Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13394 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13394 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1126/2020 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 2379/2019 depositata il 03/06/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il RAGIONE_SOCIALE evocava il Comune RAGIONE_SOCIALE Varese avanti il Tribunale della stessa città, domandando la condanna al pagamento dell’importo dallo stesso attore anticipato all’RAGIONE_SOCIALE per la fornitura di energia elettrica, di spettanza comunale. In esito all’istruttoria, il giudice adito condannava l’amministrazione comunale al pagamento della somma di euro 92.369,99, oltre agli interessi ed alla rifusione delle spese di lite.
Pronunziando sul gravame del soccombente, con sentenza n. 2379 depositata il 3 giugno 2019, la Corte d’appello di Milano rigettava l’impugnazione.
Il giudice di secondo grado rilevava che l’Ente territoriale non aveva contestato l’obbligo, ma affermava di avervi adempiuto, senza tuttavia fornirne la prova. E siccome risultava pacificamente che il Comune avesse usufruito della servitù pubblica sulla INDIRIZZO RAGIONE_SOCIALE, di proprietà condominiale, provvedendo alla volturazione del servizio elettrico solo nel 2011, le somme anticipate dalla controparte per tutto il periodo pregresso (al netto della prescrizione) avrebbero dovuto gravare sull’appellante.
Contro la predetta sentenza, il Comune di Varese ha proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di quattro motivi. Resiste con controricorso il RAGIONE_SOCIALE.
In prossimità della presente udienza, il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con la prima doglianza, il ricorrente assume la violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
Nel rigettare l’eccezione di carenza di legittimazione attiva, la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto che il RAGIONE_SOCIALE, mero ente di gestione, fosse succeduto ai soggetti che avevano sottoscritto l’atto di costituzione di servitù del 1975.
Il motivo è manifestamente infondato.
Gli accordi stipulati dagli iniziali acquirenti dei singoli appartamenti e regolarmente trascritti nei registri immobiliari, concernenti parti comuni della proprietà – non diversamente dal regolamento di condominio predisposto dall’originario unico proprietario dell’intero edificio, ove sia accettato – assumono carattere convenzionale e vincolano tutti i successivi acquirenti, non solo per le clausole che disciplinano l’uso o il godimento dei servizi o delle parti comuni, ma anche per quelle che restringono i poteri e le facoltà dei singoli condomini sulle loro proprietà esclusive venendo a costituire su queste ultime una servitù reciproca; ne consegue che tali accordi, ancorché non materialmente inseriti nel testo dei successivi contratti di compravendita dei singoli appartamenti dell’edificio, fanno corpo con il regolamento condominiale, rientrando le sue clausole, per relationem , nel contenuto dei singoli contratti.
Pertanto, se è vero che, configurandosi il condominio come un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, l’esistenza di un organo rappresentativo unitario, quale l’amministratore, non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa dei diritti esclusivi e comuni inerenti all’edificio condominiale (Sez. 3, n. 23782 del 7 novembre 2014), altrettanto deve dirsi per la legittimazione attiva dell’amministratore rispetto a crediti maturati a favore del condominio, ancorché materialmente
originati da obbligazioni sottoscritte dai singoli condomini, prima della costituzione dell’organo rappresentativo.
Attraverso la seconda censura, il Comune lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 81 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c.
Una volta acclarato il difetto di legittimazione attiva del RAGIONE_SOCIALE come tale, sarebbe mancata la prova che i condomini costituenti tale ente, in quanto aventi causa dagli originari sottoscrittori dell’accordo del 20 giugno 1975, fossero comunque vincolati al medesimo.
2.1. Il terzo mezzo d’impugnazione s’impernia sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., giacché la Corte distrettuale avrebbe omesso di porre a fondamento della propria decisione sia il documento n. 8 del fascicolo di parte convenuta, attestante l’attivazione del contatore individuato al n. NUMERO_DOCUMENTO da parte del RAGIONE_SOCIALE, sia la mancata contestazione dell’omessa comunicazione al Comune di Varese di tale iniziativa fino al 23 ottobre 2007.
2.2. La quarta lagnanza rileva la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 1175 c.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.
La sentenza impugnata, da un lato, avrebbe erroneamente non imputato al Comune il pagamento degli importi fino all’ottobre 2017, non avendo contezza di un contatore attivato dal RAGIONE_SOCIALE, e, dall’altro, per aver escluso, in capo allo stesso, la violazione degli obblighi di correttezza e buona fede.
Il secondo, il terzo ed il quarto motivo, che possono essere scrutinati congiuntamente l’impostazione probatoria che sorregge la decisione della Corte d’appello, sono inammissibili.
3.1. In ordine alla ricostruzione del fatto, la pronunzia impugnata ha affermato: ‘ E’ ancora corretto l’accertato inadempimento del Comune RAGIONE_SOCIALE Varese all’obbligazione assunta nell’atto di costituzione della servitù pubblica sulla Galleria, ovvero al pagamento dell’energia elettrica necessaria alla sua illuminazione. Il Comune non ha infatti contestato l’obbligo ed anzi ha sostenuto di avervi adempiuto senza peraltro offrire alcuna prova dell’esistenza di un impianto ulteriore a quello facente capo al RAGIONE_SOCIALE risultando anzi la prova del contrario, avendo l’ente comunale provveduto alla volturazione a suo nome del medesimo impianto condominiale a partire dall’anno 2011. Pertanto poiché è incontestato che il Comune di Varese abbia pacificamente goduto della servitù pubblica della Galleria e che i costi della sua illuminazione siano stati sostenuti sino al 2011 dall’appellato RAGIONE_SOCIALE, sulla cui utenza risultava allacciato il relativo impianto elettrico, deve confermarsi l’inadempimento del Comune di Varese all’obbligazione assunta nei confronti dei singoli proprietari dei mappali 5214/a, 5215/a, 2736 e 5216, fogli n° 14169/1967 e n° 21668/1967 int. 220, oggi costituiti nel RAGIONE_SOCIALE ‘.
3.2. Come costantemente affermato da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (tra le tante, v. Sez. 1, n. 3340 del 5 febbraio 2019).
3.3. Giova altresì considerare che la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del
giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al presente giudizio qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito.
3.4. Per il resto, va ribadito che l’esame dei documenti esibiti e la valutazione degli stessi, come anche il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra limite diverso da quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 1, n. 19011 del 31 luglio 2017; Sez. 1, n. 16056 del 2 agosto 2016).
In altri termini, la differente lettura delle risultanze istruttorie proposta dal ricorrente non tiene conto del principio per il quale la doglianza non può tradursi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Sez. U, n. 24148 del 25 ottobre 2013).
3.5. È, in conclusione, inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Sez. U, n. 34476 del 27 dicembre 2019; Sez. 1, n. 5987 del 4 marzo 2021).
Al rigetto del ricorso segue la condanna del Comune di Varese alla rifusione delle spese processuali nei confronti del controricorrente, come liquidate in dispositivo.
La Corte da atto che ricorrono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per il raddoppio del versamento del contributo unificato, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il Comune di Varese al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 8.500 (ottomila/500) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del Comune di Varese, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Seconda