Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 148 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 148 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11266/2019 R.G. proposto da:
COMUNE DI LARINO, in persona del Sindaco pro tempore, elett.te domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME COGNOME CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresentano e difendono congiuntamente e disgiuntamente per procura in calce al ricorso,
-ricorrente principale-
nonché da
COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende per procura in calce al ricorso,
-ricorrenti incidentali autonomi-
contro
COGNOME e COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE per procura in calce al controricorso,
-controricorrenti e ricorrenti incidentali-
nonchè contro
PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’ APPELLO DI ROMA, PROCURA GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, REGIONE MOLISE,
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA sezione specializzata usi civici n. 1309/2019 depositata il 22.2.2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12.1./2023
dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Con ricorso del 16.12.2010 notificato a COGNOME Marina e COGNOME Alberto il Comune di Larino adiva il Commissario per gli usi civici di Napoli per sentire accertare la natura demaniale universale civica del terreno di circa 48 ettari, denominato Colle INDIRIZZO, dagli stessi occupato, terreno che era stato rilasciato in favore dei COGNOME sulla base della sentenza del Tribunale di Larino sezione specializzata agraria n. 184/1985, confermata dalla Corte d’Appello di Campobasso e poi dalla Cassazione, che aveva dichiarato risolto il contratto agrario
condannando gli affittuari COGNOME –COGNOME alla restituzione del fondo.
Precisava il Comune di Larino che un precedente giudizio promosso nel 1987 sempre davanti al Commissario per gli usi civici di Napoli, al quale avevano partecipato anche i COGNOME, si era concluso con la sentenza della Corte di Cassazione n. 15688/2010, che dopo un lungo e travagliato iter processuale, aveva dichiarato estinto il giudizio che si era svolto in sede di rinvio davanti al Commissario per gli usi civici di Napoli, travolgendo la sentenza della Corte d’Appello n. 9/2007 che aveva riconosciuto, sulla base del giudicato della Commissione Feudale del 1809, la natura demaniale civica universale del suddetto terreno Colle Lauro.
Nel giudizio di primo grado si costituivano i COGNOME COGNOME sollevando diverse eccezioni e chiedendo comunque il rigetto del ricorso, ed intervenivano i COGNOME, cittadini del Comune di Larino che in passato avevano occupato il terreno chiedendo la legittimazione del possesso ex artt. 9 e 10 della L. n.1766/1927 per avervi apportato migliorie, e domandavano, a loro volta, in qualità di cittadini del Comune di Larino, l’accertamento della natura demaniale civica universale del terreno Colle Lauro e dell’inopponibilità nei loro confronti delle sentenze del Tribunale di Larino sezione specializzata agraria n.184/1985 e della Corte d’Appello di Campobasso che l’aveva confermata sul presupposto dell’allodialità del medesimo terreno, e degli atti esecutivi conseguenziali.
Integrato il contraddittorio nei confronti della Regione Molise, ed espletata CTU, il Commissario per gli usi civici di Napoli, con la sentenza n. 3/2017 del 20.3.2017, respingeva l’eccezione di difetto di legittimazione attiva sollevata da COGNOME nei confronti degli intervenuti COGNOME sul presupposto che avessero agito in giudizio quali richiedenti la legittimazione del possesso in passato esercitato sul terreno denominato Colle Lauro ex artt. 9 e
10 della L.n. 1766/1927. Il Commissario riconosceva poi che ad eccezione di COGNOME NOME, NOME ed NOME, i COGNOME avevano agito come cittadini del Comune di Larino, rigettava le domande di accertamento della natura demaniale universale civica del terreno di circa 48 ettari, denominato Colle INDIRIZZO, avanzate dal Comune di Larino e dai COGNOME, dichiarava inammissibile la domanda di questi ultimi di accertamento dell’inopponibilità delle sentenze del Tribunale di Larino sezione specializzata agraria n. 184/1985 e della Corte d’Appello di Campobasso che l’aveva confermata, e compensava le spese di lite, ponendo le spese di CTU a carico del Comune di Larino e dei COGNOME.
Avverso tale sentenza proponevano separati reclami, poi riuniti, alla Corte d’Appello di Roma, sezione specializzata usi civici, il Comune di Larino ed i COGNOME, e resistevano i COGNOME Magliano proponendo appello incidentale condizionato, mentre restava contumace la Regione Molise.
La Corte d’Appello di Roma, sezione specializzata usi civici, con la sentenza n. 1309/2019 del 7/22.2.2019, dichiarava inammissibile ex art. 342 c.p.c. il reclamo del Comune di Larino per difetto di specificità dei motivi d’impugnazione, dichiarava inammissibile il reclamo dei COGNOME ritenendo che non fosse contestata la loro qualifica di meri interventori adesivi, in quanto tali sprovvisti di autonoma legittimazione ad impugnare, salvo che l’impugnazione fosse limitata alle questioni specificamente attinenti alla qualificazione dell’intervento, o alla condanna alle spese, riteneva assorbito l’appello incidentale dei RAGIONE_SOCIALE Magliano, e condannava gli appellanti principali alla rifusione in favore dei Modafferi Magliano delle spese processuali di secondo grado, determinandole per ciascuna parte appellante in € 10.000,00 per compensi ed € 100,00 per spese.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso alla Suprema Corte, spedito per la notifica ai COGNOME, ai COGNOME, alla
Regione Molise ed alla Procura Generale presso la Corte di Cassazione il 5.4.2019, il Comune di Larino, affidandosi a due motivi, ed hanno proposto autonomo ricorso in pari data, da qualificare come ricorso incidentale autonomo, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME in proprio quali cittadini del Comune di Larino e quali eredi di NOME con un unico motivo, mentre resistono con controricorso e ricorso incidentale spedito per la notifica il 15.5.2019 COGNOME COGNOME NOME e COGNOME NOME con due motivi, ed é rimasta intimata la Regione Molise.
Hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c. i COGNOME Magliano.
La causa é stata trattenuta in decisione nell’adunanza camerale del 12.12.2023.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo il Comune di Larino lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., come modificato dall’art. 54 comma 1 lett. A) del D.L. n. 83/2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 134/2012 per avere ritenuto privo dei requisiti di specificità il suo reclamo in appello e la violazione dell’art. 310 comma 2 c.p.c. sugli effetti dell’estinzione del processo per avere ritenuto travolti dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 15668/2010 le precedenti sentenze (sentenza del Commissario per gli usi civici di Napoli b. 3/2005 e sentenza della Corte d’Appello di Roma sezione specializzata usi civici n. 9/2007) che avevano riconosciuto, sulla base del giudicato della Commissione Feudale del 1809, la natura demaniale civica universale del suddetto terreno denominato Colle Lauro.
Lamenta il ricorrente che l’impugnata sentenza abbia dichiarato inammissibile ex art. 342 c.p.c. il suo reclamo, per difetto di specificità dei motivi, per avere riproposto le questioni che avevano formato oggetto del giudizio di primo grado, e richiamato i precedenti giurisprudenziali travolti dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 15688/2000, che dovevano ritenersi irrilevanti ai fini della specificità dei motivi, in assenza di censure specifiche alla motivazione della sentenza n. 3/2017 del Commissario per gli usi civici di Napoli. La sentenza impugnata ha ritenuto poi le censure, contenute nel reclamo del Comune di Larino, del tutto generiche ed inidonee ad attaccare l’impianto motivazionale della sentenza di primo grado, che si era fondata sul mancato rinvenimento dell’Apprezzo del Tavolario del 1663, che era stato redatto per la vendita del feudo di Larino a NOME COGNOME, che non poteva costituire documento valido ed efficace per attribuire certezza al confinamento che in base ad esso era stato compiuto dalla sentenza della Commissione Feudale del 1809, che aveva sì riconosciuto la natura di demanialità civica universale del terreno denominato Colle Lauro, ma fatta eccezione per le proprietà particolari, impedendo quindi di ricavare la prova dell’esatto confinamento della demanialità universale civica del terreno denominato Colle Lauro.
La sentenza impugnata ha poi sostenuto, che nessuna censura specifica era stata svolta avverso le argomentazioni della sentenza di primo grado relative ai limiti di operatività della presunzione di demanialità, e che era stato lamentato, solo genericamente, l’acritico recepimento da parte del primo giudice della CTU COGNOME
Deduce il ricorrente che in realtà col reclamo, del quale ha riportato il testo, aveva censurato il convincimento del Commissario per gli usi civici di Napoli, in quanto fondato solo sulle deduzioni e considerazioni svolte in modo ipotetico e dubbioso dal CTU COGNOME e sulla documentazione storico -catastale dallo stesso rinvenuta,
senza tener conto del giudicato della Commissione Feudale del 1809, degli accertamenti tecnico -giuridici svolti (in particolare la CTU COGNOME COGNOME) nei giudizi sfociati nella sentenza del Commissario per gli usi civici di Napoli n. 3/2005 e della Corte d’Appello di Roma sezione specializzata usi civici n.9/2007 prima dell’estinzione dichiarata dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 15688/2010, senza tener conto che i COGNOME COGNOME non avevano fornito la prova, a loro carico, della natura allodiale dei terreni denominati Colle INDIRIZZO in loro possesso, e trascurando completamente le argomentazioni del Comune di Larino.
Il Comune di Larino, inoltre, osserva che nel reclamo aveva censurato la sentenza commissariale per non avere considerato la lettera dell’8.9.1817 del Sostituto Sindaco di Larino all’Intendente del Molise, nella quale si affermava che nel 1812 il demanio universale di Colle di Lauro era stato reintegrato a favore del Comune di Larino secondo i confini indicati nella lettera stessa, corrispondenti a quelli dell’Apprezzo del Tavolario del 1663 introvabile, in esecuzione della sentenza della Commissione Feudale del 1809 avvenuta con l’ordinanza COGNOME, e corrispondenti a quelli dell’Apprezzo del 1741 per la formazione del Catasto Onciario, in cui era indicato l’unico bene allodiale del feudatario escluso dal demanio civico universale del terreno denominato Colle INDIRIZZO in località INDIRIZZO, che non corrispondeva ai terreni posseduti dai Modafferi Magliano, come confermato dalla verifica demaniale Cafiero del 1938, per cui da detti atti risultava che i terreni oggetto di causa facevano parte del demanio universale civico del Comune di Larino ed erano stati usurpati dal barone COGNOME
Il Comune di Larino, osserva poi, che nel reclamo aveva criticato la CTU COGNOME, in quanto per individuare i confini del feudo, essendo andato distrutto l’Apprezzo del COGNOME del 1663, si era avvalso di documenti rinvenuti in archivi privati
prodotti dai NOME COGNOME (come la mappa del 1871 rilasciata dall’Archivio diocesano di Larino), che non potevano avere alcun valore probatorio e dei quali aveva quindi chiesto lo stralcio senza ottenere risposta dal Commissario per gli usi civici di Napoli, e che neppure era stata considerata la sua doglianza in ordine al fatto che i terreni oggetto di causa si trovavano proprio nel centro dei terreni denominati Colle Lauro secondo la perizia COGNOME del 1939/1940, per cui nessun rilievo poteva avere l’incertezza sui confini esterni del feudo, essendo i terreni di causa certamente caratterizzati dalla demanialità universale civica.
Evidenzia poi il ricorrente che aveva contestato le argomentazioni del Commissario per gli usi civici di Napoli sui limiti della presunzione di demanialità, sostenendo che la Commissione Feudale del 1806 aveva ricostruito esattamente, sulla base dell’Apprezzo del Tavolario COGNOME del 1663, le porzioni del territorio feudale ed i locali costituenti demanio universale civico, e non per presunzioni, per cui incombeva sui COGNOME l’onere di provare che i terreni posseduti avevano natura allodiale, non bastando allo scopo una mera annotazione catastale del 1835 di una colonia trasferita dall’ex feudatario NOME COGNOME a Magliano COGNOME, e non potendosi avallare i ragionamenti, questi sì presuntivi, svolti dal CTU COGNOME.
Sottolinea poi il ricorrente che aveva anche censurato la CTU COGNOME perché attraverso un ragionamento presuntivo, basato su soli dati catastali, non sostitutivi dei titoli di proprietà, nonostante l’importante ruolo svolto nella tenuta del catasto da COGNOME COGNOME aveva ritenuto che le terre possedute dai COGNOME potessero essere ‘terre appadronate’ già di proprietà di enti ecclesiastici, ed in particolare del Convento di San Francesco. Tale censura era stata basata specificamente dal Comune sui contrari accertamenti, compiuti nella sentenza n. 3/2005 del Commissario per gli usi civici di Napoli, in ordine alla provenienza
dei terreni in questione da enti ecclesiastici, e sottolineando che comunque a tutto concedere si sarebbe trattato di semplice colonìa concessa dal Convento di San Francesco, mai affrancata, e non di proprietà dei COGNOME.
Si duole poi il ricorrente che l’impugnata sentenza abbia considerato travolte la sentenza del Commissario per gli usi civici di Napoli n. 3/2005 e quella della Corte d’Appello di Roma sezione specializzata usi civici n. 9/2007 (che avevano ricavato la natura demaniale civica universale del terreno denominato Colle Lauro dalla sentenza della Commissione Feudale del 1809) dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 15688/2010, ancorché l’art. 310 comma 2° c.p.c. stabilisca che l’estinzione rende inefficaci gli atti compiuti, ma non le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo.
Questa Corte (vedi Cass. 27.10.2023 n. 29799) ha precisato che il ricorrente che censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello ha l’onere di precisare, nel ricorso per cassazione, al fine di integrare il requisito richiesto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto al giudice, riportandone il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità, non potendo limitarsi a rinviare all’atto di appello (Cass. ord. n. 24048 del 6.9.2021; Cass. sez. lav. ord. n. 3612 del 4.2.2022).
Nell’illustrare le ragioni in forza delle quali ritiene erroneo il giudizio del giudice di appello, poi, la parte che propone ricorso per cassazione è tenuta ad operare una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa, che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, anche se non è necessario che utilizzi particolari
forme sacramentali, né che rediga un progetto alternativo di decisione (Cass. sez. un. Ord. n. 36481 del 13.12.2022).
Con i motivi di ricorso per cassazione, infatti, la parte non può limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, poiché in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata, che si risolve, in sostanza, nella formulazione di un “non motivo”, come tale inammissibile ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, (Cass. ord. n. 22478 del 24.9.2018).
Nel caso di specie, il Comune di Larino ha assolto tali oneri formali, come desumibile da quanto sopra riportato, ed il primo motivo di ricorso del Comune di Larino deve ritenersi fondato.
Questa Corte, a sezioni unite, ha, invero, al riguardo precisato che ” gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata “.
Nella specie non é vero che il Comune di Larino in sede di reclamo si sia limitato a riproporre le tesi già sostenute in primo grado, ed a richiamare i precedenti giurisprudenziali (la sentenza del Commissario per gli usi civici di Napoli n. 3/2005 e quella della Corte d’Appello di Roma sezione specializzata usi civici n. 9/2007)
travolti dalla sentenza n. 15688/2010 della Corte di Cassazione, formulando censure del tutto generiche ed inidonee ad attaccare l’impianto motivazionale della sentenza di primo grado, limitandosi ad invocare il giudicato della sentenza della Commissione Feudale del 1809, senza attaccare le ragioni per le quali il Commissario per gli usi civici di Napoli ha ritenuto da essa non ricavabile la prova della demanialità universale civica dei terreni denominati Colle Lauro, limitandosi a censurare genericamente la CTU COGNOME e non contestando specificamente le argomentazioni del primo giudice sui limiti di operatività della presunzione di demanialità, con conseguente irrilevanza delle censure relative al difetto di prova della natura allodiale dei terreni posseduti da parte dei COGNOME, che sarebbe venuto in rilievo solo in quanto fosse stata prima dimostrata la demanialità universale civica dei terreni denominati Colle Lauro.
In realtà attraverso il reclamo il Comune di Larino, sia pure riprendendo argomentazioni già sostenute in primo grado, aveva cercato di incrinare il fondamento logico -giuridico della motivazione della sentenza del Commissario per gli usi civici di Napoli individuando le parti censurate e sostenendo che la sentenza della Commissione Feudale del 1809, pur in mancanza dell’Apprezzo del Tavolario COGNOME del 1663, andato perduto, consentiva in base ad altri atti specificamente indicati, di ritenere provata la demanialità civica universale del terreno denominato INDIRIZZO, come già a suo tempo accertato dalla sentenza della Corte d’Appello di Roma sezione specializzata usi civici n.9/2007, con conseguente onere a carico dei COGNOME COGNOME di dimostrare la natura allodiale dei terreni posseduti, non surrogabile, in difetto di titoli di proprietà, da mere risultanze catastali risalenti ed anche dubbie sulla titolarità di un diritto di colonia degli stessi, né dai ragionamenti presuntivi svolti dal CTU COGNOME e su tali specifiche doglianze la Corte d’Appello di Roma sezione specializzata usi civici non si é espressa,
ipotizzando un insussistente vizio di difetto di specificità dei motivi d’impugnazione.
Infondata é invece la doglianza, sempre ricompresa nel primo motivo, relativa alla violazione dell’art. 310 comma 2° c.p.c., in quanto nella specie le sentenze del Commissario per gli usi civici di Napoli n. 3/2005 e della Corte d’Appello di Roma sezione specializzata usi civici n. 9/2007 invocate dal Comune di Larino, sono state espressamente travolte dalla sentenza n. 15688/2010 della Corte di Cassazione, che nel cassare senza rinvio, ha rilevato come l’estinzione passata in giudicato per mancata tempestiva impugnazione si fosse verificata nel corso del giudizio di rinvio davanti al Commissario per gli usi civici di Napoli, a seguito della mancata dimostrazione tempestiva dell’avvenuta integrazione del contraddittorio disposta, verificatasi prima che per effetto dell’abnorme revoca dell’ordinanza ( rectius sentenza) di estinzione da parte del Commissario per gli usi civici di Napoli fossero pronunciate le sentenze del Commissario per gli usi civici di Napoli n. 3/2005 e della Corte d’Appello di Roma sezione specializzata usi civici n. 9/2007, determinando quindi un’improseguibilità del giudizio incompatibile con la pronuncia sopravvenuta di tali sentenze.
Il secondo motivo fatto valere dal Comune di Larino, inerente alla violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., ed alla nullità conseguente dell’impugnata sentenza per non essersi pronunciata sul merito del reclamo, deve ritenersi assorbito dall’accoglimento del primo motivo.
Passando all’esame del ricorso incidentale autonomo di COGNOME NOME, NOME, NOME, NOME e NOME, con l’unico motivo fatto valere essi lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., che l’impugnata sentenza abbia dichiarato inammissibile il loro reclamo, qualificando il loro intervento come
pacificamente adesivo dipendente e non attribuente quindi un autonomo potere d’impugnazione, anziché come intervento litisconsortile, o adesivo autonomo.
Deducono i ricorrenti COGNOME che essi avevano agito in primo grado non solo a tutela delle aspettative nutrite in ragione della richiesta di legittimazione ex artt. 9 e 10 della L. n. 1766/1927, che per il suo accoglimento presupponeva il riconoscimento della demanialità universale civica dei terreni denominati Colle INDIRIZZO, e quindi come interventori adesivi dipendenti, ma anche in qualità di cittadini del Comune di Larino (producendo in questa sede i loro certificati di residenza aggiornati alla data del ricorso), dotati di una legittimazione concorrente con quella del Comune di Larino, e quindi con intervento litisconsortile, per rivendicare la demanialità universale civica dei terreni denominati Colle INDIRIZZO sui quali insisteva l’azienda agricola COGNOME, come peraltro riconosciuto dalla sentenza di primo grado, che proprio per la qualità di cives del Comune di Larino dei Mancini, aveva respinto l’eccezione di difetto di legittimazione attiva sollevata nei loro confronti dai COGNOME sul presupposto che avessero agito solo come passati occupanti dei terreni che avevano richiesto la legittimazione del possesso ex artt. 9 e 10 della L. n. 1766/1927.
Il primo motivo di ricorso dei COGNOME è fondato e merita accoglimento, in quanto l’impugnata sentenza ha erroneamente dichiarato inammissibile il loro reclamo, qualificandoli come meri interventori adesivi dipendenti, in quanto tali non legittimati a proporre un’autonoma impugnazione.
Va premesso che non era affatto pacifico che i COGNOME fossero interventori adesivi dipendenti, dal momento che la sentenza di primo grado, respingendo l’eccezione di difetto di legittimazione attiva sollevata nei loro confronti dai COGNOME aveva da un lato ritenuto i COGNOME come interventori adesivi dipendenti per la parte in cui avevano agito in giudizio allo scopo di tutelare la loro
passata condizione di possesso dei terreni per i quali avevano presentato richiesta di legittimazione ex artt. 9 e 10 della L. n. 1766/1927, ma dall’altro ritenuto che nel contempo gli attuali ricorrenti fossero interventori litisconsortili in quanto cives del Comune di Larino.
Tale seconda qualificazione corrisponde, del resto, alla giurisprudenza consolidata della Suprema Corte, che afferma l’ammissibilità dell’intervento nel corso del giudizio di secondo grado ex art. 344 c.p.c. delle persone fisiche, che nei giudizi relativi all’accertamento dell’esistenza di usi civici ovvero del demanio comunale, agiscano come cittadini appartenenti alla collettività, e le ritiene anche legittimate a prendere l’iniziativa dell’impugnazione in quanto la sentenza emananda sarebbe efficace anche nei loro confronti, quali partecipi di quella comunità, pretesa titolare degli usi o delle terre demaniali di cui si controverte (Cass. sez. un. 26.2.2019 n. 5644;Cass. 29.7.2016 n. 15938; Cass. n.7541/2002; Cass. n. 1671/2015; Cass. 11 febbraio 1974 n. 387).
La stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 113/2018 ha affermato che ” nei giudizi relativi all’accertamento e all’esistenza di beni del demanio civico, qualunque cittadino appartenente a quella determinata collettività è legittimato a svolgere intervento, “in quanto la sentenza emananda fa stato anche nei suoi confronti quale partecipe della comunità titolare degli usi o delle terre demaniali di cui si controverte “, e che un tale potere civico non può certo essere un vuoto simulacro, ma una facoltà pienamente esercitabile innanzi al giudice naturale, cioè davanti al Commissario degli usi civici.
Quanto al ricorso incidentale dei COGNOME Magliano, col primo motivo essi lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 81, 105 e 112 c.p.c. e degli articoli 1 e 9 della L. n. 1766/1927, in quanto la sentenza impugnata, dichiarando l’inammissibilità del reclamo dei
COGNOME sul presupposto della loro qualificazione come interventori adesivi dipendenti, ne ha implicitamente riconosciuto la legittimazione ad causam anche se non all’impugnazione, omettendo però di pronunciarsi sul motivo di appello incidentale (pagine 92 -97) col quale i COGNOME COGNOME avevano censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva riconosciuto la legittimazione ad causam dei COGNOME in quanto istanti per la legittimazione delle terre controverse ex art. 9 della L. n. 1766 del 1927, ma in realtà titolari di un interesse di mero fatto e non di un interesse legittimo, e la legittimazione dei COGNOME quali cives del Comune di Larino, qualità non invocata nel giudizio di primo grado e neppure nel reclamo alla Corte d’Appello sezione specializzata usi civici.
Tale motivo é inammissibile per difetto di autosufficienza, in quanto onde possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio d’omessa pronunzia, è necessario che con il motivo sia denunziata, ex art. 360 n. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 112 cpc, e, quindi, da un lato, che venga dimostrato essere state rivolte al giudice del merito una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si rendesse necessaria ed ineludibile, dall’altro, che tali domanda od eccezione vengano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente e/o per riassunto del loro contenuto e, tanto meno, per relationem agli atti della fase di merito, nel ricorso per cassazione (Cass. 19.11.2004 n. 21895). Si richiede altresì l’indicazione specifica, dell’atto difensivo e/o del verbale d’udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di legittimità di verificarne, in primis , la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, di valutare la decisività delle questioni prospettatevi.
Ove, infatti, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, dell’art. 112 cpc, ciò che configura un’ipotesi di error in
procedend o (mentre nella specie é stato erroneamente invocato un error in iudicando ) per il quale questa Corte è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere -dovere del giudice di legittimità d’esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato all’adempimento da parte del ricorrente, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione -che inibisce, tra l’altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito -dell’onere d’indicarli compiutamente, non essendo consentita al giudice stesso una loro autonoma ricerca ma solo una loro verifica (Cass. 23.3.2004 n. 5745; Cass. 23.9.2002 n. 13833; Cass. 11.1.2002 n. 31710; Cass. 24.3.1999 n. 2773).
Essendo lamentata la violazione dell’art. 112 c.p.c., i ricorrenti incidentali avrebbero dovuto riprodurre compiutamente il contenuto dell’atto di intervento dei COGNOME davanti al Commissario per gli usi civici di Napoli e dell’atto di reclamo davanti alla Corte d’Appello di Roma sezione specializzata per gli usi civici, nonché quello del loro appello incidentale, per mettere in condizione la Suprema Corte, senza ricerche sostitutive negli atti, di verificare anzitutto la ritualità e tempestività, ed in secondo luogo l’inerenza della doglianza all’effettiva qualità spesa dai COGNOME nell’intervenire nel giudizio di primo grado.
Col secondo motivo di ricorso incidentale i COGNOME COGNOME lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 100, 105 e 112 c.p.c., 1 e 9 della L. n. 1766 del 1927.
Si dolgono i ricorrenti incidentali che non sia stato escluso l’interesse ad agire dei COGNOME in quanto non più occupanti, dopo la cessazione da oltre trenta anni dell’affitto, i terreni di preteso demanio civico universale, e quindi ormai privi del potere di chiederne la legittimazione ex art. 9 della L. 16.6.1927 n.1766, avendo peraltro visto dichiarare inammissibili per difetto di
giurisdizione, dal Commissario per gli usi civici di Napoli, le loro domande volte ad ottenere l’inopponibilità nei loro confronti delle sentenze del Tribunale di Larino sezione specializzata agraria n. 184/1985 e della Corte d’Appello di Campobasso che l’aveva confermata.
Tale secondo motivo deve ritenersi assorbito per effetto dell’inammissibilità del primo motivo del ricorso incidentale, in quanto permanendo comunque l’interesse ad agire dei COGNOME quali cives del Comune di Larino, risulta superfluo stabilire se essi fossero anche legittimati ad intervenire in causa quali soggetti non più occupanti i terreni controversi che avevano per essi in passato presentato istanza di legittimazione ex art. 9 della L. 16.6.1927 n.1766.
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1 -quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico di COGNOME COGNOME Alberto e COGNOME Magliano Marina, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, sezione seconda civile, accoglie per quanto di ragione il primo motivo del ricorso principale del Comune di Larino, assorbito il secondo, accoglie il ricorso incidentale autonomo di COGNOME NOME, NOME, NOME NOME e NOME, dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso incidentale di COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME assorbito il secondo motivo, cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, sezione specializzata usi civici, in diversa composizione, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 12.12.2023