Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12959 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12959 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22170/2020 R.G. proposto da :
COGNOME NOME e COGNOME NOME rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME e COGNOME con domicilio digitale in atti.
-RICORRENTE- contro
COGNOME e COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME e COGNOME, con domicilio digitale in atti.
-CONTRORICORRENTI- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 2257/2020, depositata il 23/06/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, proprietario di un fabbricato per civile abitazione in Agro di S. Martino Valle Caudina, ha evocato in giudizio il confinante NOME COGNOME chiedendo l’arretramento d i un capannone posto a distanza illegale, la rimozione della condotta pluviale e della condotta interrata che ne raccoglieva le acque, dei
contatori e delle tubazioni di acqua e gas, infine l’estirpazione d i un albero di pino, oltre al risarcimento del danno.
NOME COGNOME ha resistito e, in via riconvenzionale, ha preteso che fosse accertata l’inter venuta usucapione del diritto a tenere a distanza inferiore a quella legale il contatore della rete idrica ed il capannone.
Il giudizio è stato interrotto per la morte di NOME COGNOME ed è stato riassunto dagli eredi NOME COGNOME e COGNOME; si è poi costituita NOME COGNOME, erede della COGNOME, deceduta.
Il T ribunale ha ordinato l’integrazione del contraddittorio nei confronti di NOME COGNOME coniuge del Sacco in comunione legale dei beni e, quindi, esaurita l’istruttoria , ha accolto parzialmente le domande, ordinando -per quanto qui ancora rileva l’arretramento del capannone e la rimozione dell’alb ero di pino, respingendo la riconvenzionale di usucapione.
La Corte territoriale, confermando la sentenza di primo grado, ha affermato che il capannone era posto a distanza inferiore a quella prevista dal D.M. 1444/1968, recepito nello strumento urbanistico locale, sostenendo che i convenuti non avevano dimostrato che l’opera era stata realizzata da oltre vent’anni, poiché i rilievi fotografici che rappresentavano lo stato dei luoghi erano stati depositati tardivamente mentre i capitoli della prova per testi erano generici.
La cassazione della sentenza è chiesta da NOME COGNOME e NOME COGNOME con ricorso in 10 motivi. Severino COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso.
In prossimità dell’adunanza camerale le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Le eccezioni di inammissibilità del ricorso sono infondate: l’impugnaz ione contiene una compiuta illustrazione dei fatti di causa, delle decisioni di merito e dei quesiti in diritto proposti in cassazione
e solleva questioni decise dal giudice di merito in contrasto con l’orientamento consolidato di questa Corte , riguardo -in particolare – ai criteri che devono orientare il giudizio sulla specificità dei capitoli di prova.
2. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’ art. 2697 c.c., per aver la Corte territoriale erroneamente posto sui convenuti l’onere di provare l ‘anteriorità della costruzione del capannone rispetto all’approvazione del lo strumento urbanistico locale che imponeva la distanza di mt. 10 dalle pareti finestrate.
Il motivo è infondato.
Competeva ai convenuti, che avevano chiesto in via riconvenzionale di dichiarare l’usucapione del diritto a tener e l’opera a distanza inferiore a quella legale, la prova di aver realizzato la costruzione in data utile per la maturazione dell’usucapione.
Il proprietario che lamenti la realizzazione di un manufatto su un fondo limitrofo a distanza non regolamentare deve dare prova solo del fatto della costruzione e di quello della dedotta violazione, mentre il convenuto, che affermi di avere acquisito per usucapione il diritto di mantenere il fabbricato a distanza inferiore a quella legale per avere ricostruito un edificio preesistente “in loco”, deve dimostrare la sussistenza degli elementi costitutivi dell’acquisto a titolo originario, vale a dire la presenza per il tempo indicato dalla legge del manufatto nella stessa posizione e l’assoluta identità fra la nuova e la vecchia struttura (Cass. 15041/2018; Cass. 18221/2020; Cass. 18021/2022; Cass. 7455/2023).
3. Il secondo motivo di ricorso censura, ai sensi dell’art. 360 n.3 c.p.c., la violazione degli artt. 873 e 2697 c.c., nonché l’ omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della decisione, per aver la sentenza omesso di esaminare le ragioni di inapplicabilità della normativa del P.R.G., entrata in vigore in data successiva alla realizzazione del capannone.
Il terzo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione dell’ art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte distrettuale desunto l’epoca di costruzione del capannone sulla base di accertamenti svolti autonomamente dal c.t.u. senza uno specifico mandato, e senza peraltro giungere a conclusioni certe riguardo alla realizzazione dell’opera dopo l’entrata in vigore delle norme locali.
Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione dell’ art. 10 della L. 1150/1942 , dell’ art. 115 c.p.c. e degli artt. 871 e 873 c.c., per aver la sentenza applicato le norme dello strumento urbanistico locale le cui previsioni erano entrate in vigore dopo il decorso del termine di pubblicazione sul BURC, avvenuto nel 1988, e quindi dopo la realizzazione del capannone, che per stessa ammissione dei resistenti, era stato realizzato negli anni 1987/1988, dovendo trovare applicazione l’art . 873 c.c., che conferiva a ciascun proprietario il diritto a costruire in prevenzione.
Il quinto motivo di ricorso censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 156 e 244 c.p.c., per aver la Corte di merito respinto la richiesta di prova per testi finalizzata a dimostrare che il capannone era stato realizzato negli anni 1982/1983, per la mancata specificazione della data di inizio e ultimazione delle opere che era indicata nei capitoli, senza valutare la prova nel contesto delle argomentazioni difensive ed esigendo indicazioni non necessarie.
Il quinto motivo è fondato; restano assorbiti i motivi secondo, terzo e quarto.
Il giudizio sulla genericità dei capitoli di prova e della loro idoneità a provare i fatti di causa è rimesso al giudice di merito ed è sindacabile per vizio di motivazione, occorrendo che l’indagine su tali profili sia -tuttavia – condotta non solo alla stregua della loro formulazione letterale, ma anche in correlazione all’adeguatezza fattuale e temporale delle circostanze articolate, pur con l’avvertenza che la facoltà del giudice di chiedere chiarimenti e precisazioni ex art. 253 c.p.c., di natura esclusivamente integrativa, non può tradursi in
un’inammissibile sanatoria della genericità e delle deficienze dell’articolazione probatoria (Cass. 10272/1995; Cass. 3280/2008; Cass. 4501/2010; Cass. 14364/2018).
In tale compito l’esigenza di specificazione dei fatti sui quali i testimoni devono deporre è soddisfatta se, ancorché non precisati in tutti i loro dettagli, tali fatti siano esposti nei loro elementi essenziali, per consentire al giudice di controllarne l’influenza e la pertinenza e mettere in grado la parte, contro la quale essa è diretta, di formulare un’adeguata prova contraria, data la possibilità di chiedere chiarimenti e precisazioni ai testi da parte del giudice e dei difensori (Cass. 2149/2021; Cass. 22254/2021; Cass. 11765/2019).
La Corte di merito, al pari del tribunale, ha affermato che i capitoli di prova non contenevano i necessari riferimenti temporali riguardo all’epoca della costruzione, non essendo indicato quando il manufatto era stato iniziato e quando erano state completate le strutture essenziali.
L ‘indicazione dell’anno di realizzazione (1982/1983) era, però, sufficientemente puntuale ed era altresì correlata alla documentata presentazione, nel 1981, di una richiesta di rilascio del permesso a costruire, non potendosi infine trascurare che la prova era volta a provare la realizzazione di un’opera più di vent’anni prima rispetto alla proposizione del giudizio.
Il giudizio sula specificità della prova appare -quindi -svolto, isolando il contenuto del capitolo dal contesto delle altre deduzioni difensive e con un’ incongrua svalutazione dello stesso dato letterale dell ‘ istanza istruttoria, trascurando le specifiche finalità probatorie del mezzo e l’intento di provare un possesso ultraventennale della servitù di tenere l’opera a distanza inferiore a quella imposta dall’art. 873 c.c.
4. Il sesto motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione degli art. 244 c.p.c. e 157 e ss. c.p.c., per avere il giudice di merito ritenuto d’ufficio inammissibile la prova testimoniale sull’epoca di
costruzione del capannone, non limitandosi ad un giudizio di irrilevanza ma ritenendo generici i capitoli senza una specifica eccezione di parte.
Il motivo è infondato.
Il giudizio di genericità della prova è diretto ad accertar e l’idoneità del mezzo a dimostrare i fatti rilevanti in causa e può esser effettuato d’ufficio (Cass. 2231/1980; Cass. 1294/2018; Cass. 29841/2018; Cass. 24758/2023; Cass. 25040/2024).
Trattasi non dell’inammissibilità conseguente ad una decadenza, al difetto di capacità a testimoniare o al superamento dei limiti posti nell’interesse delle parti rilevabili solo su eccezione (Cass. 23054/2009; Cass. SU 16723/2020), ma dell’inammissibilità correlata al preliminare giudizio, rispetto a quello di nullità, di utilità del mezzo di prova, che sarebbe superfluo assumere, arrecando un vulnus alle esigenze di ragionevole durata del processo.
Il settimo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonché il vizio di motivazione per avere la sentenza omesso di dar conto dell’irrilevanza della prova sull’epoca di costruzione del capannone.
La censura è assorbita per effetto de ll’ accoglimento del quinto motivo di ricorso.
L’ottavo motivo di ricorso censura la violazione o falsa applicazione degli artt. 345 c.p.c. e 112 c.p.c. per non avere ritenuto utilizzabili i rilievi fotogrammetrici depositati in appello, necessari per la dimostrazione dell’epoca di realizzazione del manufatto, atti la cui acquisizione non alterava la parità delle armi tra i contendenti.
Il motivo è inammissibile.
L’art. 345 c.p.c. , nel testo applicabile in relazione alla data di pubblicazione della sentenza di primo grado, consente la produzione di nuovi documenti o l’articolazione di nuove prove a condizione che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli in primo grado per causa non imputabile.
Non era consentito valutare l’ indispensabilità del mezzo istruttorio, né se l’ assunzione della prova alterasse il principio di parità delle armi tra le parti in causa, (Cass. 16289/2024; Cass. 29506/2023; Cass. 29506/2023), prevalendo la valutazione legale di sfavore verso la riapertura dell’istruttoria per ragioni di concentrazione e celerità del giudizio -che incontra un unico limite nell’impossibilità per la parte di produrre le prove in primo grado, nel rispetto delle preclusioni processuali, per fatto non imputabile, evenienza neppure dedotta in ricorso.
Il ricorso non si confronta con il dato normativo e con i limiti ai nova in appello di cui ha fatto puntuale menzione la sentenza impugnata. 7. Il nono motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 115 c.p.c., evidenziando che la sentenza non avrebbe tenuto conto che era incontestato che l’albero era stato estirpato, come i ricorrenti avevano inteso provare mediante la testimonianza ritenuta generica.
Il motivo è inammissibile.
La censura, nel punto in cui prospetta la violazione del principio di non contestazione, si limita ad un generico richiamo agli atti di causa, senza meglio esplicitare il contenuto e il tenore delle deduzioni difensive di controparte (Cass. 12840/2017). Ai fini del rispetto dell’art. 366 c.p.c., il ricorso per cassazione con cui viene dedotta la violazione del principio di non contestazione deve indicare sia la sede processuale in cui sono state dedotte le tesi ribadite o lamentate come disattese, inserendo nell’atto la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi, sia, specificamente, il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori scritti difensivi, in modo da consentire alla Corte di valutare la sussistenza dei presupposti per la corretta applicazione dell’art. 115 c.p.c. (Cass. 15058/2024; Cass. 12840/2017).
Per giunta, questa Corte ha più volte affermato che l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una
non contestazione, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza degli atti di parte, è funzione del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione (Cass. 27240/2019; Cass. 3680/2019).
Essendosi provveduto al taglio della parte superiore dell’albero, ridotto a cespuglio, era legittimo disporne l’arretramento , trattandosi di albero di alto fusto per classificazione botanica. Gli alberi di alto fusto che, a norma dell’art. 892, n. 1, c.c., debbono essere piantati a non meno di tre metri dal confine, vanno identificati con riguardo alla specie della pianta, classificata in botanica come “di alto fusto”, ovvero, se trattisi di pianta non classificata come di alto fusto, con riguardo allo sviluppo da essa assunto in concreto, quando il tronco si ramifichi ad un’altezza superiore a tre metri (Cass. 2865/2003; Cass. 1568/1978).
Con il decimo ed ultimo motivo di ricorso i ricorrenti deducono la violazione dell’ art. 2697 c.c., sostenendo che, essendo la riconvenzionale meritevole di accoglimento, le spese non potevano gravare sui ricorrenti.
Il motivo è assorbito, spettando al giudice di rinvio rivalutare i fatti di causa anche ai fini della definitiva regolazione delle spese.
È, in conclusione, accolto il quinto motivo di ricorso, sono respinti i motivi primo, sesto, ottavo e nono, mentre sono assorbiti il secondo, il terzo, il quarto, il settimo e il decimo motivo.
La sentenza è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il quinto motivo, rigetta i motivi primo, sesto, ottavo e nono e dichiara assorbiti il secondo, il terzo, il quarto, il settimo e il decimo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione anche per la regolazione delle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione