che le opere dovessero essere eseguite senza ritardo e senza possibilità di avvertire tempestivamente l’amministratore o gli altri condomini, sulla base di accertamento di fatto spettante al giudice del merito (Cass. n. 29336
del 2023; n. 14326 del 2017; n. 27106 del 2021). Nulla è invece dovuto in caso di mera trascuranza degli altri comproprietari, non trovando applicazione le norme in materia di comunione (art. 1110 c.c.). Se l’assemblea, a fronte dell’urgenza dell’intervento conservativo delle cose comuni, non vi provvede o non raggiunge la necessaria maggioranza, o, come si assume avvenuto nel caso di specie, la deliberazione adottata non viene eseguita (quella del 14 novembre 1994), il rimedio è dato dal ricorso all’autorità giudiziaria, come previsto dall’art. 1105, comma 4, c.c. (e dall’art. 1139 c.c.), e non dall’iniziativa individuale di uno o più condomini che assumano la gestione delle parti condominiali degradate (Cass. n. 29336 del 2023; n. 9280 del 2018; n. 21015 del 2011).
2.4. -Il  RAGIONE_SOCIALE  nel  proprio  appello,  dopo  aver lamentato  la  carenza  dell’urgenza  (doglianza  però  disattesa  dalla Corte di Firenze), ha contestato la proprietà condominiale del vespaio coinvolto nell’intervento manutentivo  realizzato ad iniziativa dei condomini COGNOME e COGNOME.
Non ha consistenza la censura dei ricorrenti ad avviso della quale non era stato così appellato il capo della sentenza di primo grado secondo cui le spese erano state sostenute ‘per la cosa comune’. Che le spese anticipate dai signori COGNOME e COGNOME fossero per la cosa comune non configura una ‘parte della sentenza’, agli effetti dell’art. 329, comma 2, c.p.c., dettato in tema di acquiescenza implicita e cui si ricollega la formazione del giudicato interno, sicché l’appello proposto in ordine alla sussistenza del fatto costitutivo del credito da rimborso ex art. 1134 c.c. apriva il riesame del giudice del gravame sull’intera questione (cfr. Cass. n. 16583 del 2012; n. 2217 del 2016).
Le contestazioni mosse dal condomino cui sia domandato il rimborso delle  spese  anticipate  ai  sensi  dell’art.  1134  c.c.  circa  l’avvenuta erogazione  delle  stesse,  circa  l’inerenza  alle  cose  comuni  o  circa
l’urgenza qualificata, danno luogo non ad eccezioni, ma a mere difese volte a negare la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie normativa oggetto di causa.
2.5. -È corretta l’applicazione dell’art. 1134 c.c. (nella formulazione vigente ratione temporis ) fatta dalla Corte d’appello di Firenze.
L’art. 1134 c.c., prima della modifica operata con legge 11 dicembre 2012,  n.  220,  si  riferiva  alle  ‘spese  per  le  cose  comuni’,  cioè  alle spese necessarie per la conservazione delle parti comuni, e non delle proprietà  esclusive,  non  avendo  altrimenti  senso  la  precisazione ‘senza autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea’.
È in tal senso più chiaro il testo introdotto proprio dalla legge n. 220 del 2012, ove si parla di “condomino che ha assunto la gestione delle parti comuni”.
2.5.1. – Con accertamento di fatto, che costituisce prerogativa dei giudici del merito e che è sindacabile per cassazione solo nei limiti dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., la sentenza impugnata ha escluso la natura condominiale del vespaio oggetto dell’intervento manutentivo, giacché il solaio afferente al piano terreno e costruito a livello della superficie di campagna direttamente sulla sabbia, con un interposto di strati di inerti, ha solo funzione di sostegno e non di copertura ed è posto a vantaggio esclusivo dell’appartamento dei signori COGNOME e COGNOME.
2.5.2. -In  tema  di  condominio  negli  edifici,  l’individuazione  delle parti  comuni,  risultante  dall’art.  1117  cod.  civ.,  non  opera  con riguardo  a  cose  che,  per  le  loro  caratteristiche  strutturali,  risultino destinate  oggettivamente  al  servizio  esclusivo  di  una  o  più  unità immobiliari.
Nella  memoria  depositata  ai  sensi  dell’art.  378,  comma  1,  c.p.c.,  il Pubblico  Ministero  osserva  che,  conformemente  alla  più  recente giurisprudenza,  del  vespaio  per  cui  è  causa  dovrebbe  affermarsi  la
natura condominiale, avendo esso comunque – sia se realizzato mediante intercapedine, sia se realizzato mediante riempimento – la funzione di preservare l’intero edificio dall’umidità che risale dal suolo sul quale esso poggia. Il Pubblico Ministero osserva in proposito che sarebbe altrimenti difficile distinguere la natura giuridica del bene solo in relazione alle diverse tecniche di realizzazione di un’opera che comunque ha la medesima finalità funzionale: proteggere dalla risalita di umidità dal suolo comune.
Sennonché, al fine di stabilire se un vespaio, sottostante al pavimento del piano terra, indipendentemente dalle modalità costruttive, costituisca uno spazio essenziale per l’esistenza dell’edificio condominiale o necessario all’uso comune, agli effetti dell’art. 1117 c.c., avendo la funzione di isolare e proteggere l’intero fabbricato dall’umidità, oppure dia luogo ad un manufatto posto al servizio esclusivo della unità immobiliare poggiante sul suolo comune, non ci si può basare semplicemente sulla interpretazione delle fattispecie astratte e generiche elencate nel citato articolo, esigendosi, piuttosto, una valutazione dello stato effettivo dei luoghi e dei rapporti intercorrenti fra le componenti condominiali. Tale concreta valutazione strutturale e funzionale è stata svolta dalla Corte d’appello di Firenze mediante apprezzamento di fatto che non è sovvertibile in questa sede.
2.5.3. -Poiché l’edificio condominiale comprende l’intero manufatto che va dalle fondamenta al tetto, e quindi anche i vani scantinati compresi tra le fondamenta stesse, ed il suolo su cui sorge l’edificio, oggetto di proprietà comune ai sensi dell’art. 1117 c.c. è non la superficie, a livello del piano di campagna, che viene scavata per la posa delle fondamenta, bensì quella porzione del terreno su cui viene a poggiare l’intero edificio, e, immediatamente, la parte infima dello stesso. Di conseguenza, anche per stabilire a chi spetti la proprietà di
un locale dell’edificio condominiale, sottostante al piano terreno, deve farsi riferimento non alle ordinarie norme poste dagli artt. 840 e 934 c.c., ma a quelle che regolano la proprietà condominiale, divisa per piani orizzontali, gradatamente accertandosi al predetto fine: a) se il titolo, esplicitamente o implicitamente, attribuisca a taluno la proprietà esclusiva; b) se, tacendo il titolo, la proprietà esclusiva possa riconoscersi ugualmente in quanto acquisita per usucapione; c) se, non potendo neanche accamparsi l’usucapione, il locale, per la sua struttura, non possa considerarsi tra le parti dell’edificio necessarie all’uso comune o tra le cose destinate ad un servizio o al godimento comune, e debba viceversa considerarsi destinato ad uso esclusivo (Cass. n. 1632 del 1983).
Va  dunque  enunciato  il  seguente  principio,  in  continuità  a  Cass.  n. 6357 del 1993:
il  vespaio,  sottostante  al  pavimento  del  piano  terra,  che  vi  viene poggiato, avente sola funzione isolante e di separazione della superficie di sedime dalla soletta inferiore e realizzato con la stesura di  uno  strato  di  materiale  inerte,  non  rientra  nell’ambito  del  suolo comune  a  norma  dell’art.  1117  c.c.,  costituendo  un  manufatto destinato esclusivamente a migliorare le condizioni abitative dell’unità immobiliare al piano terreno e poggiante sul suolo comune.
2.6. -Le spese fatte dal condomino per la manutenzione del vespaio, nei  termini  indicati,  non  costituiscono,  pertanto,  ‘spese  per  le  cose comuni’ agli effetti dell’art. 1134 c.c., vecchio testo.
Anche al riguardo può enunciarsi principio, in continuità con Cass. n. 5264 del 1983:
l’art. 1134 c.c., secondo cui il condomino non ha diritto al rimborso di spese fatte senza autorizzazione dell’amministratore e dell’assemblea, trova  applicazione  solo  nel  caso  in  cui  le  spese  si  riferiscono  alla riparazione di cose comuni e non pure allorché afferiscono ad opere
dallo  stesso  effettuate  nell’ambito  della  sua  proprietà  singola  senza alcuna utilità per la conservazione dei beni condominiali.
2.7. -Non vi è, peraltro, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e/o 116 c.p.c., né omesso esame ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., per l’assunta non contestazione dell’origine delle infiltrazioni in base alle richiamate relazioni tecniche.
Innanzitutto, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. Sez. Unite, n. 20867 del 2020).
Per dedurre, invece, la violazione dell’art. 116 c.p.c. occorre denunciare  che  il  giudice  di  merito  abbia  disatteso  il  principio  della libera valutazione delle prove in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, abbia valutato secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime.
Inoltre, l’onere di contestazione, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., attiene alle circostanze di fatto e non anche alla loro componente valutativa, che è sottratta al principio di non contestazione, sicché non sussiste alcun onere di contestazione con riferimento alle valutazioni svolte dal consulente tecnico d’ufficio o di parte.
Infine,  il  vizio  specifico  ex  art.  360,  comma  1,  n.  5,  c.p.c.  riguarda l’omesso  esame  di  un  fatto  storico,  principale  o  secondario,  la  cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione  tra le parti e abbia carattere
decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). È allora evidentemente privo di decisività, in una causa avente ad oggetto il rimborso delle spese per la conservazione di parti comuni ex art. 1134 c.c., il ‘fatto’ della ‘provenienza’ delle infiltrazioni. Peraltro, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
-L’ottavo  motivo  di  ricorso  denuncia  la  violazione  e/o  falsa applicazione degli artt. 115, 116, 167 e 702 bis c.p.c. con riferimento al quantum dei costi per gli interventi.
Il motivo è inammissibile, o comunque infondato.
Il ricorso non indica specificamente, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n.  6,  c.p.c.,  in  quale  atto  e  con  quale  contenuto  rilevante  le  difese spiegate  dal  RAGIONE_SOCIALE  deponessero  per  la  non contestazione dell’importo delle spese sostenute dagli attori e rientranti nella sfera di conoscibilità del convenuto.
Né comunque può deporre per una non contestazione ai sensi dell’art. 115  c.p.c.  un  atteggiamento  difensivo  improntato  sin  dalle  origini della  lite  alla  negazione  della  sussistenza  degli  elementi  costitutivi della fattispecie normativa di cui all’art. 1134 c.c.
-Il  nono  motivo  di  ricorso  lamenta  la  violazione  e/o  falsa applicazione degli artt. 115, 116, 167 e 702 bis c.p.c. con riferimento alla  voce  di  danno  costituita  dalle  spese  legali  stragiudiziali  e  di mediazione.
Il decimo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 329 e/o 112 c.p.c. con riferimento alla voce di danno costituita dalle spese legali stragiudiziali e di mediazione.
L’undicesimo  motivo  di  ricorso  denuncia  la  violazione  e/o  falsa applicazione  dell’art.  342  c.p.c.  con  riferimento  alla  voce  di  danno costituita dalle spese legali stragiudiziali e di mediazione.
Il  dodicesimo  motivo  deduce  la  violazione  e/o  comunque  falsa applicazione degli artt. 18 e seguenti, tabella 25 allegata al D.M. n. 55/2014 e dell’art. 5, tabelle 25 e 25 bis allegate al D.M. 37/18 con riferimento alla voce di danno costituita dalle spese legali stragiudiziali e di mediazione.
Il tredicesimo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e/o comunque degli artt. 132, 187, 188, 189 e 244 c.p.c. le deduzioni istruttorie volte a dar prova dell’invio delle notule all’amministratore ed all’avvocato del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
4.1. -Nono,  decimo,  undicesimo,  dodicesimo  e  tredicesimo  motivo possono  esaminarsi  congiuntamente,  giacché  connessi,  e  non  sono fondati.
È stato accolto il motivo di appello del RAGIONE_SOCIALE che riteneva non dovute le spese per l’assistenza legale precedente alla introduzione del giudizio, essendosi gli attori limitati a produrre solo preventivi di notule professionali.
Non vi  è  violazione  del  principio  di  non  contestazione  per  le  stesse ragioni esposte rigettando l’ottavo motivo.
A fronte di motivo di appello che censurava, come espongono testualmente gli stessi ricorrenti ‘a) l’eccessività delle spese legali conteggiate; b) l’asserita mancanza di prove; c) il fatto che le spese risultassero da preavvisi di parcella e non da fatture’, non si vede quale “parte della sentenza” dotata di autonoma efficacia decisoria, ai sensi dell’art. 329, comma 2, c.p.c., e cioè quale “statuizione minima” (costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto) in punto di spese legali, possa essere stata oggetto di formazione del giudicato interno.
Il medesimo motivo di appello accolto conteneva una chiara individuazione  delle  questioni  e  dei  punti  contestati  della  sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva  una  parte  argomentativa  che  confutava  e  contrastava  le ragioni addotte dal primo giudice.
Per  il  resto,  la  decisione  della  Corte  d’appello  si  è  limitata  ad affermare che non vi fosse prova adeguata delle spese di assistenza legale  per  la  fase  precedente  l’introduzione  del  procedimento  di mediazione, ritenendo insufficiente la notula professionale prodotta e irrilevante la testimonianza dedotta sul fatto dell’invio della notula da parte del legale ai suoi assistiti e della relativa richiesta di pagamento.
La decisione è conforme al principio di diritto enunciato in Cass. Sez. Unite n. 16990 del 2017: le spese di assistenza legale stragiudiziale, diversamente  da  quelle  giudiziali  vere  e  proprie,  hanno  natura  di danno  emergente  e  la  loro  liquidazione,  pur  dovendo  avvenire  nel rispetto  delle  tariffe  forensi,  è  soggetta  agli  oneri  di  domanda, allegazione e prova secondo le ordinarie scansioni processuali.
La sufficienza di mere notule di prestazioni professionali di assistenza legale stragiudiziale a dar prova del danno emergente per le relative spese,  che  si  assumono  poi  effettivamente  sostenute  dalla  parte, costituisce  oggetto  di  apprezzamento  del  giudice  di  merito  e  non  è sindacabile in sede di legittimità per violazione o falsa applicazione di norme di diritto.
– Il quattordicesimo motivo di ricorso, infine, denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 96 e 342 c.p.c., avendo il Tribunale di  Lucca  condannato  il  RAGIONE_SOCIALE  ad  una  somma  equitativamente determinata per responsabilità aggravata. Ora i ricorrenti lamentano la riforma sul punto operata dai giudici di appello.
5.1. -Il quattordicesimo motivo di ricorso è palesemente infondato.
Il giudice d’appello deve procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali quale conseguenza della riforma in tutto o in parte (come nella specie) ed in ragione dell’esito complessivo della lite. Nel caso in esame, il RAGIONE_SOCIALE aveva proposto anche uno specifico motivo d’appello relativo alla condanna subita in primo grado per lite temeraria. Né il giudice d’appello, nel regolare unitariamente le spese in base all’esito finale della lite, poteva lasciar ferma la condanna per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., non potendo farsi luogo all’applicazione di tale norma quando non sussiste il requisito della totale soccombenza, per esser stata accolta solo in parte notevolmente ridotta la pretesa degli attori.
6. -Il  ricorso  va  perciò  rigettato  e  i  ricorrenti  vanno  condannati  in solido a rimborsare  al  controricorrente  le  spese  del  giudizio  di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo.
Sussistono  i  presupposti  processuali  per  il  versamento -ai  sensi dell’art. 13, comma 1quater ,  del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte dei ricorrenti, di  un ulteriore importo a titolo  di  contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna  in  solido i ricorrenti a rimborsare  al  controricorrente  le  spese  sostenute  nel  giudizio  di cassazione, che liquida in complessivi € 6.400,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della  sussistenza  dei  presupposti  processuali  per  il  versamento,  da parte  dei  ricorrenti,  di  un  ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2 Sezione civile