Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5862 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5862 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/03/2024
Oggetto: revoca affidamenti
ORDINANZA
sul ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE in proprio e quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, rappresentati e difesi da ll’ AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’AVV_NOTAIO in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa da ll’ AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Firenze n. 720/2019 del 7.3.2019, nel giudizio r.g. n. 812/2014, notificata il 28.5.2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27.10.2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione ritualmente notificato, NOME COGNOME conveniva, davanti alla Corte d’Appello di Firenze, RAGIONE_SOCIALE proponendo appello avverso la sentenza n. 1073/2013, del 2122.10.2013, del Tribunale di Arezzo, che aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta dall’attrice nei confronti della RAGIONE_SOCIALE rilevando che nessun comportamento illecito poteva ad essa (all’epoca RAGIONE_SOCIALE) essere addebitato.
Secondo l’appellante la sentenza impugnata sarebbe meritevole di riforma per una interpretazione assolutamente opinabile del materiale istruttorio da parte del giudicante.
Si costituiva in giudizio l’appellata la quale riproponeva, ex art. 346 c.p.c., la propria eccezione di prescrizione relativamente alla domanda di accertamento di una responsabilità extra-contrattuale della RAGIONE_SOCIALE, e chiedeva il rigetto dell’appello per la sua infondatezza. L’attuale ricorrente in primo grado aveva formulato domande con le quali aveva chiesto accertarsi: l’indebita revoca dell’affidamento concesso sul conto corrente n. 5552/53 intestato alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; la illegittima chiusura del medesimo conto corrente; l’illegittima vendita dei titoli dati in garanzia di proprietà della COGNOME NOME e l’illegittima elevazione di protesti a carico della RAGIONE_SOCIALE NOME, avvenuti tutti nei primi giorni del mese di marzo del 2001 a seguito della revoca dell’affidamento concesso e della chiusura del conto, del quale la RAGIONE_SOCIALE – a suo dire – aveva avuto notizia solo il 24/5/2001.
Il Tribunale muovendo dalla circostanza, incontestata, che il conto corrente intestato all’attrice, nella sua qualità di imprenditrice individuale, presentava alla data di emissione degli assegni che venivano protestati uno scoperto di £ 43.875.494, che superava il limite dell’affidamento concesso, rilevava che:
se anche il conto non fosse stato chiuso, il protesto del primo assegno n. 0062601062 dell’importo di £ 11.359.049 avvenuto il 5/3/2001, sarebbe stato del tutto legittimo, stante l’evidente difetto di provvista;
doveva ritenersi irrilevante che l’esposizione debitoria della RAGIONE_SOCIALE fosse stata estinta con la vendita del pacchetto obbligazionario di titolarità della garante COGNOME NOME, oggetto di pegno, garanzia che non poteva di per sé costituire motivo per confidare in un maggiore importo affidato da parte della RAGIONE_SOCIALE;
in ogni caso dall’istruttoria esperita era emerso che la RAGIONE_SOCIALE era stata informata della revoca del fido e della chiusura del conto (prova testimoniale) e della revoca della convenzione di assegni;
-difettava comunque la prova del nesso di causalità tra la condotta della RAGIONE_SOCIALE e i danni lamentati dall’attrice, non avendo la RAGIONE_SOCIALE dimostrato che, successivamente ai tre protesti, alla stessa furono revocati i finanziamenti concessi da altri Istituti di credito.
L’attuale ricorrente proponeva gravame dinanzi alla Corte d’Appello di Firenze, che dichiarava l’appello inammissibile per il mancato rispetto delle forme di cui all’art. 342 c.p.c.
Per quanto qui di interesse la Corte, riteneva che:
occorre che i motivi di appello non solo vengano specificamente enunciati e rubricati (capitolazione che nel gravame in esame manca del tutto), ma che siano specifici, ossia oppongano specifiche e argomentate censure alle motivazioni spese dal giudice di primo grado, dovendo ritenersi specifici solo quei motivi con i quali venga colto il ragionamento logico giuridico che ha portato alla decisione di primo grado e lo stesso venga sottoposto a fondata e motivata critica (cfr. Cass., SS. UU. 16 novembre 2017, n. NUMERO_DOCUMENTO;
il protesto degli assegni era stato elevato per carenza della provvista, per cui era del tutto superfluo procedere alla valutazione circa la legittimità e conoscenza della revoca del fido e la successiva chiusura del conto, e la ricorrente non aveva mosso alcuna specifica censura su tale aspetto.
RAGIONE_SOCIALE in proprio e quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE hanno presentato ricorso con un motivo.
RAGIONE_SOCIALE ha presentato controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I ricorrenti deducono:
Con l’unico motivo si denuncia: Violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
1.1 Le censure sono infondate ed, in parte inammissibili in quanto non autosufficienti. Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacrament ali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di ‘revisio prioris instantiae’ del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass., S.U., n. 27199/2017; Cass., S.U., n. 36481/2022). Secondo tale indirizzo nomofilattico, si richiede, quindi, che le doglianze contenute nell’atto di appello siano correlate alle questioni ed ai punti contestati dell’impugnata se ntenza.
Non così l’appello proposto, nella specie, dalla RAGIONE_SOCIALE , secondo la corretta valutazione della Corte d’appello . II Tribunale aveva, infatti, affermato che il conto corrente intestato all’attrice, nella sua qualità di imprenditrice individuale, presentava, alla data di emissione degli assegni che venivano protestati, uno scoperto di £ 43.875.494, che superava il limite dell’affidamento concesso, e che, quindi, se anche
il conto non fosse stato chiuso, il protesto del primo assegno n. 0062601062 dell’importo di £ 11.359.049 avvenuto il 5/3/2001, sarebbe stato del tutto legittimo, stante l’evidente difetto di provvista. Ad ogni buon conto, – rilevava il Tribunale – dall’is truttoria esperita era emerso che la COGNOME era stata informata della revoca del fido e della chiusura del conto (prova testimoniale) e della revoca della convenzione di assegni, e comunque difettava la prova del nesso di causalità tra la condotta della RAGIONE_SOCIALE e i danni lamentati dall’attrice, non avendo la RAGIONE_SOCIALE dimostrato che, successivamente ai tre protesti, alla stessa furono revocati i finanziamenti concessi da altri Istituti di credito.
A fronte di tale articolata motivazione del primo giudice, rileva la Corte d’appello che il gravame della COGNOME era stato limitato al rilievo -superato dalla sentenza di prime cure, sulla base della constatazione della inevitabilità del protesto – che, se il conto non fosse stato chiuso, «gli assegni non sarebbero stati protestati perché coperti dalla emittente, o richiamati dal beneficiario e questo a prescindere dal fatto che vi fosse un difetto di provvista e dalla presenza ed entità del fido». L’inid oneità di siffatta censura ad inficiare il decisum di prime cure è del tutto palese. Né la ricorrente – nel rispetto del principio di autosufficienza – ha indicato nel ricorso ulteriori, specifiche, ragioni di contestazioni dell’impugnata sentenza, non considerate dal giudice di appello.
Ebbene, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche puntualmente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, dovendo tale specificazione essere contenuta, a pena d’inammissibilità, nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso. Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo
di appello, ha l’onere di precisare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto al giudice d’appello, riportandone il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità, non potendo limitarsi a rinviare all’atto di appello (Cass., n. 24048/2021; Cass., n. 22880/2017).
Per quanto esposto, il ricorso va rigettato, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità a favore del controricorrente, che liquida in € 5.000 per compensi e € 200 per esborsi oltre spese generali, nella misura del 15% dei compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione