Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 15062 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 15062 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 6613/2020 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, dell’avvocatura interna, giusta procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliata presso l’Area Legale Territoriale di RAGIONE_SOCIALE al INDIRIZZO.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, giusta procura analogica che -previa conversione in file.pdf e apposizione di firma digitale -è stata depositata con memoria
di costituzione di nuovo difensore e contestuale revoca del precedente in data 29 giugno 2023.
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 4702/2019, depositata in data 9 luglio 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/4/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOMEAVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE:
1. La RAGIONE_SOCIALE citava dinanzi al tribunale di Roma la RAGIONE_SOCIALE, al fine di ottenerne la condanna al risarcimento dei danni, quantificati in euro 5.500,00, somma corrispondente all’importo portato dall’assegno bancario non trasferibile emesso da Banca Sai s.p.a., con cui l’attrice aveva concluso una convenzione relativa alla liquidazione dei sinistri, in favore di NOME COGNOME; tale assegno, infatti, emesso da Banca Sai, per conto di RAGIONE_SOCIALE, era stato posto all’incasso in data 22 giugno 2012 presso l’Ufficio postale di Roma, dopo che lo stesso era stato depositato sul «libretto» dal sedicente COGNOME il medesimo giorno, con successivo prelevamento dell’intera somma.
Pertanto, l’assegno, munito di clausola di non trasferibilità, era stato pagato presso l’Ufficio postale di Roma a persona diversa dal legittimo beneficiario del titolo, sicché la RAGIONE_SOCIALE era stata costretta ad effettuare un altro pagamento all’effettivo soggetto legittimato riscossione del titolo. Sussisteva la responsabilità della RAGIONE_SOCIALE, la quale avrebbe errato nell’identificazione del prenditore.
2. Il tribunale rigettava la domanda, escludendo la responsabilità della banca negoziatrice, che aveva adempiuto al proprio obbligo di
identificare il portatore dell’assegno, «verificando il numero di codice fiscale ed un documento di identità».
La Corte d’appello di Roma accoglieva il gravame proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, rilevando che la RAGIONE_SOCIALE non aveva bene adempiuto all’obbligazione «alla quale era tenuta a termini dell’art. 43 L.A.». La banca, dunque, «non era liberata dall’originaria obbligazione finché non al prenditore esattamente individuato, a prescindere dalla sussistenza dell’elemento della colpa nell’errore sulle identificazione dello stesso prenditore, trattandosi di obbligazione ‘ ex lege ‘».
Nella specie, la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva proceduto al pagamento «sulla base di due documenti, uno solo dei quali munito di fotografia, così contravvenendo alle indicazioni contenute nella lettera circolare dell’ABI n. LG/003005».
Anche le modalità dell’operazione (apertura di un libretto di risparmio postale intestato al soggetto che aveva presentato l’assegno) non valevano ad alleggerire la posizione dell’appellata, «dal momento che si tratta di un meccanismo ben noto agli operatori del settore, costantemente utilizzato anche dal falso beneficiario».
Inoltre, chiariva la Corte territoriale che «questi fatti , sopravvenuti all’inserimento del titolo nella corrispondenza ordinaria, interrompono altresì l’eventuale nesso di causalità tra tale condotta e l’evento dannoso verificatosi, consistente nel pagamento a soggetto estraneo al rapporto cartolare».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE
Ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE, depositando anche memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la società deduce: «Art. 360, primo comma, numeri 3 e 5, c.p.c. – violazione e falsa applicazione dell’art. 43 del regio decreto n. 1736/1933, in riferimento agli articoli 1218, 1176, 2º comma, 1992, c.c., e legge n. 445 del 2000 – omesso esame di un fatto decisivo che ha formato oggetto di discussione tra le parti».
In particolare, la ricorrente richiama le sentenze, a sezioni unite, nn. 12477 e 12478 del 2018, con le quali la banca negoziatrice è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver assolto essa alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176, secondo comma, c.c.
La Corte d’appello, però, avrebbe «misurato il comportamento di RAGIONE_SOCIALE sulla base di indici di valutazione, che, al di là delle enunciazioni di principio, ne oggettivizzano, la responsabilità».
Anzitutto, il giudice d’appello «non ha valutato la circostanza che i documenti di identificazione acquisiti non presentassero alcun segno evidente di contraffazione».
Pertanto, l’operatore di sportello ha effettuato il versamento solo dopo aver svolto un attento esame circa l’autenticità del titolo ed aver verificato «l’assenza di segni di contraffazione e, quindi, di irregolarità o alterazioni».
Tra l’altro, una volta effettuato il controllo, la somma è stata resa disponibile «solo dopo aver ricevuto l’incasso e l’autorizzazione al pagamento della banca trattaria/emittente a seguito scambio del titolo mediante la procedura in stanza di compensazione».
La ricorrente fa riferimento alla giurisprudenza di legittimità per cui l’impiegato della banca negoziatrice non deve essere un esperto grafologo, ma in possesso di comuni cognizioni teorico tecniche, dovendo utilizzare mezzi e strumenti di agevole reperibilità, «senza
che debba ricorrersi ad attrezzature tecnologiche sofisticate e di difficile e dispendioso deperimento».
Neppure assume rilievo la considerazione per cui l’impiegato avrebbe dovuto «identificare il presentatore degli assegni sulla base di due documenti di riconoscimento, corredati da fotografia», in quanto la regola di comportamento suggerita dall’ABI non costituisce oggetto di norma di legge né di regolamento, bensì mera raccomandazione.
1.1. Il motivo è fondato, sotto il profilo della sola violazione di legge.
1.2. Il motivo è ammissibile in quanto articolato come violazione di legge, e quindi degli articoli 43, comma 2, r.d. n. 1736 del 1933, 1218 e 1176 c.c. vertendosi in tema di clausola generale di cui all’art. 1176, comma 2, c.c., in quanto il giudizio di diligenza professionale, riferito alla banca negoziatrice di un assegno di traenza, compiuto dal giudice di merito per integrare il parametro generale contenuto nella predetta ‘norma elastica’, costituisce una vera e propria attività di interpretazione della norma – non meramente fattuale, limitandosi tale profilo alla ricostruzione del fatto – , dando concretezza a quella «parte mobile» della stessa che il legislatore ha voluto totale per adeguarla ad un determinato contesto storico-sociale, ovvero a determinate situazioni non esattamente ed efficacemente specificabili a priori (Cass., n. 8047 del 2019, poi richiamata in Cass., 10 febbraio 2021, n. 3649).
1.3. Proprio perché si tratta di giudizio di diritto, tale valutazione è censurabile in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., quando si ponga in contrasto con i principi dell’ordinamento e con quegli standard valutativi esistenti nella realtà sociale che concorrono con detti principi a comporre il diritto vivente (Cass., n. 3645 del 1999), sempre che la contestazione non
si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza rispetto a quegli standard, conformi ai valori dell’ordinamento (Cass., n. 505 del 20119.
Nella specie, non vi è dubbio che la contestazione con cui la banca ha censurato il contrasto dell’interpretazione del tribunale, in sede di appello (riguardo alla diligenza richiesta, ex art. 1176, secondo comma, c.c., nella identificazione del prenditore di assegno di traenza) con le norme del nostro ordinamento, e, segnatamente, con la legislazione speciale (che ha provveduto ad indicare) sia sufficientemente specifica.
1.4. Quanto al merito, è stato recentemente affermato che l’attività di identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite riscontro di un solo documento di identità personale, sia nell’ambito delle attività aventi rilevanza pubblicistica, sia nell’ambito dell’attività negoziale tra privati; ne consegue che una regola di condotta, che imponga prudenzialmente ulteriori accertamenti, non è rintracciabile neanche negli standard valutativi di matrice sociale ovvero ricavabili all’interno dell’ordinamento positivo.
È sufficiente, dunque, per andare esente da responsabilità, che la banca negoziatrice abbia dimostrato di aver identificato il prenditore del titolo mediante il controllo del documento di identità non scaduto e privo di segni o altri indizi di falsità (Cass., 12 febbraio 2021, n. 3649; Cass., sez. 1, 26 febbraio 2022, n. 6356; Cass., sez. 1, 11 maggio 2023, n. 12861; Cass., sez. 1, 29 dicembre 2022, n. 38110 ove si chiarisce che la normativa non prevede il ricorso ad ogni possibile mezzo per l’identificazione della clientela, né alcuna indagine presso il Comune di nascita; Cass. sez. 1, 19 dicembre 2019, n. 34107, per cui l’attività di identificazione delle persone
fisiche avviene normalmente tramite il riscontro di un solo documento di identità personale, non potendosi escludere in radice la possibilità che il soggetto non legittimato possa divenire alla contraffazione anche del secondo documento identificativo richiesto).
Nella specie, la ricorrente ha evidenziato che – a differenza di quanto ritenuto dal giudice di secondo grado, che ne ha ritenuto l’inidoneità – la carta d’identità costituisce nel nostro ordinamento il fondamentale strumento di identificazione personale (come si evince degli articoli 3 e 4 e ss. del RD n. 773/1931, art. 1, lettera c) e d) del d.P.R., n. 445 del 2000, art. 2892, r.d. n. 635/40).
Tra l’altro, deve osservarsi che proprio nei rapporti tra intermediari e clientela – e non vi è dubbio che quello in esame rientri proprio in questa tipologia, essendo pacifico in causa che l’abusivo prenditore del titolo, prima di provvedere al suo incasso, aveva aperto un libretto di risparmio postale su cui poi aveva versato l’assegno – l’art. 19 del d.lgs. n. 231 del 2007 (c.d. legge antiriciclaggio), avente ad oggetto le modalità di adempimento degli obblighi di adeguata verifica della clientela, prevede, al comma primo lettera a), che l’identificazione e la verifica della clientela debba essere svolta, in presenza del cliente, con il semplice controllo del documento di identità non scaduto prima della instaurazione del rapporto continuativo. È imposto, invece, alla lettera b), che l’identificazione e verifica dell’identità del cliente avvenga mediante l’adozione di misure adeguate e commisurare di rischio, anche attraverso il ricorso a pubblici registri, elenchi, solo se la clientela sia costituita da persone giuridiche, trust o soggetti analoghi, alla fine di individuare i soggetti dotati di poteri rappresentativi (Cass., sez. 1, 12 febbraio 2021, n. 3649).
Pertanto, anche la legge antiriciclaggio, che si occupa della disciplina dei rapporti degli istituti di credito con i clienti, non ha stabilito modalità più rigorose nella identificazione dei correntisti.
Va, pure, precisato che la carta d’identità (così come il passaporto, patente o altro documento valido di identificazione) costituisce uno strumento sufficiente per una diligente identificazione purché non siano rilevabili sul documento segni o altri indizi di falsità.
Infine, deve puntualizzarsi che, nel caso di pagamento di una somma in favore di soggetto non legittimato, non concorre ad individuare il livello di diligenza qualificata, esigibile da RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c., la raccomandazione ABI contenuta nella circolare del 7 maggio 2001 (che prescrive l’identificazione del beneficiario del pagamento attraverso due documenti muniti di fotografia), dal momento che alla stessa non può essere riconosciuta alcuna portata precettiva, né tale regola prudenziale di condotta si rinviene negli “standards” valutativi di matrice sociale ovvero ricavabili dall’ordinamento positivo, posto che l’attività di identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite il riscontro di un solo documento d’identità personale (Cass., sez. 6-3, 13 settembre 2022, n. 26866).
Ne consegue che l’impostazione del giudice d’appello di non ritenere in nessun modo liberatoria la prova dell’avvenuta identificazione con documento di identità si pone in contrasto con i principi dell’ordinamento e con gli standard valutativi esistenti nella realtà sociale.
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce: «Art. 360, primo comma, numeri 3 e 5, c.p.c.; violazione e falsa applicazione degli articoli 83 del d.P.R. n. 156 del 1973 e del D.M. 26/2/2004 (carta della qualità del servizio pubblico postale) in
riferimento all’art. 1227, primo comma, c.c., e art. 43 L.A. omesso esame di un fatto decisivo che ha formato oggetto di discussione tra le parti».
In particolare, per la ricorrente la Corte d’appello di Roma ha escluso erroneamente il concorso di colpa della RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 1227, primo comma, c.c., giungendo ad affermare che «Questi fatti, sopravvenuti all’inserimento del titolo nella corrispondenza ordinaria interrompono altresì l’eventuale nesso di causalità tra tale condotta e l’evento dannoso verificatosi, consistente nel pagamento a soggetto estraneo al rapporto cartolare e nelle conseguenze che da tale pagamento erano conseguite».
Contrariamente a quanto osservato dalla Corte territoriale, invece, proprio la natura dell’assegno di traenza avrebbe imposto «una massima cautela anche da parte della banca e della compagnia assicuratrice, ben consapevoli del fenomeno criminoso causato dalla propria condotta incauta, consistente appunto nel reiterare spedizioni di assegni in posta ordinaria».
Ai sensi del D.M. 26/2/2007 l’unico strumento per inviare denaro e valori bollati «è la posta assicurata, escludendo il ricorso all’utilizzo di posta ordinaria e raccomandata».
Il nesso di causalità tra la pacifica spedizione incauta dell’assegno del danno conseguente «non può ritenersi interrotto dal ‘fatto sopravvenuto’ (da intendersi la negoziazione effettuata da RAGIONE_SOCIALE), in quanto tale fatto era conseguenza logica (da intendersi l’incasso del titolo)».
Il motivo è fondato.
2.1. Invero, per questa Corte, a sezioni unite, la spedizione per posta ordinaria di un assegno, ancorché munito di clausola d’intrasferibilità, costituisce, in caso di sottrazione del titolo e riscossione da parte di un soggetto non legittimato, condotta idonea
a giustificare l’affermazione del concorso di colpa del mittente, comportando, in relazione alle modalità di trasmissione e consegna previste dalla disciplina del servizio postale, l’esposizione volontaria del mittente ad un rischio superiore a quello consentito dal rispetto delle regole di comune prudenza e del dovere di agire per preservare gl’interessi degli altri soggetti coinvolti nella vicenda, e configurandosi dunque come un antecedente necessario dell’evento dannoso, concorrente con il comportamento colposo eventualmente tenuto dalla banca nell’identificazione del presentatore (Cass., Sez. U., 26 maggio 2020, n. 9769; di recente Cass., sez. 1, 20 luglio 2022, n. 22747; Cass., sez. 6-1, 25 febbraio 2022, n. 6356; Cass., sez. 61, 14 maggio 2021, n. 13152).
Pertanto, anche la condotta anteriore da parte del danneggiato in questo caso la RAGIONE_SOCIALE – entra nel rapporto di causalità, potendosi configurare il fatto colposo di cui all’art. 1227, comma 1, c.c., ove la banca trattaria decide di avvalersi del servizio di posta ordinaria, assumendosene il rischio.
Di qui, l’affermazione per cui, ove si verifichi un’anomalia nel processo di trasmissione e pagamento del titolo, non è necessariamente addebitabile alla banca girataria o negoziatrice, ma «la responsabilità di quest’ultima non esclude infatti, in linea di principio, quella concorrente di altri soggetti eventualmente intervenuti nel predetto processo, che con il loro comportamento abbiano contribuito a cagionare il danno».
Il comportamento colposo del soggetto danneggiato, ove non sia tale da interrompere il nesso di causalità tra il fatto del terzo e l’evento dannoso, può concorrere alla produzione di quest’ultimo, trovando applicazione l’art. 1227 primo comma, c.c..
Tale principio, enunciato con riguardo al comportamento del danneggiato sopravvenuto alla commissione del fatto illecito, è
applicabile anche «al comportamento del danneggiato coevo o anteriore, purché legato da nesso eziologico con l’evento dannoso, essendosi affermato che il fatto colposo cui fa riferimento l’art. 1227, primo comma, c.c., comprende qualsiasi condotta negligente o imprudente che abbia costituito causa concorrente dell’evento».
Ha precisato, dunque, questa Corte che «risulta oggettivamente difficile negare che, in caso di sottrazione di un assegno non trasferibile non consegnato direttamente al prenditore, le modalità prescelte per la trasmissione del titolo possono spiegare un’efficienza causale ai fini della riscossione del relativo importo da parte di un soggetto non legittimato».
Ed infatti, il pagamento da parte della banca «non può avere luogo in mancanza della materiale disponibilità dell’assegno, la cui presentazione alla banca ne costituisce un presupposto indispensabile».
Si è anche chiarito che il rischio che l’assegno «cada in mani diverse da quelle del destinatario, e sia quindi presentato all’incasso da un soggetto diverso dallo effettivo prenditore, non può ritenersi d’altronde scongiurato né dalla clausola di trasferibilità, la cui funzione precipua non consiste nell’evitare il predetto evento, ma nell’impedire la circolazione del titolo, né dall’imposizione a carico della banca dell’obbligo di procedere all’identificazione del presentatore, dal momento che il puntuale adempimento di tale obbligo è reso sempre più difficoltoso dallo sviluppo di perfezionare tecniche di contraffazione documenti, la cui falsificazione spesso non è rilevabile neppure mediante un controllo accurato, ai fini del quale la giurisprudenza di legittimità è costante nell’escludere la necessità del ricorso ad attrezzature tecnologiche sofisticate e di difficile reperimento o del possesso da parte dell’impiegato addetto delle qualità di un esperto grafologo».
Di qui, la conseguenza per cui la scelta di avvalersi della posta ordinaria per la trasmissione dell’assegno beneficiario, pur in presenza di altre forme di spedizione (posta raccomandata o assicurata) o di strumenti di pagamento ben più moderni e sicuri (il bonifico bancario), si traduce nella consapevole assunzione di un rischio da parte del mittente, che non può non costituire oggetto di valutazione ai fini dell’individuazione della causa dell’evento dannoso.
È evidente, dunque, che, relativamente alla posta raccomandata ed assicurata, vada applicata la disciplina di cui al d.m. 26 febbraio 2004; tale scelta di spedizione «consente al mittente di ottenere una certificazione della spedizione con valore legale e di richiedere un avviso di ricevimento, nonché di assicurare il contenuto del plico, prevedendo inoltre la tracciatura elettronica della spedizione, ovverosia la possibilità di ottenere informazioni su dove la stessa si trova, sia per telefono che attraverso Internet».
Pertanto, la possibilità di seguire in tempo reale lo stato di lavorazione del plico ed il percorso dallo stesso compiuto dal momento della spedizione a quello della consegna, «consentono al mittente, in caso di ritardo prolungato nella consegna, di attivarsi tempestivamente per evitarne il pagamento o quanto meno per segnalare l’anomalia alla banca trattaria, affinché adotti le necessarie precauzioni».
L’utilizzazione della posta ordinaria «si pone in contrasto non solo con le regole di comune prudenza, le quali suggerirebbero di avvalersi di modalità di trasmissioni più idonee ad assicurare il controllo sul buon esito della spedizione, ma anche con il dovere di agire in modo da preservare gli interessi di tutti i soggetti coinvolti nella vicenda, ove ciò non comporti un apprezzabile sacrificio a
proprio carico, e ciò in ossequio al principio solidaristico di cui all’art. 2 della Costituzione».
Pertanto, risulta non corretta la motivazione della sentenza della Corte d’appello la quale ha affermato che «questi fatti , sopravvenuti all’inserimento del titolo nella corrispondenza ordinaria, interrompono altresì l’eventuale nesso di causalità tra tale condotta e l’evento dannoso verificatosi, consistente nel pagamento a soggetto estraneo al rapporto cartolare e nelle conseguenze che da tale pagamento erano conseguite in danno della compagni di assicurazioni».
La Corte territoriale ha, poi, aggiunto, in modo erroneo, che «tali considerazioni comportano l’infondatezza di ogni deduzione di RAGIONE_SOCIALE riguardante la presunta negligenza dell’odierna appellante».
Pertanto, il giudice d’appello ha emesso una pronunzia non coerente con la decisione di questa Corte a sezioni unite (Cass., Sez. U., 26 maggio 2020, n. 9769).
La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, a cui si