Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 26846 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 26846 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso 1298 – 2020 proposto da:
AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliato presso il suo studio, rappresentato e difeso da sé stesso, ex art. 86 cod. proc. civ., con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’AVV_NOTAIO dal quale è rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1632/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA , pubblicata il 9/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
9/4/2025 dal consigliere NOME COGNOME; lette le memorie delle parti.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 702 bis cod. proc. civ., notificato in data 3.9.2014 l’ AVV_NOTAIO convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Pescara, la RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE), al fine di ottenere il pagamento della somma di euro 14.230,14 a titolo di competenze legali e accessori per l’attività di consulenza stragiudiziale e giudiziale svolta su incarico della società convenuta.
Costituendosi, la RAGIONE_SOCIALE eccepì , tra l’altro, l’intervenuta prescrizione presuntiva del diritto azionato e domandò il risarcimento del danno.
Con ordinanza del 13/12/2014 n. 912/2018, il Tribunale di Pescara, in composizione monocratica, rigettò l’eccezione di prescrizione presuntiva per essere stata contestualmente contestata in merito la fondatezza della pretesa; accolse soltanto parzialmente la domanda principale, nei limiti dell’importo di euro 2.500 ,00, come riconosciuto dalla stessa società convenuta, nella missiva del 14/4/2011, per le pendenze indicate dall’ AVV_NOTAIO nella comunicazione del 15/4/2009 ai n. 1,2,3,4, oltre che per due opposizioni a richiesta di archiviazione e per un atto di costituzione di parte civile nel procedimento penale n. 2147/2006 contro COGNOME NOME; parametrò, quindi, ai minimi tariffari la liquidazione, in mancanza di elementi dai quali desumere l’effettiva entità dell’impegno ; rigettò, infine, per mancanza assoluta di prova dell’attività svolta , la domanda di compenso delle prestazioni asseritamente eseguite nei casi «RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE» e contro le società RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE
Con sentenza n. 1632/2019, la Corte di a ppello di L’Aquila rigettò l’appello dell’AVV_NOTAIO .
Per quel che qui ancora rileva, la Corte territoriale ribadì che non era stato offerto alcun riscontro istruttorio certo in ordine all’ espletamento di tutte le attività per cui era stato chiesto compenso; escluse pure che operasse il principio di non contestazione, atteso che, al contrario, era stato proprio il riscontro della contestazione a far ritenere inammissibile l’eccezione di prescrizione presuntiva.
Avverso questa sentenza, l ‘AVV_NOTAIO ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, ciascuno articolato in più profili, a cui la società RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, articolato in riferimento al n. 4 e n.5 del co. 1 dell’art 360 cod. proc. civ., l’AVV_NOTAIO ha sostenuto, con un primo profilo (sub A), la violazione degli artt. 112 e 342 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello dichiarato l’inammissibilità del «motivo sub 5», concernente l’esiguità dei compensi liquidati, contrari per loro misura alla dignità della professione: in realtà egli avrebbe formulato soltanto tre motivi di appello, non cinque e la censura sarebbe stata tutt’altro che «aspecifica», atteso che è stata riferita ai documenti prodotti già a corredo del ricorso 702 bis cod. proc. civ., integranti la domanda di cui sarebbero parte inscindibile; in conseguenza, infondatamente ne sarebbe stata ritenuta l’ inammissibilità ex art.342 cod. proc. civ. e, «correlativamente» (così in ricorso), vi sarebbe stata violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., non avendo la Corte territoriale deciso il motivo nel merito.
1.1. Con un secondo profilo (sub B) il ricorrente ha lamentato l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio per avere la Corte territoriale deciso senza considerare tutti i documenti e i fatti in essi
rappresentati, concernenti la conclusione dei rapporti professionali, le tariffe applicabili ratione temporis e le attività professionali espletate.
1.2. Il primo profilo di censura, sub A, è in parte inammissibile e in parte infondato.
La Corte d’appello ha individuato e riportato il motivo di impugnazione (pag. 3, punto 2), secondo cui risultava «indignitosa» la liquidazione di euro 205,00 per i due atti di opposizione all’archiviazione e di costituzione parte civile e ha sul punto rilevato che l’appellante aveva omesso di specificare quale fosse stato l’ errore e quali la diversa tariffa e voci di tariffa applicabili; ha, perciò, ritenuto inammissibile il motivo sub. 5 per violazione dell’art. 342 cod. proc. civ., posto che l’appellante, come peraltro già evidenziato, si è limitato genericamente a lamentare l’ingiustizia della liquidazione, senza indicare nello specifico quali le attività effettivamente svolte che avrebbero dovuto essere valutate e la ragione per la quale l ‘ attività stessa avrebbe dovuto essere compensata mediante l’applicazione di determinate e specifiche voci tariffarie, e senza, infine, indicare l’importo che conseguentemente si assumeva dovuto e che questa corte, in riforma, avrebbe dovuto liquidare.
Innanzitutto, non ricorre alcuna omessa pronuncia implicante violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. atteso che, evidentemente, la dichiarazione di inammissibilità del motivo ne precludeva l’esame in merito: in tal senso il profilo di censura è infondato.
1.2.1. Quanto all’inammissibilità, la Corte d’appello, nella descrizione dei fatti di causa, ha indicato con il n. 5 l’ultimo dei profili di censura e ha poi utilizzato la stessa numerazione per esaminarne la ammissibilità prima ancora della fondatezza; ha, quindi, ritenuto non compiutamente formulato il motivo di impugnazione per difetto di specificità.
La riproduzione in ricorso della formulazione del motivo di appello conferma la correttezza di questo giudizio: con il suo appello l’avvocato si è, infatti, limitato a lamentare l’incongruità della liquidazione , senza indicare quali parametri della tariffa applicabile sarebbero stati violati e a richiamare i documenti depositati che darebbero conto della «assoluta correttezza se non bonarietà» (così in ricorso) della nota specifica, senza individuare le attività non remunerate né argomentare in ordine alla complessità dei casi trattati.
Sulla produzione documentale, questa Corte ha chiarito che la mera produzione di un documento in appello non comporta automaticamente il dovere del giudice di esaminarlo, in ossequio all’onere di allegazione delle ragioni di doglianza sotteso al principio di specificità dei motivi di impugnazione, occorrendo che alla produzione si accompagni la necessaria attività di allegazione diretta ad evidenziare il contenuto del documento e il suo significato, ai fini dell’integrazione della ingiustizia della sentenza impugnata (Cass. Sez. 1, n. 2461 del 29/01/2019).
Il principio è stato ulteriormente ribadito dalle S.U. (sentenza n.4835/2023, resa sul principio di acquisizione della prova), secondo cui il fatto asseritamente dimostrato dal documento prodotto in primo grado, per poter essere compreso nell’attività logica del giudice dell’appello e nella sentenza che ne deriva, non deve essere nuovamente «provato» dalla parte che ne invochi il riesame, quanto allegato e, cioè, dedotto in un enunciato descrittivo contenuto all’interno di un atto difensivo: in tal senso, il Giudice d’appello ha il potere-dovere di esaminare un documento ritualmente prodotto in primo grado nel caso in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza nei propri scritti difensivi (mediante richiamo di esso nella parte argomentativa dei motivi formulati o delle domande ed eccezioni riproposte) illustrando le ragioni, trascurate dal primo giudice, per le
quali il contenuto del documento acquisito giustifichi le rispettive deduzioni.
1.3. Il secondo profilo di censura, quindi, è inammissibile ex VI comma 348 ter cod. proc. civ. , nella formulazione applicabile ratione temporis , introdotta dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv., con modif., in l. 7 agosto 2012, n. 134, per essere stato l’appello introdotto nel 2015: la pronuncia impugnata, infatti, ha confermato in merito la sentenza di primo grado sulla base dello stesso iter logico del primo Giudice sicché ricorre l’ipotesi di «doppia conforme»; conseguentemente, è inammissibile la censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., non rilevando che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Cass. Sez. 6 – 2, n. 7724 del 09/03/2022).
Con il secondo motivo, articolato in riferimento al n. 4 del co. 1 dell’art 360 cod. proc. civ., il ricorrente ha sostenuto, con un primo profilo (sub A), la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt.115 e 116 cod. proc. civ. , per non avere la Corte d’appello valutato che le prestazioni professionali poste a fondamento della domanda attorea non risultavano contestate in maniera specifica dalla società che avrebbe negato il conferimento dell’incarico soltanto per la pratica relativa alle «tariffe a forcella» attinente al rapporto RAGIONE_SOCIALE e non anche per le altre pratiche in relazione alle quali era stato reclamato il compenso.
2.1. Con un secondo profilo ( sub B), il ricorrente ha denunciato la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 115,116, 132 cod. proc. civ. e 111 Cost., per non avere la Corte territoriale ritenuto provata la circostanza del conferimento dell’incarico e dell’esecuzione delle prestazioni stragiudiziali in relazione alla pratica RAGIONE_SOCIALE, laddove invece egli aveva illustrato la sussistenza di
numerosi indizi in tal senso, gravi precisi e concordanti, aveva prodotto documentazione attinente ad altro procedimento pendente tra le parti (verbali di prove testimoniali e memoria istruttoria ex art 183 comma II cod. proc. civ.), neppure contestata dalla parte resistente e aveva richiesto in via subordinata l’assunzione di specifica prova orale e sollecitato un giuramento suppletorio.
2.2. Il motivo è inammissibile in entrambi i profili.
La Corte d’appello ha esplicitamente riscontrato l’avvenuta contestazione delle attività asseritamente prestate, rilevando che proprio la contestazione aveva implicato il rigetto dell’eccezione di prescrizione presuntiva; ha, quindi, rimarcato che l’espletamento dell’attività svolta non fosse ricavabile «dall’esistenza di ricerche normative e giurisprudenziali su una determinata materia (che è possibile svolgere anche per approfondimento volontario o per qualunque altro cliente) o dal possesso di un documento proveniente dal presunto cliente di per sé non significativo o ancora da verbali di prove testimoniali rese in giudizi diversi da quelli nei quali si assume esercitata l’attività professionale» (punto 5. 3. pag. 4).
È, pertanto, certamente esclusa, la violazione del l’art. 132 cod. proc. civ.: secondo questa Corte, infatti, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale», richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, nel senso della «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, restando così esclusa qualunque rilevanza del semplice «difetto di sufficienza» della
motivazione. Ricorre, allora, il vizio denunciato con il secondo motivo quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante, in ultimo, Sez. U, n. 2767 del 30/01/2023, in motivazione, con numerosi richiami; Cass. Sez. 1, n. 7090 del 03/03/2022)
2.2.1. Ugualmente inammissibile è la censura relativa alla violazione del 115 e 116 cod. proc. civ. perché, in realtà, diretta ad un riesame del merito preclusa in questa sede.
Per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., infatti, occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio); la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre è, invece inammissibile perché questa attività valutativa è consentita dall’art. 116 cod. proc. civ..
La censura di violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è, a sua volta, ammissibile soltanto ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia
dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento; ove si deduca, invece, l’esercizio non corretto del «prudente apprezzamento» della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, I comma, n. 5, cod. proc. civ., soltanto nei rigorosi limiti in cui ancora è consentito il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Sez. U, n. 20867 del 30/09/2020; Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 27847 del 12/10/2021); in tal senso la formulazione del motivo non è congruente e, in ogni caso, come detto al precedente punto 1.3., incontrerebbe i limiti della impugnazione di una pronuncia doppiamente conforme in merito.
Con il terzo motivo, articolato in riferimento al n. 4 del co. 1 dell’art 360 cod. proc. civ., il ricorrente ha sostenuto la nullità della sentenza impugnata in relazione al capo relativo alla liquidazione delle spese, per omessa pronuncia ex art 112 cod. proc. civ. sulla doglianza sollevata in sede di appello, volta a censurare l’errone ità della parziale compensazione delle spese in violazione del principio di soccombenza, considerato il rigetto totale della domanda riconvenzionale in primo grado e, comunque, l’incongruità della liquidazione in ragione del numero e della complessità delle questioni trattate, nonché del valore della controversia.
3.1. Il motivo è inammissibile. L’appello è stato integralmente rigettato nel merito e l’appellante è stato condannato al pagamento integrale delle spese di lite anche del secondo grado.
Seppure è vero, allora, che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, secondo il quale, ove si denunci la mancata pronuncia su motivi d’appello, è necessario che questi ultimi siano riportati nell’atto d’impugnazione, deve essere interpretato in maniera elastica, in conformità all’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte – oggi recepita dal nuovo testo dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ., come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022, è vero altresì che
il contenuto del motivo non esaminato deve essere comunque sufficientemente determinato, in modo da renderlo pienamente comprensibile e ne sia fornita una specifica indicazione, tale da consentirne l’individuazione nell’ambito dell’atto di appello (cfr. Sez. 1, n. 11325 del 02/05/2023).
In ricorso, invero, l’AVV_NOTAIO ha del tutto omesso di riportare le specifiche censure articolate alla statuizione sulle spese del primo Giudice, limitandosi a riportare di aver «incassato meno di quanto in forza di quella d’appello ha dovuto sborsare».
Per principio consolidato, invece, sarebbe stata necessaria l’indicazione del le singole voci della tariffa, per diritti ed onorari, risultanti nella nota spese, in ordine alle quali quel giudice sarebbe incorso in errore (cfr. Sez. 2, n. 11657 del 30/04/2024; Sez. 1, n. 20808 del 02/10/2014): nessuna di queste precisazione risulta formulata.
4. Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna del l’AVV_NOTAIO al rimborso delle spese processuali in favore di RAGIONE_SOCIALE, liquidate in dispositivo in relazione al valore, con distrazione in favore dell’AVV_NOTAIO COGNOME, dichiaratosi antistatario .
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna NOME COGNOME al pagamento, in favore di RAGIONE_SOCIALE, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e
agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’AVV_NOTAIO, dichiaratosi antistatario.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di Cassazione del 9 aprile 2025.
La Presidente NOME COGNOME