Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2372 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2372 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24765/2019 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., in qualità di mandataria della RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, in proprio ed in qualità di titolare della ditta RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME e COGNOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
-controricorrenti – avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 2773/19, depositata il 22 maggio 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 ottobre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE, intestataria di un conto corrente ordinario e di un conto anticipi su fatture presso l’RAGIONE_SOCIALE S.p.a., la convenne in giudizio, per sentir dichiarare non dovute le somme illegittimamente addebitate a titolo di capitalizzazione trimestrale degl’interessi, commissione di massimo scoperto e tassi d’interesse usurari, con la conseguente rideterminazione degl’importi a credito e a debito e la condanna della convenuta alla restituzione delle somme indebitamente riscosse.
Si costituì l’RAGIONE_SOCIALE, in qualità di mandataria dell’RAGIONE_SOCIALE, ed eccepì la prescrizione del credito e l’infondatezza della domanda, chiedendo in via riconvenzionale il riconoscimento del proprio credito nei confronti della correntista e dei fideiussori NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Si costituirono inoltre i fideiussori, chiedendo il rigetto della domanda proposta nei loro confronti.
1.1. Con sentenza del 14 gennaio 2014, il Tribunale di Torre Annunziata, Sezione distaccata di Castellammare di Stabia, accolse parzialmente la domanda principale e quella riconvenzionale, condannando l’RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di Euro 92.337,09, oltre interessi, in favore della RAGIONE_SOCIALE, e quest’ultima, la COGNOME e il COGNOME al pagamento della somma di Euro 48.000,00, oltre interessi.
L’impugnazione proposta dall’RAGIONE_SOCIALE è stata rigettata dalla Corte d’appello di Napoli con sentenza del 22 maggio 2019.
A fondamento della decisione, la Corte ha innanzitutto escluso la nullità della c.t.u. espletata in primo grado, rilevando che il consulente aveva ritualmente inviato la bozza della relazione al consulente della Banca, il quale non aveva fatto pervenire osservazioni, ed aggiungendo che, in quanto avente carattere relativo, la nullità avrebbe dovuto essere fatta valere nel primo atto successivo al deposito della relazione. Premesso inoltre che le censure mosse
alla relazione non comportavano la nullità della c.t.u., ne ha rilevato la genericità, osservando che l’appellante a) non aveva indicato gli estratti conto che il c.t.u. non avrebbe dovuto esaminare né allegato una discordanza tra i documenti prodotti dalle parti, b) non aveva chiaramente censurato le modalità di calcolo e la determinazione del TEG, c) non aveva indicato i periodi in cui si sarebbe dovuta verificare l’entità degli sconfinamenti, ai fini della determinazione del tasso soglia, e d) non aveva indicato in quale parte della ricostruzione il c.t.u. aveva provveduto all’azzeramento del saldo.
La Corte ha ritenuto poi inammissibili le censure riguardanti il rigetto della eccezione di prescrizione e la capitalizzazione dei soli interessi a credito, osservando che a sostegno della prima l’appellante aveva allegato l’insussistenza di qualsiasi affidamento, laddove in primo grado aveva negato la natura solutoria dei versamenti effettuati dalla correntista, mentre la seconda non era stata proposta in primo grado. Ha ritenuto invece generiche le censure riguardanti la capitalizzazione degl’interessi a debito e l’individuazione del tasso d’interesse, rilevando che la Banca aveva omesso d’indicare l’accordo sottoscritto in data successiva alla delibera del CICR del 9 febbraio 2000, con cui la capitalizzazione sarebbe stata pattuita, nonché il periodo in riferimento al quale il c.t.u. aveva utilizzato il tasso contestato.
Quanto alle conseguenze dell’accertamento della natura usuraria degl’interessi applicati, la Corte ha rilevato che il c.t.u. non aveva ritenuto non dovuti gl’interessi a debito, ma si era limitato ad escluderne la capitalizzazione; ha confermato inoltre la legittimità dell’inclusione della commissione di massimo scoperto nella determinazione del TEG, aggiungendo che l’appellante non aveva allegato che l’applicazione della stessa non avesse determinato il superamento del tasso soglia, né che la relativa eccedenza potesse essere compensata con il margine residuo degl’interessi.
Ha escluso infine che la sentenza di primo grado avesse omesso di pronunciare in ordine alla domanda di pagamento dell’importo dovuto per titoli insoluti, osservando che la Banca non aveva indicato specificamente i documenti prodotti a sostegno della stessa, ed escludendo la possibilità di ritenere il credito non contestato.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, per
cinque motivi, illustrati anche con memoria, la RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE), in qualità di mandataria della RAGIONE_SOCIALE, cessionaria dei crediti dell’RAGIONE_SOCIALE. La RAGIONE_SOCIALE, la COGNOME e il COGNOME hanno resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 112, 113, 115 e 342 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ., nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo di non aver dedotto la nullità della c.t.u. per tutte le ragioni indicate dalla Corte d’appello, ma di essersi limitata a dolersi dell’utilizzazione da parte del consulente di estratti conto irritualmente prodotti dalla controparte. Aggiunge che, nel rilevare la genericità della predetta censura e di quella concernente il calcolo del TEG, la sentenza impugnata non ha considerato che nell’atto di appello erano stati puntualmente indicati gli estratti conto ritualmente prodotti ed era stata evidenziata l’incomprensibilità degli allegati alla relazione di consulenza, da cui avrebbero dovuto desumersi le modalità di calcolo.
Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112, 113, 115, 166, 167 e 345 cod. proc. civ. e dello art. 24 Cost., osservando che, nel rilevare la novità dei fatti allegati a sostegno dell’eccezione di prescrizione, la Corte d’appello non ha considerato che essa ricorrente si era limitata a specificare il periodo da prendere in considerazione ai fini dell’individuazione delle rimesse solutorie.
Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 342 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ., nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rilevando che, nel ritenere nuova la questione riguardante la capitalizzazione degli interessi a credito, la Corte d’appello ha travisato il senso della censura proposta da essa ricorrente, riflettente invece il mancato computo degl’interessi debitori regolarmente pattuiti. Aggiunge che, nel reputare generica la censura, la sentenza impugnata non ha tenuto conto dell’esplicito richiamo nell’atto di appello delle lettere di con-
cessione del fido e del documento di sintesi recante l’indicazione delle relative condizioni.
Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1815, secondo comma, e 2697 cod. civ. e degli artt. 1 e 2 della legge 7 marzo 1996, n. 108, sostenendo che, nel disattendere la censura riflettente il mancato computo degl’interessi a debito, la Corte d’appello non ha considerato che l’accertamento della natura usuraria degl’interessi comporta l’azzeramento degli stessi, e non già l’esclusione della capitalizzazione. Osserva inoltre che la sentenza impugnata, pur avendo escluso la legittimità del computo della commissione di massimo scoperto, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia, ha rigettato la censura proposta al riguardo, dando atto dell’inadempimento di oneri di allegazione e di prova non gravanti a carico di essa ricorrente.
Con il quinto motivo, la ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., affermando che la Corte d’appello ha omesso di statuire in ordine all’inammissibilità della domanda di restituzione proposta dagli attori, eccepita da essa ricorrente in relazione alla mancata effettuazione di qualsiasi pagamento da parte degli stessi.
Il primo motivo, avente ad oggetto la ritenuta genericità del motivo di appello riguardante la c.t.u., è fondato.
La natura processuale del vizio lamentato, nel cui accertamento questa Corte è chiamata ad operare come giudice anche del fatto, consente di procedere all’esame diretto dell’atto di appello, testualmente riportato in parte qua a corredo del motivo di ricorso: da esso si evince che, a sostegno dell’impugnazione, la ricorrente aveva dedotto da un lato la nullità della c.t.u., in quanto espletata mediante l’utilizzazione di estratti conto irritualmente prodotti in giudizio, e dall’altro l’omesso esame da parte del Tribunale delle critiche da essa rivolte all’operato del c.t.u. Il motivo risultava adeguatamente circostanziato sotto entrambi i profili, avendo l’appellante precisato, in relazione al primo aspetto, che gli unici estratti conto ritualmente prodotti erano quelli da essa stessa depositati unitamente alla memoria di cui all’art. 183,
sesto comma, n. 2 cod. proc. civ., ed avendo invece sostenuto, in relazione al secondo aspetto, che nel calcolo del TEG il c.t.u. non aveva conteggiato gli interessi, le spese e la commissione di massimo scoperto effettivamente addebitati dalla Banca, ma aveva autonomamente elaborato un conto scalare, sulla base del quale aveva poi verificato il superamento del tasso soglia. Tali indicazioni, nella loro puntualità, dovevano ritenersi idonee a consentire di enucleare agevolmente le questioni sottoposte all’esame della Corte d’appello, la quale, ragionando a contrario sulla base dei documenti allegati alla memoria depositata ai sensi dell’art. 183 cod. proc. civ., avrebbe potuto identificare senza difficoltà gli estratti conto di cui veniva denunciata l’irrituale produzione, e, tenendo conto degli esempi formulati a sostegno delle altre censure, avrebbe potuto individuare senza incertezze gli errori di calcolo addebitati al c.t.u.
Non può dunque ritenersi violato il principio di specificità dell’appello, il quale, non vertendosi in un’ipotesi d’impugnazione a critica vincolata, non esige che l’appellante alleghi, e tanto meno che riporti analiticamente, gli elementi di giudizio invocati o quelli investiti dalle proprie censure, risultando sufficiente che egli esponga il punto sottoposto a riesame in modo tale che il giudice di secondo grado sia messo in condizione di cogliere (senza necessità di esplorare, in assenza di parametri di riferimento, le vicende processuali) la natura, il senso e la portata delle critiche rivolte alla sentenza impugnata (cfr. Cass., Sez. II, 19/03/2019, n. 7675). L’art. 342 cod. proc. civ., nel testo riformulato dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, posto anche in relazione con la natura del giudizio di appello, tutt’ora configurabile come revisio prioris instantiae , va infatti interpretato nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata, e con essi delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza tuttavia che occorra l’utilizzazione di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado (cfr. Cass., Sez. Un., 13/12/2022, n. 36481; 16/11/2017, n. 27199; Cass., Sez. VI, 30/05/2018, n. 13535).
E’ altresì fondato il secondo motivo, riguardante la novità dei fatti allegati a sostegno dell’eccezione di prescrizione.
Non può infatti condividersi l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui l’esame della predetta eccezione doveva ritenersi precluso dall’intervenuta modificazione della versione dei fatti fornita dall’appellante, che in sede di gravame aveva fatto valere la natura solutoria delle sole rimesse effettuate sui conti correnti nel periodo in cui gli stessi non erano stati assistiti da alcuna forma di affidamento, mentre in primo grado aveva negato la natura solutoria di tutte le rimesse, sostenendo che tutti i conti correnti erano assistiti da apertura di credito. Pur dovendosi dare atto di una certa contraddittorietà dei due assunti, riflettenti rispettivamente l’insussistenza di affidamenti, quanto meno per una parte della durata dei rapporti di conto corrente, e la sussistenza degli stessi per l’intera durata dei rapporti, deve escludersi che tale mutamento di linea difensiva da parte dell’appellante abbia comportato una significativa modificazione del tema d’indagine prospettato in primo grado, tale da disorientare la difesa della controparte e da alterare il regolare svolgimento del contraddittorio.
In tema di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso di un rapporto di conto corrente assistito da un’apertura di credito, questa Corte ha infatti affermato che l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che intenda opporre al correntista la prescrizione dell’azione può ritenersi soddisfatto mediante l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, unitamente alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle rimesse solutorie ritenute prescritte (cfr. Cass., Sez. Un., 13/06/ 2019, n. 15895; Cass., Sez. VI, 5/07/2022, n. 21225; Cass., Sez. III, 11/03/ 2020, n. 7013). Il carattere solutorio o ripristinatorio delle singole rimesse non incide quindi sul contenuto dell’eccezione, che rimane lo stesso, indipendentemente dalla natura dei singoli versamenti e dalla stessa esistenza di una apertura di credito: la distinzione concettuale esistente tra le diverse tipologie di versamento impone al giudice soltanto di verificare, ai fini della decisione in ordine alla fondatezza dell’eccezione di prescrizione, se il conto sia assistito da un affidamento, ed in caso positivo di selezionare giuridicamente le rimesse che assumano concreta rilevanza ai fini della ripetizione dell’indebito
(cfr. Cass., Sez. I, 6/12/2019, n. 31927; 30/01/2019, n. 2660; Cass., Sez. VI, 26/07/2017, n. 18581).
Conseguentemente, può ritenersi che il mutamento di linea difensiva da parte della Banca, che dopo aver sostenuto in primo grado la natura ripristinatoria di tutte le rimesse effettuate sui conti correnti, ha dedotto in sede di gravame la natura solutoria di alcune di esse, si sia risolto nella modificazione di un’allegazione di fatto sostanzialmente ininfluente ai fini della proposizione dell’eccezione di prescrizione, e per ciò solo inidonea a comportarne l’inammissibilità ai sensi dell’art. 345, secondo comma, cod. proc. civ.
E’ fondato anche il terzo motivo, avente ad oggetto l’inammissibilità della questione riguardante la capitalizzazione degli interessi a credito.
Con il terzo motivo di appello, riportato testualmente nel ricorso, la Banca aveva infatti censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui, dopo aver rilevato che il contratto di conto corrente non prevedeva la reciprocità della capitalizzazione trimestrale degl’interessi, aveva recepito il ricalcolo del saldo effettuato dal c.t.u., il quale, per il periodo anteriore all’entrata in vigore della delibera CICR del 9 febbraio 2000, aveva escluso la capitalizzazione dei soli interessi a debito, computando invece quella degl’interessi a credito: in proposito, peraltro, essa non aveva contestato l’esclusione della capitalizzazione, ritenuta giustificata dal richiamo all’orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., Sez. Un., 2/12/2010, n. 24418), ma aveva fatto rilevare che, sulla base del medesimo principio, il c.t.u. era giunto addirittura ad escludere totalmente dal conteggio gl’interessi debitori.
Indipendentemente dalla sua fondatezza, il motivo aveva un contenuto oggettivamente diverso da quello attribuitogli dalla Corte d’appello, la quale, nel ritenere che l’appellante avesse censurato l’esclusione della capitalizzazione degl’interessi a debito, anziché il mancato computo degl’interessi semplici, si è pronunciata su una questione diversa da quella proposta dall’appellante, affermandone oltretutto la novità, senza considerare che entrambe le questioni risultavano comprese nel thema decidendum delineato dalle domande reciprocamente proposte dalle parti. Le contestazioni sollevate dagli attori in ordine alla legittimità della misura degl’interessi e della capitalizzazione applicate sul conto corrente e la domanda di accertamento del credito
proposta in via riconvenzionale dalla Banca, imponendo di procedere al ricalcolo del saldo finale sulla base delle condizioni legittimamente applicabili, e quindi con l’esclusione degli addebiti effettuati dalla Banca per interessi usurari e per capitalizzazione non consentita, ma anche con il conteggio degl’interessi effettivamente dovuti in virtù delle pattuizioni intercorse tra le parti. In tema di conto corrente bancario, questa Corte ha infatti affermato che, ove il correntista lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo al periodo anteriore all’entrata in vigore della citata delibera CICR, il giudice, dichiarata la nullità della predetta clausola per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall’art. 1283 cod. civ., deve procedere alla rideterminazione del saldo del conto, senza operare alcuna capitalizzazione, ma calcolando comunque gli interessi a debito del correntista (cfr. Cass., Sez. I, 13/10/2017, n. 24156; 17/08/ 2016, n. 17150; Cass., Sez. III, 14/03/2013, n. 6550).
9. L’accoglimento delle predette censure, imponendo alla Corte territoriale di pronunciarsi in ordine alla fondatezza delle censure dichiarate inammissibili dalla sentenza impugnata, e di procedere, in caso di accoglimento delle stesse, alla rideterminazione del saldo dei conti correnti, sulla base degli elementi eventualmente risultanti da nuovi accertamenti di fatto, comporta l’assorbimento del quarto e del quinto motivo, riguardanti le modalità di calcolo degl’interessi e l’ammissibilità della domanda di restituzione delle somme pagate.
La sentenza impugnata va pertanto cassata, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’appello di Napoli, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie i primi tre motivi di ricorso, dichiara assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 18/10/2023