Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 30293 Anno 2024
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Civile Ord. Sez. 3 Num. 30293 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/11/2024
composta dai signori magistrati:
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Presidente
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME. COGNOME
Consigliera
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Consigliere relatore
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Consigliere
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 1887 del ruolo generale dell’anno 2023, proposto da
NOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
rappresentata e difesa dall’avvocat o NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
nei confronti di
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), rappresentata da COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocat o NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Corte d’a ppello di Roma n. 4598/2022, pubblicata in data 4 luglio 2022; udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del
9 ottobre 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
NOME COGNOME ha proposto, ai sensi dell’art. 615, comma 2, c.p.c., opposizione all’esecuzione per rilascio promossa nei suoi confronti da NOME COGNOME in relazione ad un immobile sito in Zagarolo.
La domanda è stata rigettata dal Tribunale di Tivoli.
Oggetto:
OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE (ART. 615 C.P.C.)
Ad. 09/10/2024 C.C.
R.G. n. 1887/2023
Rep.
La Corte d’a ppello di Roma ha confermato la decisione di primo grado.
Ricorre la COGNOME, sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso la COGNOME.
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis .1 c.p.c..
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c..
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza decisoria nei sessanta giorni dalla data della camera di consiglio.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo del ricorso si denunzia « Violazione e/o falsa applicazione dell ‘ art. 40, comma 2, della legge n. 47/1985, dell ‘ art. 46 del d.p.r. n. 380/2001, dell ‘ art. 32 del d.l. n. 269/2003, convertito dalla legge n. 326/2003, nonché dell ‘ art. 2, comma 58, della legge n. 662/1996, in relazione all ‘ art. 360, primo comma, n. 3 Cpc ».
1.1 Il motivo in esame è inammissibile, per difetto di specificità, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 3 e n. 6, c.p.c..
Nel ricorso non viene chiarito sulla base di quale titolo esecutivo la COGNOME avesse promosso l’esecuzione per rilascio nei confronti della COGNOME (e non è possibile evincerlo con certezza neanche dall’esame della sentenza impugnata).
In particolare, non viene -tra l’altro chiarito se la COGNOME avesse agito in base ad un titolo esecutivo di formazione giudiziale o stragiudiziale e se si trattasse di titolo esecutivo formatosi direttamente in suo favore ovvero se la stessa avesse inteso avvalersi di un titolo formatosi in favore del suo dante causa, precedente proprietario dell’immobile (e, in tale ultimo caso, di quale titolo si trattava).
Ciò impedisce alla Corte di poter valutare la stessa rilevanza ed ammissibilità, ancora prima che la fondatezza nel merito, delle censure formulate con il motivo di ricorso in esame, attinenti
esclusivamente alla validità dell’atto negoziale di acquisto in favore della COGNOME dell’immobile oggetto della procedura esecutiva di rilascio.
1.2 Anche a fini di completezza di esposizione, è opportuno aggiungere che le specifiche censure aventi ad oggetto la statuizione con cui la corte d’appello ha affermato la validità dell’atto di vendita immobiliare in favore della COGNOME risultano anch’esse, di per sé, inammissibili.
Esse si fondano su due distinti assunti, ma entrambi tali assunti non colgono nel segno, per le ragioni che seguono.
1.2.1 Il primo assunto è che nell’atto di compravendita avrebbe dovuto essere indicato il titolo abilitativo sulla base del quale era stato realizzato l’edificio alienato.
Tale censura non coglie adeguatamente l’effettiva ratio decidendi della statuizione impugnata: la corte d’appello ha, infatti, dato atto che nell’atto di vendita non solo era espressamente chiarito che l’edificio era stato in origine realizzato in assenza di concessione (ed emergerebbe dagli atti che addirittura lo aveva realizzato la stessa ricorrente COGNOME), ma erano stati altresì indicati gli « estremi della domanda di concessione edilizia in sanatoria, presentata ai sensi dell ‘ art. 32 d.l. n. 296/2003, convertito dalla legge n. 326/2003, con indicazione degli estremi del pagamento rateale dell ‘ oblazione richiesta dalla legge », in conformità a quanto prescritto dall’art. 2, comma 58, legge n. 662/1996, indicazione sufficiente, secondo la stessa corte d’appello, a determinare la validità dell’atto.
Tale specifica ratio decidendi della statuizione impugnata non risulta adeguatamente, specificamente e motivatamente censurata con il motivo di ricorso in esame che, per tale profilo, deve pertanto ritenersi inammissibile.
1.2.2 Il secondo assunto alla base del ricorso è che l’immobile oggetto del trasferimento in favore della NOME -diversamente da quanto dichiarato nell’atto di compravendita sarebbe stato
in realtà assoggettato a vincoli (in particolare, vincoli idrogeologici e di tutela delle falde idriche, nonché di natura paesaggistica), il che avrebbe impedito, sul piano urbanistico, il conseguimento della concessione in sanatoria richiesta.
Anche questa censura risulta, però, inammissibile per difetto di specificità.
La questione della eventuale sussistenza di vincoli sull’immobile e dell’eventuale incidenza di essi sulla validità dell’atto di vendita dello stesso, infatti, non è affatto presa in esame nella decisione impugnata e nel ricorso non è adeguatamente precisato se e, soprattutto, in quale fase del giudizio, in quali atti processuali ed in quali esatti termini, la medesima -che richiede evidentemente accertamenti di fatto, non ammissibili nella presente sede -era stata già avanzata nel corso del giudizio di m erito, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c..
Con il secondo motivo si denunzia « Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 10, 14 e 15 Cpc in relazione all ‘ art. 360, primo comma, n. 3 Cpc ».
Il motivo è inammissibile, per difetto di specificità, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. .
Nel ricorso non risulta adeguatamente precisato se, in quale fase del giudizio, in quali atti processuali ed in quali esatti termini la questione relativa al valore effettivo dell’immobile oggetto dell’esecuzione per rilascio che richiederebbe evidentemente accertamenti di fatto, non ammissibili nella presente sede -era stata già sollevata nel corso del giudizio di merito, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c..
Con il terzo motivo si denunzia « Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91, 92, secondo comma, Cpc in relazione all ‘ art. 360, primo comma, n. 3 Cpc ».
Il motivo è manifestamente infondato e, come tale anch’esso inammissibile, ai sensi dell’art., 360 bis , comma 1, n. 1, c.p.c..
La corte di appello ha correttamente applicato il disposto degli artt. 91 e 92 c.p.c., secondo i quali la parte soccombente va, di regola, condannata al rimborso delle spese in favore di quella vittoriosa (cd. principio di soccombenza), potendo procedersi alla compensazione integrale o parziale delle stesse, in presenza di eccezionali ragioni, specificamente indicate: e non vi è dubbio che, nella specie, la soccombenza della parte opponente sia stata integrale, di modo che la parziale compensazione delle spese di lite è stata disposta a suo esclusivo vantaggio. Del resto, la facoltà di disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese (anche integrale, quindi a fortiori se solo parziale), anche se aAVV_NOTAIOata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 14989 del 15/07/2005, Rv. 582306 -01; conf., in precedenza: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 851 del 01/03/1977, Rv. 384463 -01; Sez. 3, Sentenza n. 1898 del 11/02/2002, Rv. 552178 -01; Sez. L, Sentenza n. 10861 del 24/07/2002, Rv. 556171 -01; Sez. 3, Sentenza n. 10009 del 24/06/2003, Rv. 564510 -01; Sez. 1, Sentenza n. 17692 del 28/11/2003, Rv. 572524 -01; Sez. 3, Sentenza n. 6756 del 06/04/2004, Rv. 571882 –
01; successivamente: Sez. 3, Sentenza n. 22541 del 20/10/2006, Rv. 592581 -01; Sez. 1, Sentenza n. 28492 del 22/12/2005, Rv. 585748 -01; Sez. 3, Sentenza n. 7607 del 31/03/2006, Rv. 590664 -01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26912 del 26/11/2020, Rv. 659925 – 01).
4. Il ricorso è dichiarato inammissibile.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
Per questi motivi
La Corte:
-dichiara inammissibile il ricorso;
-condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, liquidandole in complessivi € 5.800,00, oltre € 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge;
-dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento al competente ufficio di merito, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Ci-