Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8252 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 8252 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/03/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 3650/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME
-ricorrenti- contro
CONDOMINIO RAGIONE_SOCIALE IN INDIRIZZO, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di FIRENZE n. 1807/2021 depositata il 23/09/2021.
Udita la relazione svolta nella udienza pubblica del 12/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME il quale ha chiesto di accogliere il ricorso. Uditi gli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (rispettivamente, i primi due quali nudi proprietari, i restanti quali usufruttuari, di unità immobiliare compresa nel Condominio Eden Ponente, INDIRIZZO INDIRIZZO Viareggio) hanno proposto ricorso articolato in quattordici motivi avverso la sentenza n. 1807/2021 della Corte d’appello di Firenze, depositata il 23 settembre 2021.
Ha resistito con controricorso il Condominio Eden Ponente di Viareggio.
2. -I ricorrenti, nelle rispettive qualità, convennero dinanzi al Tribunale di Lucca il Condominio Eden Ponente, chiedendone la condanna al rimborso delle spese sostenute (pari ad € 59.393,83) per l’esecuzione di lavori di manutenzione imputabili al cattivo funzionamento delle tubazioni fognarie condominiali e alla presenza di una falda acquifera sotto il fabbricato. La necessità di tali lavori era stata riconosciuta da una assemblea del Condominio Eden Ponente svoltasi il 14 novembre 1994, e poi confermata in successive deliberazioni dell’organo collegiale. A seguito delle piogge occorse nell’autunno del 1999, la situazione era divenuta intollerabile, imponendosi l’urgenza dell’intervento. Non avendo l’assemblea condominiale tenutasi il 10 giugno 2009 deliberato il rimborso della predetta somma, gli attori avevano agito ai sensi dell’art. 1134 c.c. Il Tribunale di Lucca, con sentenza del 7 novembre 2016, accolse la domanda e condannò il Condominio a versare agli attori la somma di
€ 52.542,67 più Iva, oltre che alle spese sostenute per il procedimento di mediazione e per il processo.
La Corte d’appello di Firenze ha poi accolto in parte il gravame del Condominio Eden Ponente, riducendone la condanna alla somma di € 9.010,00, oltre IVA ed interessi legali, e regolando conseguentemente le spese legali.
I giudici di secondo grado hanno dapprima affermato la sussistenza del diritto al rimborso delle spese ex art. 1134 c.c., avendo gli attori avvisato il Condominio della necessità di eseguire urgentemente i lavori all’interno del loro appartamento, tanto che la stessa assemblea condominiale, nella riunione del 14 novembre 1994, aveva deliberato di ‘provvedere subito’ alla loro realizzazione. Nella perdurante inerzia della gestione condominiale, risultava pertanto giustificata l’iniziativa intrapresa dai signori COGNOME con l’affidamento dei lavori ad un’impresa.
In prosieguo, la sentenza impugnata ha tuttavia escluso la natura condominiale del vespaio oggetto dell’intervento manutentivo, giacché il solaio afferente al piano terreno e costruito a livello della superficie di campagna ha solo funzione di sostegno e non copre alcun locale sottostante.
La Corte d’appello richiama sul punto l’espletata CTU, secondo la quale l’edificio oggetto di causa ‘è una struttura antica e all’epoca le modalità costruttive erano quelle di spiccare le fondazioni direttamente sulla sabbia e i pavimenti erano costruiti, con un interposto di strati di inerti, (vespaio), direttamente sulla medesima sabbia’. Tale ‘vespaio’, sempre secondo l’elaborato peritale, ‘non è una platea di fondazione e non è una parte comune dell’edificio, (è infatti solo un opera, corretta e necessaria, a vantaggio esclusivo dell’appartamento di cui trattasi)’ e, ancora, ‘l’opera, a pavimento, è stata semplicemente sostitutiva di un vecchio vespaio, sul quale
l’impermeabilizzazione o era mancante o non assolveva più al compito cui era destinata e la problematica lamentate dagli attori (allagamenti) non ebbero quindi a scaturire da parti comuni ma semplicemente dal cattivo funzionamento della impermeabilizzazione del vespaio’.
Ritenuti gli errori della sentenza di primo grado quanto al supposto carattere condominiale della soletta o vespaio e quanto alla ‘non contestazione’ dell’importo dei lavori, la Corte d’appello di Firenze ha pertanto riconosciuto il diritto degli attori al rimborso delle sole spese sostenute per l’eliminazione delle infiltrazioni provenienti dai muri perimetrali dell’edificio, stimate nell’importo di € 9.010,00.
L’appello del Condominio Eden Ponente è stato accolto altresì sul punto del rimborso delle spese di assistenza legale per la fase precedente l’introduzione del procedimento di mediazione, ritenendo insufficiente a dar prova di tale voce di danno la notula professionale prodotta e irrilevante la prova per testimoni dedotta sul fatto dell’invio della notula da parte del legale ai suoi assistiti e della relativa richiesta di pagamento.
Essendo la domanda proposta dai signori COGNOMECOGNOME risultata solo in parte fondata, i giudici di appello hanno compensato per la metà le spese del doppio grado di giudizio, ponendo la residua frazione a carico del Condominio.
Ha depositato memoria il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME concludendo per l’accoglimento del ricorso.
Hanno depositato memoria altresì i ricorrenti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va premesso che il ricorso di NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME si sviluppa in quattordici articolati motivi, pur non
sussistendo né una speciale complessità giuridica, né una rilevante importanza economica della fattispecie affrontata.
Nella redazione della presente ordinanza si farà perciò sintetico rinvio per relazione ai motivi ed agli argomenti contenuti negli atti di parte. 1.- Il primo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza ex art. 132 c.p.c. per motivazione inesistente e/o apparente. Dicono i ricorrenti che non è possibile comprendere il percorso logico seguito dalla Corte d’appello, ed in particolare se essa abbia inteso escludere di la risarcibilità di alcuni interventi di ripristino poiché ‘eseguiti su’ parte privata, oppure poiché si resero necessari a seguito infiltrazioni ‘provenienti da’ parte privata.
Questa incertezza, ad avviso dei ricorrenti, apre un ‘bivio’ che viene attraversato nelle censure a seguire.
Così, i motivi dal secondo al sesto, ove si ritenga che la Corte di Firenze abbia escluso il rimborso degli interventi di ripristino perché ‘eseguiti su’ parte privata, deducono la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1117 c.c. e 1123 c.c. (pagine 12 e ss. di ricorso), dell’art. 1134 c.c. (pagina 14), dell’art. 329 c.p.c. (pagine 14 e ss.; ciò perché non era stato oggetto dell’appello del Condominio Eden Ponente il capo della sentenza di primo grado secondo cui le spese erano state sostenute ‘per la cosa comune’) , degli artt. 115 e 116 c.p.c. (pagine 15 e ss.) e/o comunque l’omesso esame ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (pagine 17 e ss.).
Il settimo motivo denuncia, invece, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1117 e/o 1123 e/o 1134 c.c., degli artt. 2043 e 2051 c.c. e degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., ove ‘si ritenga’ che la Corte di Firenze abbia escluso la risarcibilità di alcuni interventi di ripristino poiché necessari a seguito di infiltrazioni ‘provenienti da’ parte privata.
-I primi sette motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, per loro connessione, e si rivelano non fondati.
2.1. -La motivazione della sentenza impugnata contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione, e non è perciò affatto ‘apparente’, consentendo un «effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice» (cfr. Cass. Sezioni Unite n. 8053 del 2014; n. 22232 del 2016; n. 2767 del 2023). Ciò è del resto confermato dalla stessa proposizione di molteplici motivi di ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, essendo tali vizi incompatibili con la contemporanea denuncia di un difetto di attività del giudice di secondo grado, in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia semmai risolta in modo giuridicamente non corretto.
L’esistenza di una motivazione che consente di individuare e comprendere le ragioni della decisione rende anche ingiustificata la prospettazione ipotetica e perplessa delle censure da parte dei ricorrenti.
2.2. Va premesso che la domanda che esaurisce il thema decidendum di causa, per quanto affermato nella sentenza impugnata ed esposto dai medesimi ricorrenti, concerne la pretesa di rimborso avanzata da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME ai sensi dell’art. 1134 c.c. nei confronti del Condominio Eden Ponente in relazione alle spese sostenute per l’esecuzione di lavori di manutenzione imputabili al cattivo funzionamento delle tubazioni fognarie condominiali e alla presenza di una falda acquifera sotto il fabbricato.
Sono perciò del tutto estranee alla materia di causa le questioni circa la ‘provenienza’ delle infiltrazioni e la ‘responsabilità’ del
condominio, quale custode dei beni e dei servizi comuni ex art. 2051 c.c., per ‘danni’ cagionati a porzione di proprietà esclusiva.
2.3. – Non è, poi, oggetto del sindacato devoluto dalle parti a questa Corte con le loro doglianze la questione che quella oggetto di causa fosse, o meno, una ‹‹spesa urgente››, agli effetti dell’art. 1134 c.c. (secondo il testo previgente alla modifica operata con la legge n. 220/2012, qui operante ratione temporis ).
Vertendosi, come detto, nell’ambito di un condominio edilizio, si applica l’art. 1134 c.c., il quale, a differenza dell’art. 1110 c.c., che opera in materia di comunione ordinaria, regola il rimborso delle spese di gestione delle parti comuni sostenute dal partecipante non alla mera trascuranza o tolleranza degli altri comunisti (per quanto di durata pluriennale, come espone la Corte di Firenze), quanto al diverso e più stringente presupposto dell’urgenza, intendendo la legge trattare nel condominio con maggior rigore la possibilità che il singolo possa interferire nell’amministrazione dei beni in comproprietà. Ne discende che, istaurandosi il condominio sul fondamento della relazione di accessorietà tra i beni comuni e le proprietà individuali, la spesa autonomamente sostenuta da uno di essi è rimborsabile soltanto nel caso in cui abbia i requisiti dell’urgenza, ai sensi dell’art. 1134 c.c. (Cass. Sez. Unite n. 2046 del 2006; Cass. n. 18759 del 2016).
Tale requisito dell’urgenza condiziona il diritto al rimborso del condomino gestore, il quale deve darne prova, e si spiega non soltanto come dimostrazione che le spese anticipate dal singolo fossero indispensabili per evitare un possibile nocumento a sé, a terzi od alla cosa comune, ma altresì che le opere dovessero essere eseguite senza ritardo e senza possibilità di avvertire tempestivamente l’amministratore o gli altri condomini, sulla base di accertamento di fatto spettante al giudice del merito (Cass. n. 29336
del 2023; n. 14326 del 2017; n. 27106 del 2021). Nulla è invece dovuto in caso di mera trascuranza degli altri comproprietari, non trovando applicazione le norme in materia di comunione (art. 1110 c.c.). Se l’assemblea, a fronte dell’urgenza dell’intervento conservativo delle cose comuni, non vi provvede o non raggiunge la necessaria maggioranza, o, come si assume avvenuto nel caso di specie, la deliberazione adottata non viene eseguita (quella del 14 novembre 1994), il rimedio è dato dal ricorso all’autorità giudiziaria, come previsto dall’art. 1105, comma 4, c.c. (e dall’art. 1139 c.c.), e non dall’iniziativa individuale di uno o più condomini che assumano la gestione delle parti condominiali degradate (Cass. n. 29336 del 2023; n. 9280 del 2018; n. 21015 del 2011).
2.4. -Il Condominio Eden Ponente nel proprio appello, dopo aver lamentato la carenza dell’urgenza (doglianza però disattesa dalla Corte di Firenze), ha contestato la proprietà condominiale del vespaio coinvolto nell’intervento manutentivo realizzato ad iniziativa dei condomini COGNOME e COGNOME.
Non ha consistenza la censura dei ricorrenti ad avviso della quale non era stato così appellato il capo della sentenza di primo grado secondo cui le spese erano state sostenute ‘per la cosa comune’. Che le spese anticipate dai signori COGNOME e COGNOME fossero per la cosa comune non configura una ‘parte della sentenza’, agli effetti dell’art. 329, comma 2, c.p.c., dettato in tema di acquiescenza implicita e cui si ricollega la formazione del giudicato interno, sicché l’appello proposto in ordine alla sussistenza del fatto costitutivo del credito da rimborso ex art. 1134 c.c. apriva il riesame del giudice del gravame sull’intera questione (cfr. Cass. n. 16583 del 2012; n. 2217 del 2016).
Le contestazioni mosse dal condomino cui sia domandato il rimborso delle spese anticipate ai sensi dell’art. 1134 c.c. circa l’avvenuta erogazione delle stesse, circa l’inerenza alle cose comuni o circa
l’urgenza qualificata, danno luogo non ad eccezioni, ma a mere difese volte a negare la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie normativa oggetto di causa.
2.5. -È corretta l’applicazione dell’art. 1134 c.c. (nella formulazione vigente ratione temporis ) fatta dalla Corte d’appello di Firenze.
L’art. 1134 c.c., prima della modifica operata con legge 11 dicembre 2012, n. 220, si riferiva alle ‘spese per le cose comuni’, cioè alle spese necessarie per la conservazione delle parti comuni, e non delle proprietà esclusive, non avendo altrimenti senso la precisazione ‘senza autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea’.
È in tal senso più chiaro il testo introdotto proprio dalla legge n. 220 del 2012, ove si parla di “condomino che ha assunto la gestione delle parti comuni”.
2.5.1. – Con accertamento di fatto, che costituisce prerogativa dei giudici del merito e che è sindacabile per cassazione solo nei limiti dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., la sentenza impugnata ha escluso la natura condominiale del vespaio oggetto dell’intervento manutentivo, giacché il solaio afferente al piano terreno e costruito a livello della superficie di campagna direttamente sulla sabbia, con un interposto di strati di inerti, ha solo funzione di sostegno e non di copertura ed è posto a vantaggio esclusivo dell’appartamento dei signori COGNOME e COGNOME.
2.5.2. -In tema di condominio negli edifici, l’individuazione delle parti comuni, risultante dall’art. 1117 cod. civ., non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari.
Nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378, comma 1, c.p.c., il Pubblico Ministero osserva che, conformemente alla più recente giurisprudenza, del vespaio per cui è causa dovrebbe affermarsi la
natura condominiale, avendo esso comunque – sia se realizzato mediante intercapedine, sia se realizzato mediante riempimento – la funzione di preservare l’intero edificio dall’umidità che risale dal suolo sul quale esso poggia. Il Pubblico Ministero osserva in proposito che sarebbe altrimenti difficile distinguere la natura giuridica del bene solo in relazione alle diverse tecniche di realizzazione di un’opera che comunque ha la medesima finalità funzionale: proteggere dalla risalita di umidità dal suolo comune.
Sennonché, al fine di stabilire se un vespaio, sottostante al pavimento del piano terra, indipendentemente dalle modalità costruttive, costituisca uno spazio essenziale per l’esistenza dell’edificio condominiale o necessario all’uso comune, agli effetti dell’art. 1117 c.c., avendo la funzione di isolare e proteggere l’intero fabbricato dall’umidità, oppure dia luogo ad un manufatto posto al servizio esclusivo della unità immobiliare poggiante sul suolo comune, non ci si può basare semplicemente sulla interpretazione delle fattispecie astratte e generiche elencate nel citato articolo, esigendosi, piuttosto, una valutazione dello stato effettivo dei luoghi e dei rapporti intercorrenti fra le componenti condominiali. Tale concreta valutazione strutturale e funzionale è stata svolta dalla Corte d’appello di Firenze mediante apprezzamento di fatto che non è sovvertibile in questa sede.
2.5.3. -Poiché l’edificio condominiale comprende l’intero manufatto che va dalle fondamenta al tetto, e quindi anche i vani scantinati compresi tra le fondamenta stesse, ed il suolo su cui sorge l’edificio, oggetto di proprietà comune ai sensi dell’art. 1117 c.c. è non la superficie, a livello del piano di campagna, che viene scavata per la posa delle fondamenta, bensì quella porzione del terreno su cui viene a poggiare l’intero edificio, e, immediatamente, la parte infima dello stesso. Di conseguenza, anche per stabilire a chi spetti la proprietà di
un locale dell’edificio condominiale, sottostante al piano terreno, deve farsi riferimento non alle ordinarie norme poste dagli artt. 840 e 934 c.c., ma a quelle che regolano la proprietà condominiale, divisa per piani orizzontali, gradatamente accertandosi al predetto fine: a) se il titolo, esplicitamente o implicitamente, attribuisca a taluno la proprietà esclusiva; b) se, tacendo il titolo, la proprietà esclusiva possa riconoscersi ugualmente in quanto acquisita per usucapione; c) se, non potendo neanche accamparsi l’usucapione, il locale, per la sua struttura, non possa considerarsi tra le parti dell’edificio necessarie all’uso comune o tra le cose destinate ad un servizio o al godimento comune, e debba viceversa considerarsi destinato ad uso esclusivo (Cass. n. 1632 del 1983).
Va dunque enunciato il seguente principio, in continuità a Cass. n. 6357 del 1993:
il vespaio, sottostante al pavimento del piano terra, che vi viene poggiato, avente sola funzione isolante e di separazione della superficie di sedime dalla soletta inferiore e realizzato con la stesura di uno strato di materiale inerte, non rientra nell’ambito del suolo comune a norma dell’art. 1117 c.c., costituendo un manufatto destinato esclusivamente a migliorare le condizioni abitative dell’unità immobiliare al piano terreno e poggiante sul suolo comune.
2.6. -Le spese fatte dal condomino per la manutenzione del vespaio, nei termini indicati, non costituiscono, pertanto, ‘spese per le cose comuni’ agli effetti dell’art. 1134 c.c., vecchio testo.
Anche al riguardo può enunciarsi principio, in continuità con Cass. n. 5264 del 1983:
l’art. 1134 c.c., secondo cui il condomino non ha diritto al rimborso di spese fatte senza autorizzazione dell’amministratore e dell’assemblea, trova applicazione solo nel caso in cui le spese si riferiscono alla riparazione di cose comuni e non pure allorché afferiscono ad opere
dallo stesso effettuate nell’ambito della sua proprietà singola senza alcuna utilità per la conservazione dei beni condominiali.
2.7. -Non vi è, peraltro, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e/o 116 c.p.c., né omesso esame ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., per l’assunta non contestazione dell’origine delle infiltrazioni in base alle richiamate relazioni tecniche.
Innanzitutto, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. Sez. Unite, n. 20867 del 2020).
Per dedurre, invece, la violazione dell’art. 116 c.p.c. occorre denunciare che il giudice di merito abbia disatteso il principio della libera valutazione delle prove in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, abbia valutato secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime.
Inoltre, l’onere di contestazione, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., attiene alle circostanze di fatto e non anche alla loro componente valutativa, che è sottratta al principio di non contestazione, sicché non sussiste alcun onere di contestazione con riferimento alle valutazioni svolte dal consulente tecnico d’ufficio o di parte.
Infine, il vizio specifico ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. riguarda l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere
decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). È allora evidentemente privo di decisività, in una causa avente ad oggetto il rimborso delle spese per la conservazione di parti comuni ex art. 1134 c.c., il ‘fatto’ della ‘provenienza’ delle infiltrazioni. Peraltro, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
-L’ottavo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, 116, 167 e 702 bis c.p.c. con riferimento al quantum dei costi per gli interventi.
Il motivo è inammissibile, o comunque infondato.
Il ricorso non indica specificamente, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., in quale atto e con quale contenuto rilevante le difese spiegate dal Condominio Eden Ponente deponessero per la non contestazione dell’importo delle spese sostenute dagli attori e rientranti nella sfera di conoscibilità del convenuto.
Né comunque può deporre per una non contestazione ai sensi dell’art. 115 c.p.c. un atteggiamento difensivo improntato sin dalle origini della lite alla negazione della sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie normativa di cui all’art. 1134 c.c.
-Il nono motivo di ricorso lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, 116, 167 e 702 bis c.p.c. con riferimento alla voce di danno costituita dalle spese legali stragiudiziali e di mediazione.
Il decimo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 329 e/o 112 c.p.c. con riferimento alla voce di danno costituita dalle spese legali stragiudiziali e di mediazione.
L’undicesimo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. con riferimento alla voce di danno costituita dalle spese legali stragiudiziali e di mediazione.
Il dodicesimo motivo deduce la violazione e/o comunque falsa applicazione degli artt. 18 e seguenti, tabella 25 allegata al D.M. n. 55/2014 e dell’art. 5, tabelle 25 e 25 bis allegate al D.M. 37/18 con riferimento alla voce di danno costituita dalle spese legali stragiudiziali e di mediazione.
Il tredicesimo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e/o comunque degli artt. 132, 187, 188, 189 e 244 c.p.c. le deduzioni istruttorie volte a dar prova dell’invio delle notule all’amministratore ed all’avvocato del Condominio Eden Ponente.
4.1. -Nono, decimo, undicesimo, dodicesimo e tredicesimo motivo possono esaminarsi congiuntamente, giacché connessi, e non sono fondati.
È stato accolto il motivo di appello del Condominio Eden Ponente che riteneva non dovute le spese per l’assistenza legale precedente alla introduzione del giudizio, essendosi gli attori limitati a produrre solo preventivi di notule professionali.
Non vi è violazione del principio di non contestazione per le stesse ragioni esposte rigettando l’ottavo motivo.
A fronte di motivo di appello che censurava, come espongono testualmente gli stessi ricorrenti ‘a) l’eccessività delle spese legali conteggiate; b) l’asserita mancanza di prove; c) il fatto che le spese risultassero da preavvisi di parcella e non da fatture’, non si vede quale “parte della sentenza” dotata di autonoma efficacia decisoria, ai sensi dell’art. 329, comma 2, c.p.c., e cioè quale “statuizione minima” (costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto) in punto di spese legali, possa essere stata oggetto di formazione del giudicato interno.
Il medesimo motivo di appello accolto conteneva una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confutava e contrastava le ragioni addotte dal primo giudice.
Per il resto, la decisione della Corte d’appello si è limitata ad affermare che non vi fosse prova adeguata delle spese di assistenza legale per la fase precedente l’introduzione del procedimento di mediazione, ritenendo insufficiente la notula professionale prodotta e irrilevante la testimonianza dedotta sul fatto dell’invio della notula da parte del legale ai suoi assistiti e della relativa richiesta di pagamento.
La decisione è conforme al principio di diritto enunciato in Cass. Sez. Unite n. 16990 del 2017: le spese di assistenza legale stragiudiziale, diversamente da quelle giudiziali vere e proprie, hanno natura di danno emergente e la loro liquidazione, pur dovendo avvenire nel rispetto delle tariffe forensi, è soggetta agli oneri di domanda, allegazione e prova secondo le ordinarie scansioni processuali.
La sufficienza di mere notule di prestazioni professionali di assistenza legale stragiudiziale a dar prova del danno emergente per le relative spese, che si assumono poi effettivamente sostenute dalla parte, costituisce oggetto di apprezzamento del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità per violazione o falsa applicazione di norme di diritto.
– Il quattordicesimo motivo di ricorso, infine, denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 96 e 342 c.p.c., avendo il Tribunale di Lucca condannato il Condominio ad una somma equitativamente determinata per responsabilità aggravata. Ora i ricorrenti lamentano la riforma sul punto operata dai giudici di appello.
5.1. -Il quattordicesimo motivo di ricorso è palesemente infondato.
Il giudice d’appello deve procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali quale conseguenza della riforma in tutto o in parte (come nella specie) ed in ragione dell’esito complessivo della lite. Nel caso in esame, il Condominio Eden Ponente aveva proposto anche uno specifico motivo d’appello relativo alla condanna subita in primo grado per lite temeraria. Né il giudice d’appello, nel regolare unitariamente le spese in base all’esito finale della lite, poteva lasciar ferma la condanna per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., non potendo farsi luogo all’applicazione di tale norma quando non sussiste il requisito della totale soccombenza, per esser stata accolta solo in parte notevolmente ridotta la pretesa degli attori.
6. -Il ricorso va perciò rigettato e i ricorrenti vanno condannati in solido a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento -ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 6.400,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2 Sezione civile