Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 209 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 209 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 07/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16364 – 2019 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 576/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA , pubblicata il 26/3/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
7/5/2024 dal consigliere NOME COGNOME
letta la memoria del ricorrente.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 9/10/2014, NOME COGNOME convenne in giudizio dinnanzi al Tribunale di Pescara l’avv. NOME COGNOME spiegando opposizione avverso il decreto ingiuntivo da lui ottenuto nei suoi confronti per l’importo di euro 112.637,42, oltre agli interessi in misura legale ed alle spese di procedura, a titolo di compenso per le prestazioni rese in suo favore nel corso di venti giudizi, in parte civili, in parte amministrativi, al netto degli acconti già versati.
Con sentenza n.912/18, il Tribunale di Pescara, decidendo in composizione collegiale, ma esplicitamente escludendo l’utilizzo del rito ex art. 14 d.lgs. 2011, confermò il valore indicato dall’avvocato istante di alcune tra le cause patrocinate, accolse parzialmente l’eccezione di prescrizione e il motivo di opposizione relativo all’applicazione della percentuale del 15% delle spese forfettarie, riducendola al 12,50% e liquidò infine i compensi in misura inferiore a quella ingiunta.
Avverso la sentenza NOME COGNOME propose appello, lamentando, con il primo motivo, che il Tribunale di Pescara avesse violato i principi dell’onere della prova di cui all’art 2697 cod. civ. e di non contestazione ex art 115 cod. proc. civ. laddove aveva ritenuto la genericità delle sue doglianze e attribuito efficacia vincolante all’opinamento del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Pescara, pur in presenza di sue specifiche contestazioni sul quantum debeatur , della domanda di applicazione dei minimi tariffari e sebbene ogni questione sollevata costituisse mera difesa che implicava la necessità di
valutazione del fondamento della pretesa; con il secondo motivo, rappresentò pure che, nella memoria ex art. 183 cod. proc. civ., aveva formulato specifiche osservazioni sulla scarsa complessità giuridica delle cause svolte e sul loro esito negativo; infine, con il terzo motivo, rappresentò che il Tribunale di Pescara non aveva valutato che l’ opinamento risultava palesemente erroneo in quanto il Consiglio dell’Ordine aveva di fatto liquidato alcune voci in applicazione dei parametri massimi e non medi, come invece dichiarato dal professionista.
2.1. La Corte d’appello, con la sentenza n. 576/19, dichiarò inammissibile l’appello perché non conferente rispetto alla principale ratio decidendi e non compiutamente formulato; sostenne, quindi, la novità della questione sollevata con il terzo motivo e, cioè, la misura dei parametri applicati per la liquidazione di alcune voci.
Avverso questa sentenza COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, a cui l’avv. COGNOME ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., NOME NOME COGNOME ha lamentato la violazione e falsa applicazione dell’art 342 cod. proc. civ. per avere il Tribunale ritenuto l’appello inammissibile per difetto di specificità, sebbene egli avesse rappresentato che, nel giudizio di opposizione, sarebbero state sufficienti contestazioni generiche alla congruità dell’onorario preteso per escludere che il Tribunale potesse fondare la sua decisione su ll’ opinamento, dovendo invece procedere ad esaminare nel merito, ai fini della liquidazione, la documentazione prodotta dall’avvocato, perché su quest’ultimo gravava l’onere probatorio; in ogni caso, egli aveva pure ribadito di aver formulato
contestazioni specifiche, nei termini di cui al 183 VI comma n. 1 cod. proc. civ., non adeguatamente esaminate dal Tribunale.
1.1. Il motivo è fondato.
Questa Corte ha chiarito che l’ art. 342 cod. proc. civ., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, deve essere interpretato nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l ‘ utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello che in tal senso mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Sez. U, n. 27199 del 16/11/2017; Sez. U, n. 36481 del 13/12/2022).
La Corte d’appello non ha correttamente applicato questi principi, pur richiamandoli a sostegno della dichiarazione di inammissibilità, laddove ha ritenuto generica la formulazione dell’impugnazione perché l’appellante non sarebbe, «pur elencando ogni singola causa», «entra nella specifica illustrazione del caso concreto, non avrebbe formulato nessuna «prospettazione della diversa soluzione al caso concreto», avrebbe posto per la prima volta in appello la questione della erroneità della applicazione dei parametri massimi e non medi come dichiarato dal professionista e, in ogni caso avrebbe formulato il motivo in modo assertivo.
Nel suo atto di appello, invece, NOME COGNOME aveva essenzialmente lamentato che il Giudice di primo grado gli avesse addossato un onere di specifica contestazione degli importi pretesi con
l’ingiunzione in realtà insussistente, incombendo invece al difensore istante l’onere di provare la spettanza di ciascuna voce pretesa .
In particolare, l’appellante ha censurato la sentenza di primo grado asserendo che il Tribunale si fosse attenuto al parere di congruità del Consiglio dell’Ordine, senza considerare che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non è più sufficiente la prova dell’espletamento dell’opera e dell’entità delle prestazioni fornita con la produzione della parcella e del relativo parere della competente associazione professionale e che spetta al professionista, nella sua qualità di attore, fornire gli elementi dimostrativi della pretesa, per consentire al giudice la verifica delle singole prestazioni svolte e la loro corrispondenza con le voci e gli importi pretesi.
Era questo, essenzialmente, il nucleo dell’appello e in tal senso l’atto di impugnazione direttamente esaminabile da questa Corte perché è stato denunciato un error in procedendo -è stato formulato in modo corrispondente alla previsione dell’art. 342 cod. proc. civ.: l’appellante, infatti, ha specificamente lamentato, in fatto e in diritto, che il Tribunale non avesse proceduto a « vagliare tutta l’attività compiuta dal professionista e le controversie nel loro complesso al fine di determinare l’onorario applicabile al caso di specie da un minimo fino ad un massimo secondo le tariffe professionali», a effettuare una adeguata ponderazione «della natura e del valore della controversia, dell’importanza e del numero delle questioni trattate, del grado dell’autorità adita, con speciale riguardo all’attività svolta dall’avvocato davanti al giudice», in violazione dell’art. 5 comma 1 del decreto 127 del 2004, oltre che del successivo comma 3, secondo cui nella liquidazione degli onorari a carico del cliente, può essere tenuto conto dei risultati del giudizio e dei vantaggi, anche non patrimoniali, conseguiti e non avesse neppure individuato, in violazione dell’art. 6
dello stesso decreto, se il valore effettivo della controversia risultasse o non manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile.
In tal senso, l’appello era stato formulato in modo compiuto e risultava perciò ammissibile, in quanto poneva questioni di diritto e di fatto del tutto pertinenti rispetto alla motivazione della pronuncia di primo grado appellata, la cui fondatezza avrebbe dovuto essere specificamente esaminata dal Giudice di secondo grado.
La sentenza impugnata deve, perciò, essere cassata.
Dall’accoglimento del primo motivo consegue, in logica conseguenza, l’assorbimento del secondo motivo, pure articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., con cui il ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli art. 345 e 342 cod. proc. civ. per avere la Corte illegittimamente ritenuto inammissibile perché nuova la specifica contestazione concernente l’illegittima ed immotivata applicazione del massimo della tariffa per le voci «redazioni conclusionali e repliche» di talune controversie ben individuate e specificate, senza considerare che in primo grado era stato contestato integralmente l’onorario ingiunto siccome incongruo e non dovuto, richiedendo l’applicazione dei minimi tariffari.
2.1. Logicamente assorbito è, infine, anche il terzo motivo avente ad oggetto la liquidazione delle spese del giudizio di secondo grado.
Il ricorso è perciò accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di L’Aquila in diversa composizione perché provveda all’esame in merito dell’impugnazione , statuendo anche sulle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di L’Aquila in diversa composizione anche per le spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda