Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4783 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4783 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31379/2019 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio del Dott. NOME COGNOME;
-ricorrente –
contro
COMUNE DI COGNOME, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio in Roma, INDIRIZZO presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Potenza n. 559/18, depositata il 10 settembre 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 ottobre 2024 dal
Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE in qualità di cessionaria del ramo di azienda relativo all’impresa edile di NOME COGNOME convenne in giudizio il Comune di Albano in Lucania, per sentirlo condannare al pagamento della somma di Euro 48.764,02, a titolo di saldo del corrispettivo dovuto per i lavori di ampliamento del secondo stralcio esecutivo del cimitero comunale, eseguiti in adempimento del contratto di appalto stipulato dal cedente l’8 agosto 1990.
Premesso che il Comune aveva prestato il proprio consenso alla cessione, l’attrice riferì che con deliberazione del 25 giugno 1997 l’Amministrazione si era impegnata a liquidare in favore di essa cessionaria la somma di Lire 82.717.811, aggiungendo di aver completato i lavori in tempo utile.
Si costituì il Comune, ed eccepì che l’attrice aveva ricevuto l’importo ad essa dovuto per i lavori risultanti dalla contabilità finale, precisando che prima della cessione del ramo di azienda l’impresa RAGIONE_SOCIALE aveva eseguito i lavori strutturali per un importo di Lire 29.740.690, oltre IVA, ed esso convenuto aveva provveduto all’accantonamento delle somme dovute all’impresa cedente, a seguito di due atti di pignoramento notificatigli da terzi.
1.1. Con sentenza del 30 maggio 2007, il Tribunale di Potenza rigettò la domanda, rilevando che l’attrice, oltre a non aver indicato i criteri adottati per la determinazione della somma richiesta e le opere ulteriori eseguite rispetto a quelle risultanti dalla contabilità finale dei lavori, non aveva fornito la prova dell’ an e del quantum del credito azionato, ed aggiungendo che dallo atto di citazione non emergeva con certezza il titolo giustificativo della pretesa avanzata.
L’impugnazione proposta dalla RAGIONE_SOCIALE in qualità di cessionaria del ramo di azienda della RAGIONE_SOCIALE è stata rigettata dalla Corte d’appello di Potenza.
A fondamento della decisione, la Corte ha ritenuto che l’appellante non avesse svolto argomentazioni idonee a confutare la ratio della sentenza di primo grado, consistente nella genericità delle indicazioni fornite dall’attrice e nella mancata prova del credito.
Ha ritenuto comunque infondate le censure proposte, rilevando che l’appellante, pur avendo ridotto la pretesa alla minor somma di Lire 12.745.475, equivalente a quella anticipata dal Comune al Mecca e detratta dal saldo finale dei lavori, non aveva chiarito la causale del credito azionato, né provato che l’impresa Mecca avesse eseguito lavori per un importo di Lire 32.714.754, interamente accantonato a seguito dei pignoramenti: ha osservato infatti che dalla documentazione prodotta emergeva che la somma accantonata costituiva il corrispettivo dei soli lavori di completamento della struttura realizzata dall’impresa COGNOME, la quale aveva dunque eseguito lavori per complessive Lire 45.460.234, liquidate dall’Amministrazione con determinazione n. 2 del 17 gennaio 2001. Ha aggiunto che, anche a voler condividere la prospettazione dell’appellante, la pretesa avrebbe dovuto essere avanzata nei confronti del COGNOME, il quale avrebbe ricevuto a titolo di anticipazione una somma non riferibile a lavori effettivamente eseguiti.
Quanto poi alle somme richieste a titolo d’interessi per il ritardo nell’effettuazione dei pagamenti, la Corte ha richiamato la transazione stipulata il 6 agosto 1997 tra la RAGIONE_SOCIALE e il Comune, con cui era stato pattuito che la liquidazione delle somme spettanti alla cessionaria per i restanti lavori sarebbero state corrisposte subordinatamente alla predisposizione della contabilità ed all’accredito di un finanziamento da parte della Cassa Depositi e Prestiti, rilevando che dalla documentazione prodotta non emergeva né il primo stato di avanzamento dei lavori eseguiti dalla LESGTS né l’accredito del finanziamento, e ritenendo insufficiente l’avvenuta produzione del certificato di ultimazione dei lavori.
Avverso la predetta sentenza la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi. Il Comune ha resistito con controricorso, illustrato anche con memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., sostenendo che, nel ritenere non provato il credito residuo fatto valere con l’atto di appello, la Corte territoriale è incorsa in un errore di percezione nella rico-
gnizione del contenuto oggettivo della documentazione prodotta, non avendo tenuto conto dell’errore contabile commesso dal Comune nella liquidazione delle somme pagate alla impresa Mecca, consistente nell’aver detratto dapprima l’importo dell’anticipazione alla stessa corrisposta, e successivamente quello dei lavori effettivamente eseguiti dalla stessa.
Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione o la falsa applicazione dell’art. 26 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e del d.m. 19 aprile 2000, n. 145, osservando che, nel ritenere non provato il credito per interessi, la sentenza impugnata non ha tenuto conto della puntuale indicazione nell’atto di citazione dei relativi importi e dei ritardi emergenti dagli atti contabili. Aggiunge che, nel subordinare il pagamento del corrispettivo alla predisposizione della contabilità ed all’accredito del finanziamento, la Corte territoriale non ha tenuto conto per un verso dell’estremo ritardo con cui erano stati redatti gli atti contabili, e per altro verso della spettanza al Comune dell’onere di provare l’epoca dell’accredito.
3. Il ricorso è inammissibile.
In quanto concernenti la prova del credito fatto valere in giudizio, le censure proposte dalla ricorrente non investono la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale, nel rigettare l’impugnazione, ha osservato soltanto ad abundantiam che la riduzione del petitum operata con l’atto di appello non consentiva di dissolvere l’incertezza in ordine alla causale della pretesa azionata, e che dalla documentazione prodotta non emergeva la prova dei lavori eseguiti dalla LESGTS e dell’avveramento della condizione prevista dalla transazione stipulata dalla stessa con il Comune. La Corte territoriale ha infatti rilevato, in via pregiudiziale, il difetto di specificità dell’appello, in quanto non recante argomentazioni idonee a dimostrare che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, nell’atto di citazione fossero stati indicati adeguatamente i criteri adottati per la determinazione della somma dovuta e le opere allegate a sostegno della pretesa, e le prove acquisite in primo grado fossero sufficienti ai fini dell’accoglimento della domanda nell’ an e nel quantum .
Com’è noto, allorché il giudice di appello, dopo aver rilevato l’inammissibilità del gravame, così privandosi della potestas judicandi in ordine alla controversia, abbia comunque esaminato il merito dell’impugnazione, le argo-
mentazioni relative a quest’ultimo aspetto devono considerarsi meramente ipotetiche e virtuali, in quanto ininfluenti ai fini della decisione, con la conseguenza che la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnarle, essendo invece tenuta a censurare soltanto la dichiarazione d’inammissibilità, la quale costituisce la vera ragione della decisione: è quindi ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale, mentre è inammissibile, per difetto di interesse, quella che miri a sollecitare, come nella specie, un sindacato in ordine alla sola motivazione sul merito, la quale viene a configurarsi come un mero obiter dictum , concretamente privo di effetti giuridici (cfr. Cass., Sez. lav., 11/10/2022, n. 29529; Cass., Sez. I, 16/06/ 2020, n. 11675; Cass., Sez. VI, 19/12/2017, n. 30393).
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 22/10/2024