Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33907 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33907 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19364/2023 R.G. proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO NOME INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 2855/2023 depositata il 20/04/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Ritenuto che:
Con atto di citazione notificato in data 24.06.2014, COGNOME quale titolare dell’omonima ditta, citava in giudizio la S.p.a. Banca Monte dei Paschi di Siena per sentirla condannare alla restituzione dell’indebito riveniente sui conti correnti n. NUMERO_CARTA, NUMERO_CARTA e sul mutuo ipotecario del 24.09.2002 n. NUMERO_DOCUMENTO.
In particolare, così concludeva: ‘Accertare e dichiarare che il contratto di mutuo è nullo in quanto viziato da nullità insanabile per la presenza di usura pattizia. In subordine dichiarare che il mutuo si è trasformato in mutuo gratuito e rideterminarne il saldo e le partite dare/avere ex art. 1815.’
Il Tribunale di Tivoli, con sentenza nr 1920/2017, respingeva la domanda di accertamento dell’usurarietà del mutuo contratto tra le parti e, in relazione agli svariati conti correnti, determinava il saldo a debito della correntista in euro 255.462,51 euro alla data del 26 maggio 2017.
Avverso tale decisione NOME COGNOME nella esposta qualità, proponeva appello avanti alla Corte di appello di Roma al quale resisteva la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a.
Con sentenza nr 2855/2023 il giudice del gravame rigettava l’appello.
Osservava in merito alla natura usuraria del mutuo che secondo la giurisprudenza di legittimità ‘La natura di penale per recesso della commissione di estinzione anticipata comporta che si tratta di voce
non computabile ai fini della verifica di usurarietà del finanziamento. La commissione in parola non è collegata se non indirettamente all’erogazione del credito, non rientrando tra i flussi di rimborso, maggiorato del correlativo corrispettivo o del costo di mora per il ritardo nella corresponsione di quello’.
Rilevava che l’appellante solo in sede di precisazione delle conclusioni aveva chiesto di accertare e dichiarare l’indeterminatezza del mutuo, per omessa indicazione del tipo di interesse applicato (semplice o composto) e per omessa indicazione delle modalità di calcolo dello stesso, nell’ambito dell’ammortamento alla francese, sicchè la stessa doveva ritenersi domanda di inammissibile ex art. 345 cpc né poteva convertirsi in eccezione, in assenza di domande della controparte da paralizzare.
Riteneva poi in merito alla natura usuraria dei conti correnti che l’esclusione della CSM dal computo del tasso ai fini dell’usura fino al 31.12.2009 disposta dal Tribunale non era conforme al più recente indirizzo giurisprudenziale( Cass 2022 nr 7831) secondo cui ‘Per il periodo anteriore all’entrata in vigore dell’articolo 2-bis decreto legge n. 185 del 2008 ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta, come determinato in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, va effettuata la separata comparazione del tasso effettivo globale (Teg) degli interessi praticati in concreto e della commissione di massimo scoperto (Cms) eventualmente applicata, rispettivamente con il tasso soglia – ricavato dal tasso effettivo globale medio (Tegm) indicato nei decreti ministeriali emanati ai sensi dell’articolo 2, comma 1, della predetta legge n. 108 del 1996 – e con la Cms soglia – calcolata aumentando della metà la percentuale della Cms media pure registrata nei ridetti decreti ministeriali -, compensandosi, poi, l’importo dell’eccedenza della Cms applicata, rispetto a quello della Cms rientrante nella soglia, con l’eventuale margine residuo degli interessi, risultante dalla differenza tra l’importo degli stessi
rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati.’.
Rilevava che il Tribunale solo per i trimestri degli anni successivi nei quali il tasso usurario risultava oltrepassato ha ricondotto a giustizia il saldo eliminando l’eccedenza di circa 3.000 euro, in favore della correntista, applicando gli interessi pattuiti nei limiti della loro liceità.
Riteneva tuttavia che la censura dell’appellante non era accompagnata da ‘specifiche deduzioni ed argomentazioni volte a dimostrare l’incapienza del margine di compensazione fra interessi e commissione di massimo scoperto riconosciuto dalla giurisprudenza, da cui dipende il superamento della soglia. Infatti, la mancata specificazione delle ragioni del superamento del tasso soglia, secondo il criterio indicato a suo tempo dalle istruzioni della Banca d’Italia determina l’inammissibilità della censura per difetto di decisività.’ (così, di recente, Cassazione civile sez. I, 29/11/2022, n.35121).
Quanto all’eccezioni formulate dall’appellante solo nell’udienza di precisazione delle conclusioni relativa al difetto di legittimatio ad causam della controparte perché nelle more del giudizio aveva ceduto a terzi il proprio credito, il giudice del gravame rilevava che l’art. 111 cpc espressamente prevede che il processo prosegua tra le parti originarie quando è trasferito a titolo particolare il diritto controverso.
Avverso tal decisione NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi illustrati da memoria cui ha resistito la Banca Monte dei Paschi di Siena con controricorso, illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
Con il primo motivo si denuncia la ‘violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 c.p.c., in
relazione all’art. 360, comma 4 c.p.c.’ per avere la sentenza impugnata disatteso la ‘domanda relativa al difetto di titolarità del credito e di legittimazione processuale’ in capo alla Banca Monte dei Paschi di Siena.
Si sostiene che il richiamo all’art. 111 c.p.c. sulla base del quale è stato motivato dalla Corte d’Appello il rigetto dell’eccezione dell’appellante sarebbe improprio, atteso che la stessa appellante aveva contestato a RAGIONE_SOCIALE ‘la titolarità sostanziale del credito, ritenendo che, in mancanza del contratto di cessione tra la cedente e la cessionaria RAGIONE_SOCIALE di cui alla Gazzetta Ufficiale n. 151/2017 (allegato n. 2 alle note di udienza del 16.11.22) e alla luce della ulteriore cessione tra la cessionaria RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE – di cui alla Gazzetta Ufficiale n. 78/2021 (stralcio riportato alle pagg. 19 e 20 della comparsa conclusionale in grado di appello) ove i crediti ceduti sono indicati solo genericamente tramite rinvio per relationem alla Gazzetta Ufficiale n. 151/2017 difettasse la prova delle cessione quale specificamente contestata’; -‘la legittimazione processuale, la quale viene meno se il credito contestato inerisce alla cessione in blocco tra la RAGIONE_SOCIALE e la Cherry 106′. Pertanto, secondo l’odierno ricorrente la Corte d’Appello ‘avrebbe dovuto pronunciare sulla domanda di accertamento della titolarità sostanziale e processuale del credito in rapporto al contenuto dei contratti di cessione, se del caso disponendo la integrazione del contraddittorio con le cessionarie’. Con un secondo motivo si denuncia la nullità della sentenza per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 4 c.p.c.per non essersi la Corte territoriale pronunciata sulla domanda di risarcimento dei danni asseritamente subiti dalla ‘illegittimamente applicato tassi di interesse usurari, nonché per aver violato le originaria parte attrice per avere la Banca regole che tutelano la buona fede e la correttezza contrattuale’.
Domanda risarcitoria, che, secondo la parte ricorrente, avrebbe ‘una dimensione autonoma rispetto alla domanda di ripetizione dell’indebito’, atteso che ‘la domanda di risarcimento dei danni per violazione delle regola di buona fede e correttezza contrattuale ha come causa petendi il contratto e la responsabilità che dalla sua esecuzione deriva, mentre l’azione di ripetizione dell’indebito ha come causa petendi il pagamento non dovuto’.
Da ciò conseguirebbe che ‘il giudice avrebbe dovuto pronunciarsi separatamente sull’una e sull’altra domanda e, per quel che concerne la domanda risarcitoria, estendere l’indagine all’inadempimento, esprimendo, tanto in relazione all’istanza restitutoria quanto a quella risarcitoria, le ragioni alla base del rigetto’.
Si deduce poi, che la sentenza impugnata avrebbe comunque accertato ‘l’applicazione di interessi usurari, quantunque relativamente ad un arco temporale più limitato rispetto a quello del quale l’appellante aveva chiesto che fossero accertati i tassi praticati dalla banca’, e ciò sarebbe stato sufficiente a condurre alla condanna risarcitoria richiesta dall’appellante.
In ogni caso, ‘il rigetto della domanda di usurarietà del mutuo e dei contratti di conto corrente non avrebbe escluso l’accoglimento della domanda di condanna della banca al pagamento di una somma a titolo di risarcimento danni in favore del correntista, perché i fatti sui quali la stessa si fonda sono ulteriori e diversi rispetto a quelli da cui il giudice ha tratto il suo convincimento’
Con il terzo motivo si deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 4 c.p.c., avuto riguardo alla indeterminatezza delle CMS.
Si sostiene che nell’atto di appello, nel dedurre l’usurarietà dei contratti di conto corrente e la necessità di includere la cms nel calcolo dell’usura, era stata denunciata l’assoluta indeterminatezza della cms della quale il contratto aveva reso noto il solo dato
numerico in misura percentuale del 1,5% (pagg. 6 e 7 atto di appello); ribadendo, poi a pag. 5 della comparsa di costituzione e di risposta, l’essenzialità della regolare pattuizione delle CMS con stretto riguardo al tasso nominale, a quello effettivo e alle modalità di funzionamento che le riguardano; riportando, a pag. 6 della comparsa conclusionale, -graficamente -la parte della scheda contrattuale contenente le indicazioni relative alla CMS (si veda allegato n. 1 dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado); richiamando, alla stessa pagina, gli allegati da 1 a 7 depositati dalla parte avversaria nel suo atto di costituzione dai quali era possibile desumere la totale assenza di qualsiasi precisazione; infine, approfondendo la questione alle pagg. 10, 11 e 12 delle memorie di replica ove, nel corpo del capitolo rubricato ‘nullità delle CMS per indeterminatezza’.
Si afferma che il giudice avrebbe dovuto pronunciare sulla questione approfondita dall’appellante in ciascuno dei suoi scritti -nei termini sopra specificati – quantunque la stessa non sia stata elevata a specifica domanda nella parte conclusiva dell’atto di citazione in appello, sul rilievo che la indeterminatezza dell’oggetto ai sensi degli artt. 1346 c.c., 1325 c.c. e 1421 c.c. è causa di nullità del contratto e può costituire oggetto di rilievo ufficioso.
Con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 644 c.p., degli artt. 1 e 2 L. 7 marzo 1996 n. 108, dell’art. 2 bis D.L. n. 185/2008 convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 L. 28 gennaio 2009, dell’art. 342 cpc, in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. per avere la Corte di appello ritenuto l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., ‘della censura formulata dall’appellante in ordine alla usurarietà dei conti per insufficiente specificità circa l’incapienza del margine di compensazione fra interessi e commissione di massimo scoperto’.
Si sostiene in particolare che la Corte territoriale ‘ha erroneamente attribuito al motivo di appello il crisma di formalità che la legge esige solo in relazione al ricorso per cassazione’.
Inoltre, si afferma, che la Corte territoriale non ‘avrebbe dovuto esigere, contrariamente a quanto ha fatto (pag. 5 della sentenza impugnata), la indicazione esatta dei passaggi matematici in cui si snoda il calcolo propugnato dalle S.U. n. 16303/2018, atteso che la pronuncia del Supremo Consesso è successiva alla notifica dell’atto di citazione in appello del 29.12.2017’.
Inoltre, ‘la perizia tecnica di parte includeva tutti gli elementi numerici considerati dalle stesse Sezioni Unite, con conseguente assolvimento dell’onere dimostrativo gravante sull’appellante’.
Con il quinto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 61 c.p.c., 62 c.p.c. e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. per non avere la Corte di appello deciso di ‘rimettere la causa in istruttoria ed effettuare la CTU, in subordine procedere con il richiamo del CTU a chiarimenti ed effettuare i calcoli e ricalcoli in ossequio alla giurisprudenza più attuale, nonché in ossequio alla giurisprudenza di Cassazione a Sezioni Unite ed ai principi di diritto esposti in narrativa’.
Sostiene parte ricorrente che ‘in materia di contenzioso con la banca, il giudice di merito ha l’obbligo di disporre la consulenza tecnica d’ufficio ovvero di integrare quella già espletata in caso di mutato indirizzo giurisprudenziale che ne impone l’adeguamento in relazione alle esigenze del caso concreto’
Con il sesto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 345 c.p.c., 1325 c.c., 1346 c.c., 1418 c.c. e 1421 c.c., 117 comma 4 TUB, in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. per avere il Giudice di seconde cure, erroneamente stabilito che la domanda dell’appellante avente ad oggetto ‘l’accertamento della indeterminatezza del mutuo per omessa indicazione del tipo di interesse applicato (semplice o composto) e per omessa
indicazione delle modalità di calcolo dello stesso, nell’ambito dell’ammortamento alla francese fosse inammissibile ex art. 345 c.p.c. perché spiegata per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni e che non potesse convertirsi in eccezione, in assenza di domande della controparte da paralizzare.
Si afferma al riguardo che ‘il contratto di mutuo in cui il costo del denaro non sia precisamente determinato – né possa essere altrimenti determinabile – è nullo sotto il profilo strutturale in virtù del combinato disposto di cui agli artt. 1325 c.c., 1346 c.c. e 1418 c.c. ed ex art. 117 TUB’. Essendo, secondo il ricorrente, la nullità rilevabile d’ufficio, ‘sfugge ai limiti e alle preclusioni di cui all’art. 345 c.p.c.’.
Primo motivo di ricorso è infondato.
Occorre in primo luogo rilevare che la questione sollevata dalla ricorrente nelle note sostitutive dell’udienza del 16.11.2022 riguardava il difetto della legittimatio ad causam in capo alla Banca a causa della sopravvenuta cessione del credito oggetto del giudizio.
Su tale profilo la Corte di appello ha rigettato l’eccezione richiamando il disposto dell’art 111 c.p.c. osservando che la cedente continua a conservare la qualità di parte, giacchè la cessione di credito “determina la successione a titolo particolare del cessionario nel diritto controverso, cui consegue, ai sensi dell’art. 111 c.p.c., la valida prosecuzione del giudizio tra le parti originarie e la conservazione della legittimazione da parte del cedente, in qualità di sostituto processuale del cessionario, anche in caso d’intervento di quest’ultimo fino alla formale estromissione del primo dal giudizio, attuabile solo con provvedimento giudiziale e previo consenso di tutte le parti.
Pertanto, non è configurabile il vizio denunciato poiché su tale questione c’è stata la pronuncia del giudice di merito.
Il secondo motivo è inammissibile.
Il motivo è stato formulato in modo non conforme alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6 c.p.c., stante l’inosservanza dei principi di specificità, anche declinato secondo le indicazioni della sentenza CEDU 28 ottobre 2021, COGNOME e altri c/ Italia, la quale ha ribadito, in sintesi, che il fine legittimo, in linea generale ed astratta, del principio di autosufficienza del ricorso è la semplificazione dell’attività del giudice di legittimità unitamente alla garanzia della certezza del diritto e alla corretta amministrazione della giustizia, (ai p.ti 74 e 75 in motivazione), investendo questa Corte del compito di non farne una interpretazione troppo formale che limiti il diritto di accesso ad un organo giudiziario (al p.to 81 in motivazione), esso (il principio di autosufficienza) può dirsi soddisfatto solo se la parte riproduce il contenuto del documento o degli atti processuali su cui si fonda il ricorso e se sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (così Cass., Sez. Un., 18/03/2022, n. 8950): requisito che può essere concretamente soddisfatto “anche” fornendo nel ricorso, in ottemperanza dell’art. 369, comma 2°, n. 4 cod. proc. civ., i riferimenti idonei ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati rispettivamente, i documenti e gli atti processuali su cui il ricorso si fonda” (Cass. 19/04/2022, n. 12481). Qualunque sia il tipo di errore denunciato (in procedendo o in iudicando), il ricorrente ha l’onere di indicare specificatamente, a pena di inammissibilità, i motivi di impugnazione, esplicandone il contenuto e individuando, in modo puntuale, gli atti processuali e i documenti sui quali il ricorso si fonda, oltre ai fatti che potevano condurre, se adeguatamente considerati, ad una diversa decisione. E ciò perché il ricorso deve “contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata” (Cass. civ., Sez. III, Ord., 8/08/2023, n. 24179; Cass. civ., Sez. III, Ord.,
13/07/2023, n. 20139; Cass. civ., Sez. V, Ord., 10/07/2023, n. 19524; Cass. civ., Sez. V, Ord., 22/06/2023, n. 17983; Cass. civ., Sez. I, Ord., 25/05/2023, n. 14595; Cass. civ., Sez. III, Ord., 14/02/2023, n. 4571; Cass. civ., SS. UU., 27/12/2019, n. 34469).
Invero nel denunciare la violazione dell’art. 112 c.p.c. in riferimento a censure che la Corte di merito non avrebbe considerato – riguardanti, secondo l’illustrazione del motivo, la domanda risarcitoria correlata all’illegittima applicazione dei tassi di interesse usurari, nonché alla violazione delle regole che tutelano la buona fede e la correttezza contrattuale- il ricorrente in ossequio al principio di specificità, avrebbe dovuto non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare lo specifico passaggio dell’atto d’appello in cui dette censure erano state così formulate (tanto più che la sentenza gravata, che dà conto delle ragioni di appello cui risponde, non menziona le specifiche doglianze che il ricorrente afferma non esaminate).
In proposito, si rammenta che il vizio di omessa pronuncia non è rilevabile d’ufficio, per cui questa Corte, quale giudice del fatto processuale, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi (cfr. Cass. 14 ottobre 2021, n. 28072; Cass. 4 luglio 2014, n. 15367).
Ciò posto nel caso in esame il ricorrente si limita ad affermare di avere nelle conclusioni dell’atto di appello reiterato l’istanza risarcitoria ma in violazione dell’art. 366 n. 6 cpc ha omesso di indicare se il tribunale avesse statuito sulla domanda risarcitoria ed in che termini, o avesse omesso di statuire sicchè non potendosi accertare quali fossero gli oneri impugnatori del ricorrente, il motivo non è scrutinabile.
Il terzo motivo con il quale il ricorrente si duole della mancata pronuncia sulla domanda di accertamento della indeterminatezza della commissione di massimo scoperto ‘per omessa pattuizione delle sue modalità operative’ se ne deve rilevare l’inammissibilità per violazione dell’art. 366 n. 6 cpc.
Nel ricorso manca l’indicazione specificata del contenuto dell’appello.
Il ricorrente si è limitato a fare riferimento a un’eccezione riproposta ‘nel corpo’ del secondo motivo, e dunque da identificare.
Né si può ritenere che una tale lacuna possa essere superata dal fatto che la questione dedotta rientri fra le nullità rilevabili d’ufficio.
Il principio della rilevabilità ex officio della nullità contrattuale infatti anche nel giudizio d’impugnazione infatti incontra il proprio limite (non dissimilmente da qualsivoglia altra questione rilevabile d’ufficio) proprio nella maturazione del giudicato interno sulla non-nullità (o validità) del contratto (Cass., Sez. U., 14/10/2013, n. 23235; Cass. 30/08/2019, n. 21906), il quale si forma allorché in primo grado la nullità sia stata eccepita o ne sia stata domandata la declaratoria e la decisione (anche implicita) di rigetto su tale eccezione o su tale domanda (ovvero l’omessa pronuncia su di esse) non abbia formato oggetto di motivo specifico di impugnazione (Cassazione civile, sez. III, 03/01/2023, n. 50).
La necessità della proposizione di specifico motivo di gravame contro la decisione o l’omessa decisione sulla eccezione (oltre che sulla domanda) di nullità, trova conferma nell’inapplicabilità dell’art. 346 c.p.c., il quale attiene alle eccezioni in senso stretto e non a quelle rilevabili d’ufficio (Cass. 17/01/2017, n. 923).
Allo scrutinio del quarto motivo di ricorso va premesso che, come ricordato da Cass. n. 4024 del 2024, quanto alla contestazione
della inammissibilità dell’appello a norma dell’art. 342 cod. proc. civ., integrante un error in procedendo legittimante l’esercizio dal giudice di legittimità del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, ciò presuppone pur sempre l’ammissibilità del motivo: sicché, il ricorrente che censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di gravame, ha l’onere di puntualizzare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (cfr. Cass. n. 2320 del 2023; Cass. n. 24048 del 2021; Cass. n. 22880 del 2017).
La prescrizione di specificità posta, a pena di inammissibilità, dall’art. 366, comma 1, nn. 4 e 6, cod. proc. civ. (in riferimento al profilo cd. di “autosufficienza” o, altrimenti detto, del “principio di autonomia” del ricorso per cassazione), deve essere declinata, peraltro, secondo le indicazioni della sentenza CEDU 28 ottobre 2021, Succi e altri c/Italia, la quale, anche richiamando (al p.to 23, in motivazione) il protocollo concluso il 17 dicembre 2015 tra la Corte di cassazione ed il Consiglio Nazionale Forense (il quale, nel dichiarato obiettivo di “arrivare ad una disciplina concreta del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione”, ha chiarito che il suo rispetto “non comporta un onere di trascrizione integrale nel ricorso e nel controricorso di atti o documenti ai quali negli stessi venga fatto riferimento”, essendo sufficiente all’osservanza del principio di specificità imposto dal codice di rito, modulato nei criteri di sinteticità e chiarezza, la trascrizione essenziale di atti e documenti, per la parte d’interesse) ed il Piano Nazionale di Recupero e di Resilienza (il “PNRR”) adottato dal Governo nel 2021, mirante a rendere effettivo il principio della natura sintetica degli atti e quello della leale collaborazione tra il giudice e le parti (al punto 24, in motivazione), ha affermato, in sintesi: a) il fine legittimo, in linea generale ed astratta, del principio di
autosufficienza del ricorso, in quanto destinato a semplificare l’attività del giudice di legittimità ed allo stesso tempo a garantire la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte (ai punti 74 e 75, in motivazione); b) la necessità, tuttavia, nell’applicazione concreta, della rispondenza di tale principio ad un criterio di proporzionalità della restrizione rispetto allo scopo, non potendosi giustificare una interpretazione troppo formale delle limitazioni imposte ai ricorsi, al punto da trasformarsi in uno strumento per limitare il diritto di accesso ad un organo giudiziario in modo o in misura tale da incidere sulla sostanza stessa di tale diritto (al punto 81, in motivazione); c) una tendenza da parte della Corte di cassazione, nell’applicazione del principio dell’autosufficienza del ricorso (almeno fino alle sentenze nn. 5698 e 8077 del 2012), a concentrarsi su aspetti formali esorbitanti rispetto alla legittimità dello scopo, in particolare “per quanto riguarda l’obbligo di trascrivere integralmente i documenti inclusi nei motivi di ricorso e il requisito della prevedibilità della restrizione dell’accesso alla Corte” (al punto 82, in motivazione).
“L’onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c., qualunque sia il tipo di errore (“in procedendo” o “in iudicando”) per cui è proposto, non può essere assolto “per relationem” con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto, essendovi il preciso onere di indicare, in modo puntuale, gli atti processuali ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione e dovendo il ricorso medesimo contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza
della motivazione della decisione impugnata.” (Cass., Sez. 5, ordinanza n. 342 del 13 gennaio 2021; 28/02/2022, n. 6596).
In tale cornice di riferimento deve essere ritenuto inammissibile il motivo di doglianza.
La Corte di appello in merito alla censura formulata dall’appellante in relazione alla usurarietà dei conti circa l’incapienza del margine di compensazione fra interessi e commissione di massimo scoperto ha ritenuto’ che detta critica non fosse accompagnata da ‘specifiche deduzioni ed argomentazioni volte a dimostrare l’incapienza del margine di compensazione fra interessi e commissione di massimo scoperto riconosciuto dalla giurisprudenza, da cui dipende il superamento della soglia. Infatti, la mancata specificazione delle ragioni del superamento del tasso soglia, secondo il criterio indicato a suo tempo dalle istruzioni della Banca d’Italia determina l’inammissibilità’
Nel contestare tale passaggio della motivazione il ricorrente sostiene che la Corte territoriale ‘ha erroneamente attribuito al motivo di appello il crisma di formalità che la legge esige solo in relazione al ricorso per cassazione’. Inoltre, la Corte territoriale non ‘avrebbe dovuto esigere, contrariamente a quanto ha fatto (pag. 5 della sentenza impugnata), la indicazione esatta dei passaggi matematici in cui si snoda il calcolo propugnato dalle S.U. n. 16303/2018, atteso che la pronuncia del Supremo Consesso è successiva alla notifica dell’atto di citazione in appello del 29.12.2017’. Inoltre, ‘la perizia tecnica di parte includeva tutti gli elementi numerici considerati dalle stesse Sezioni Unite, con conseguente assolvimento dell’onere dimostrativo gravante sull’appellante’.
Ed ancora sempre secondo la prospettazione della ricorrente il giudice di merito sarebbe incorso in una violazione di norme di diritto ‘considerato che lo scrutinio del motivo dichiarato erroneamente inammissibile avrebbe imposto, in ossequio al tenore
letterale di essi, di considerare le cms ai fini dell’usura, e determinato un diverso esito della controversia’ senza tuttavia riportare in alcun modo il contenuto dell’atto d’appello, con conseguente deficit di specificità della doglianza.
Ciò posto la ricorrente non si cura di trascrivere i brani della sentenza di primo grado e del proprio atto di appello e di operarne il raffronto, così da fornire a questa Corte utili indicazioni per vagliare la fondatezza della doglianza articolata col motivo di ricorso, qui in esame.
Tutto ciò è in linea col diritto sovranazionale: la garanzia dell’accesso all’istanza di giustizia non implica che la Corte di legittimità, ove pure investita dell’esame di un error in precedendo, debba abdicare al proprio ruolo facendosi carico della ricerca dei vizi del provvedimento che la parte ricorrente manchi di individuare.
Peraltro, indipendentemente dalla statuizione di inammissibilità del motivo d’appello adottata dalla corte distrettuale la censura è in ogni caso privo di fondamento.
La Corte territoriale ha, in effetti, fatto corretta applicazione della regola di cui all’art. 342 c.p.c. dal momento in cui come chiarito da questa Corte Cass. sez. un. 27199 del 2017,gli artt. 342 e 434 c.p.c. (nel testo formulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134) vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice senza tuttavia che occorra l’utilizzazione di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado (cfr. Cass., Sez. Un., 13/12/2022, n. 36481; 16/11/2017, n. 27199; Cass., Sez. VI, 30/05/2018, n. 13535).
Con specifico riguardo alla considerazione della commissione di massimo scoperto nel calcolo del tasso soglia, questa Corte ha ritenuto ‘inammissibile, per insufficiente specificità, la censura che denunci solamente e astrattamente la mancata considerazione da parte dei giudici di merito dell’incidenza della commissione di massimo scoperto ai fini del superamento del tasso soglia e che non sia accompagnata da specifiche deduzioni ed argomentazioni volte a dimostrare l’incapienza del margine di compensazione fra interessi e commissione di massimo scoperto riconosciuto dalla giurisprudenza, da cui dipende il superamento della soglia.
Infatti, la mancata specificazione delle ragioni del superamento del tasso soglia, secondo il criterio indicato a suo tempo dalle istruzioni della Banca d’Italia determina l’inammissibilità della censura per difetto di decisività’ (Cassazione civile sez. I, 29/11/2022, n. 35121).
Nell’ambito dell’atto di appello il COGNOME si è limitato a riproporre la tesi, disattesa dal Tribunale, della carenza di efficacia vincolante delle istruzioni della Banca d’Italia e della necessità di tenere conto della commissione di massimo scoperto al fine della determinazione del tasso di interesse usurario, senza confrontarsi con la ratio decidendi della sentenza di primo grado e senza sollevare alcuna censura avverso la sentenza di primo grado nella parte in cui, applicando i principi di cui sopra (successivamente confermati dalle Sezioni Unite), e dunque escludendo la CMS dall’analisi dell’eventuale superamento del tasso usuraio fino al 31/12/2009, non ha ritenuto superato il tasso soglia, secondo le risultanze delle operazioni peritali.
Il quinto è inammissibile.
Tale mezzo di censura entra infatti nel merito di questioni di diritto che la Corte di appello non ha affrontato, essendosi la stessa arrestata alla statuizione di inammissibilità del motivo di gravame.
Il motivo in questione si connota, dunque, per la mancata loro aderenza alla decisione della Corte di merito (in tema, Cass. 3 luglio 2020, n. 13735 e Cass. 7 settembre 2017, n. 20910, che richiamano il principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte – cfr. già Cass. 13 ottobre 1995, n. 10695 – secondo cui la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4, con conseguente inammissibilità del ricorso – o, come nella specie, dei singoli motivi affetti da tale carenza – la quale è rilevabile anche d’ufficio).
Sul sesto motivo di ricorso: parte ricorrente censura la sentenza di appello per avere stabilito che ‘la domanda dell’appellante avente ad oggetto ‘l’accertamento della indeterminatezza del mutuo per omessa indicazione del tipo di interesse applicato e per omessa indicazione delle modalità di calcolo dello stesso, nell’ambito dell’ammortamento alla francese’ (pag. 9 delle note di trattazione sostitutive dell’udienza del 16.11.22), fosse inammissibile ex art. 345 c.p.c. perché spiegata per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni’.
Sostiene il COGNOME che ‘il contratto di mutuo in cui il costo del denaro non sia precisamente determinato – né possa essere altrimenti determinabile – è nullo sotto il profilo strutturale in virtù del combinato disposto di cui agli artt. 1325 c.c., 1346 c.c. e 1418 c.c. ed ex art. 117 TUB’. Essendo, nelle prospettazioni avversarie, la nullità rilevabile d’ufficio, ‘sfugge ai limiti e alle preclusioni di cui all’art. 345 c.p.c.’.
In primo luogo si deve osservare che nel ricorso, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non è richiamato in modo specifico e adeguato il contenuto del contratto di mutuo (e/o comunque degli allegati e degli atti collegati), in particolare nella parte in cui sarebbe sancito la capitalizzazione composta degli
interessi. Il motivo è comunque inammissibile nella parte in cui ascrive -attraverso il richiamo all’asserita violazione dell’art. 345 c.p.c. – alla sentenza impugnata il mancato rilievo officioso della nullità conseguente alla asserita indeterminatezza del tasso d’interesse.
Come rilevato, ancora di recente, da questa Corte (Cass., Sez. I, 3/11/2023, n. 30505)
allorquando venga in discorso una nullità rilevabile d’ufficio non operano i termini che regolano l’attività assertiva e che, in conseguenza, il giudice può occuparsi della questione anche se la stessa risulti veicolata da un’eccezione svolta per la prima volta in appello con la comparsa conclusionale (cfr. Cass. 9 gennaio 2013, n. 350);
tuttavia, il potere di rilevazione della nullità negoziale esige che la stessa emerga ex actis non potendo il giudice procedere di sua iniziativa ad accertamenti di fatto al fine di stabilire se essa sussiste o meno (cfr. Cass. 13 giugno 2007, n. 13846);
infatti, le parti possono spiegare una attività probatoria in deroga al sistema delle preclusioni istruttorie, a sostegno di una domanda di nullità contrattuale, solo all’esito della rilevazione ufficiosa della nullità, ma, in difetto, non possono invece pretendere di superare le barriere preclusive che regolano l’attività istruttoria (Cass. 30 settembre 2020, n. 20870);
conseguentemente, ove si lamenti, in sede di legittimità, il mancato rilievo ufficioso della menzionata invalidità o, a fortiori, la declaratoria di inammissibilità della relativa domanda perché tardivamente proposta, occorre dedurre, a pena di inammissibilità della censura per difetto di specificità, anche l’emersione nel corso del giudizio di merito degli elementi che avrebbero dovuto indurre il giudice a ravvisare detta nullità.
Onere questo non assolto nel caso in esame per cui la doglianza non può essere esaminata e nessuna critica può essere mossa al giudice di merito per non aver proceduto al rilievo d’ufficio.
Anche questo profilo di censura è pertanto inammissibile.
Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento in favore della S.p.a. Banca Monte dei Paschi di Siena delle spese della presente fase che si liquidano in complessive € 5.000,00 oltre € 200,00 per esborsi ed al 15% per spese generali ed accessori di legge:
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Roma 18.12.2024
Il Presidente (NOME COGNOME)