Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4968 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4968 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 26375-2021 proposto da:
COGNOME domiciliato ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentato e difeso d all’Avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
ISTITUTO AUTONOMO RAGIONE_SOCIALE DI CATANIA, domiciliato ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 742/21 della Corte d’appello di Catania , depositata in data 29/03/2021;
Oggetto
LOCAZIONE ABITATIVA
Assegnazione alloggio IACP Inammissibilità dei motivi di ricorso
R.G.N. 26375/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 10/10/2024
Adunanza camerale
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale del 10/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ricorre, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 742/21, del 29 marzo 2021, della Corte d’appello di Catania, che respingendone il gravame avverso la sentenza n. 3810/19, del 24 settembre 2019, del Tribunale della stessa città -ha confermato il rigetto dell’opposizione, dal medesimo proposta, avvero il decreto emesso dall’Istituto Autonomo RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi, ‘IACP’) di Catania, che gli ingiungeva, ai sensi dell’art. 32 del regio decreto 28 aprile 1938, n. 1 165, il rilascio dell’alloggio di edilizia residenziale pubblica, sito in Giarre, da lui occupato, nonché il pagamento dell’importo di € 28.963,85.
Riferisce, in punto di fatto l’odierno ricorrente di essersi opposto al suddetto decreto, eccependo preliminarmente, per quanto qui ancora di interesse, il difetto di legittimazione dello IACP di Catania, per essere quello di Acireale il proprietario e il gestore dell’alloggio. A sost egno della propria iniziativa il COGNOME deduceva, altresì, l’inammissibilità della procedura di cui all’art. 32 del r.d. n. 1165 del 1938, per effetto dell’avvenuta abrogazione di tale norma -a suo dire -ad opera della legge regionale della Regione Siciliana 25 marzo 1986, n. 15 e del d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035. L’opponente eccepiva, poi, l’intervenuta prescrizione, a norma dell’art. 2948 cod. civ., deducendo, infine, l’erroneità della somma ingiunta.
Costituitosi in giudizio lo RAGIONE_SOCIALE di Catania, per resistere all’avversaria opposizione, la stessa veniva rigettata dal primo giudice, con decisione confermata in appello.
Avverso la sentenza della Corte etnea ha proposto ricorso per cassazione il COGNOME sulla base -come detto -di cinque motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -‘ error in procedendo ‘ e ‘ in iudicando ‘, nonché ‘violazione dell’art. 12 cod. proc. civ.’, ribadendo l’avvenuta ‘abrogazione del r.d. n. 1165 del 1938’ e la sua ‘inapplicabilità per gli alloggi ex Gescal’, oltre al la sua ‘abrogazione tacita da parte della legislazione regionale’ ex artt. 20 della legge regionale n. 15 del 1986 e 86 della legge 27 luglio 1978, n. 392.
Il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata ‘nulla ha motivato sull’eccezione di abrogazione dell’art. 32 del r.d. n. 1165 del 1938’.
Ribadisce, infatti, il COGNOME che la Regione Siciliana -in virtù della propria competenza legislativa esclusiva in materia di edilizia residenziale pubblica, ai sensi dell’art. 14, comma 1, lett. f) e g), dello Statuto regionale, approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 -ha stabilito che per gli alloggi, qual è quello oggetto di causa, costruiti e assegnati ai sensi della l.r. n. 15 del 1986, non possa operare il procedimento speciale di ingiunzione e di pagamento dei canoni di cui al suddetto art. 32 del r.d. n. 1165 del 1938. Difatti, l’art. 20 della suddetta legge regionale rimanda -per la determinazione del canone e per la facoltà di riscatto dell’alloggio alla legge n. 392 del 1978, il cui art. 84 ha abrogato tutte le norme precedenti in materia di locazione e, dunque, anche il suddetto art. 32 del r.d. n. 1165 del 1938.
Per tali alloggi, dunque, la sola procedura applicabile per il rilascio e l’ingiunzione di pagamento sarebbe quella di cui all’art. 21 della legge regionale n. 15 del 1986, che a propria volta farebbe riferimento all’art. 658 cod. proc. civ.
Inoltre, la norma in forza della quale lo IACP di Catania ha ingiunto il rilascio dell’alloggio e il pagamento dei canoni deve ritenersi abrogata -secondo il ricorrente -anche dal d.P.R. n. 1035 del 1972, atteso che esso, per il caso di morosità nel pagamento del canone degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, stabilisce l’applicazione del procedimento di cui all’art. 11; si tratterebbe, dunque, di abrogazione per incompatibilità.
3.2. Con il secondo motivo, proposto ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., si assume che ‘la legge regionale siciliana n. 15 del 1986 prevale sulla normativa generale, in quanto destinata a regolare la costruzione, assegnazione e revoca degli alloggi di edilizia residenziale pubblica destinata alla particolare categoria dei lavori dipendenti’, ribadendo si sussistere, in materia, una competenza legislativa esclusiva regionale.
3.3. Il terzo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -‘ error in iudicando ‘ per ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 20 della legge regionale n. 15 del 1986 , in relazione agli artt. 12 e ss. della legge n. 392 del 1978.
Sostiene il ricorrente che in materia di edilizia residenziale pubblica il canone di locazione non è rimesso alla libera contrattazione delle parti, ma è determinato sulla base di norme di legge; in particolare, la legge regionale siciliana 7 giugno 1994, n. 18, agli artt. 3 e 4, rinvia all’Assessorato Regionale la determinazione dei criteri di calcolo. Per quanto specificamente riguarda, poi, gli alloggi ‘ de quibus ‘ , destinati ai lavoratori dipendenti, la determinazione avviene a norma degli artt. 12 e ss. della legge n. 392 del 1978.
Si sottolinea, inoltre, che lo IACP di Catania non ha indicato nel contratto di locazione una serie di elementi, normativamente previsti (dagli artt. 12-14 della legge n. 392 del 1978), che
sarebbero stati rilevanti, in quanto concorrono nella determinazione del canone.
3.4. Il quarto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione dell’art. 21 del c.d. ‘C odice dell’amministrazione digitale’ , ovvero il d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, nonché degli artt. 2702 e 2719 cod. civ., lamentando che la documentazione ‘ ex adverso ‘ prodotta, in quanto priva dell’attestazione di autenticità che deve essere rilasciata da parte del procuratore, non avrebbe alcun valore nel giudizio celebrato.
3.5. Il quinto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 5), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione degli artt. 1219, 2943 e 2934 cod. civ., lamentando la mancanza di un ‘ atto di messa in mora valido per l’interruzione della prescrizione’.
Si duole il ricorrente della decisione della Corte etnea di ritenere che le missive, ad esso Leotta inviate dallo IACP in busta chiusa, fossero sufficienti ad interrompere la prescrizione, sebbene le stesse non fossero mai state ricevute.
Osserva che, per giurisprudenza consolidata, un atto, per avere efficacia interruttiva della prescrizione, deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato, l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione (o richiesta scritta) di adempimento, nonché, trattandosi di atto recettizio, deve pervenire a destinazione del soggetto. Nella specie, le lettere prodotte da controparte, oltre a essere prive dei requisiti previsti dalle norme denunciate come violate, non sarebbero state portate validamente a conoscenza del destinatario.
Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, lo IACP di Catania, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
Non consta la presentazione di requisitoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è inammissibile, in ciascuno dei motivi in cui si articola.
7.1. I motivi primo e secondo -da scrutinare unitariamente, data la loro connessione, ipotizzando l’abrogazione dell’art. 32 del regio decreto 28 aprile 1938, n. 1165 -sono inammissibili e, comunque, non fondati.
7.1.1. Sotto il primo profilo, deve osservarsi che ‘l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura’, non solo ‘di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione’, ma anche ‘di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare -con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa’ (Cass. Sez. Un., sent. 28 ottobre 2020, n. 23745, Rv. 659448-01).
Affinché, dunque, il requisito di specificità del motivo con cui venga denunciato il vizio di violazione di legge possa dirsi rispettato, occorre ‘ la specifica indicazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla Suprema Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione’ (Cass. Sez. 3, ord. 26 luglio 2024, n. 20870, Rv. 671836-01).
Nell’ipotesi che occupa, il ricorrente neppure ha provveduto ad identificare le parti della sentenza impugnata che si porrebbero in contrasto con le norme (e le tesi) da esso richiamate.
Né, poi, il rilievo svolto potrebbe essere superato in considerazione del fatto che il primo motivo lamenta una (pretesa) omessa motivazione -o meglio, ‘pronuncia’, dato il riferimento all’art. 112 cod. proc. civ., evocativo di un vizio di siffatto e non di una carenza motivazionale (cfr. tra le molte, Cass. Sez. Lav., ord. 13 ottobre 2022, n. 29952, Rv. 665822-01) -sulla questione relativa all’intervenuta abrogazione del suddetto art. 32 del r.d. n. 1165 del 1938.
Invero, in difetto di riproduzione dell’esatto contenuto del gravame proposto dal COGNOME deve darsi seguito al principio secondo cui è ‘inammissibile, per violazione del criterio dell’autosufficienza, il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano «nuove» e di valutare la f ondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei
fascicoli di ufficio o di parte’ (Cass. Sez. 2, sent. 20 agosto 2015, n. 17049, Rv. 636133-01; in senso conforme, di recente, Cass. Sez. 3, ord. 7 giugno 2023, n. 16028, Rv. 667816-02).
7.1.2. In ogni caso, i motivi in esame sono pure infondati.
Ha osservato, infatti, questa Corte -nello scrutinare un ricorso di contenuto pressoché identico a quello presente -che ‘i lineamenti dell’istituto’ di cui alla norma in esame ‘evidenziano che non si verte in tema di intimazione di sfratto, bensì di procedimento ingiuntivo, adattato alla particolare natura degli Istituti autonomi per case popolari, ai quali viene consentito, per esigenze di speditezza processuale, di ottenere contestualmente l ‘ ordine di pagamento e, in caso di inottemperanza, quello di sfratto’, sicché ‘nessuna rilevanza pos sono avere le successive innovazioni evocate in ricorso, le quali non hanno certamente escluso l’applicabilità anche ai rapporti locativi nascenti dalla assegnazione di alloggi di e.r.p. -e tale è anche quello per cui è causa -dei comuni istituti processuali a tutela delle pretese da tali rapporti nascenti’, né ‘tanto meno alcuna incidenza su tale piano potrebbe avere mai avuto la legge regionale evocata, non essendo quella processuale materia attribuita alla competenza, nemmeno concorrente, delle Regioni ‘ (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 27 luglio 2024, n. 21081, Rv. 671897-01).
7.2. Il terzo motivo è inammissibile, essendo anch’esso partecipe del già segnalato difetto di specificità.
7.2.1. Pure in questo caso, infatti, si è al cospetto di una censura, formulata ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., che non opera alcun confronto tra le norme di diritto che si assumono violate e le parti della sentenza impugnata che
le avrebbero trasgredite (cfr., nuovamente, Cass. Sez. Un., sent. n. 23745 del 2020, cit .).
7.3. Il quarto motivo è parimenti inammissibile.
7.3.1. Esso, privo di specificità al pari di quello che lo precede, è oltretutto inosservante dell’onere di ‘ puntuale indicazione ‘ dei documenti in esso richiamati (cfr. Cass. Sez. Un, ord. 18 marzo 2022, n. 8950, Rv. 664409-01), onere la cui osservanza è sancita dall’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ., pur nell’interpretazione ‘non formalistica’ d i tale norma che s’impone -secondo il testé citato arresto delle Sezioni Unite -alla luce della sentenza della Corte EDU COGNOME e altri c. Italia, del 28 ottobre 2021.
7.4. Infine, entrambe tali carenze inficiano pure il quinto motivo, che è, pertanto, anch’esso inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
A carico del ricorrente, stante la declaratoria di inammissibilità del ricorso, sussiste l’obbligo di versare, al competente ufficio di merito, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 65719801), ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando NOME COGNOME a rifondere, a ll’Istituto Autonomo Case Popolari di Catania, le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in € 4.5 00,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulter iore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della