Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10408 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10408 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 16820/2023 proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME, rappresentate e difese da ll’A vv. NOME COGNOME;
-ricorrenti –
contro
Centro di Riferimento oncologico – CRO Aviano IRCSS, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv . NOME COGNOME
-controricorrente- avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Trieste n. 162/2022 pubblicata il 9 febbraio 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
COGNOME NOME, NOME, NOME, NOME, NOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno adito con ricorso monitorio il Tribunale di Pordenone, esponendo che il Centro di Riferimento oncologico – RAGIONE_SOCIALE Aviano RAGIONE_SOCIALE (da ora Centro di Riferimento oncologico) non avrebbe dato esecuzione alla sentenza n. 57/2017 pronunciata
in altra causa, con la quale era stata accertata l’illegittimità del regolamento aziendale in tema di rilevazione dell’orario di lavoro in ordine a riposi e pause, decurtazione dei primi dieci minuti di lavoro eccedenti il dovuto giornaliero e delle eccedenze orari.
Per l’esattezza, controparte avrebbe continuato a operare le decurtazioni in esame.
In seguito all’emissione di decreto ingiuntivo, il Centro di Riferimento Oncologico ha proposto opposizione.
Il Tribunale di Pordenone, nel contraddittorio delle parti, con sentenza del 12 gennaio 2021, ha rigettato l’opposizione.
Il Centro di Riferimento Oncologico ha proposto appello che la Corte d’appello di Trieste, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 162/2022, ha accolto.
COGNOME NOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
Il Centro di Riferimento oncologico si è difeso con controricorso e ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo le ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione di norme di diritto perché la corte territoriale avrebbe errato nell’applicare la norma sulla necessità di provare l’autorizzazione a eseguire lavoro straordinario di cui all’art. 34 CCNL Sanità del 7 aprile 1999 in una fattispecie nella quale non avrebbe dovuto trovare spazio, non avrebbe rispettato gli artt. 2108 e 2126 c.c. e avrebbe ritenuto che la pausa di trenta minuti dovesse essere autorizzata.
Sostengono che lo svolgimento del lavoro in questione sarebbe stato previsto dallo stesso Regolamento dichiarato illegittimo con la sentenza n. 57 del 2017 del Tribunale di Pordenone.
Con il ricorso per decreto ingiuntivo le ricorrenti hanno esposto che parte controricorrente avrebbe continuato ad applicare le clausole ritenute illegittime
e, quindi, a operare le decurtazioni di orario lavorativo, il cui effettivo svolgimento si ricavava dai cartellini – presenze.
Rilevano che la sentenza del Tribunale di Pordenone, pur non avendo valore di giudicato nella presente lite, avrebbe costituito il fondamento della loro domanda e che non avrebbero chiesto il pagamento di lavoro straordinario, ma avrebbero allegato di avere lavorato senza fruire della pausa obbligatoria per tempi aggiuntivi previsti dal Regolamento.
La censura è inammissibile.
In premessa va detto che la decisione impugnata non è criticata nella parte in cui rileva che la pretesa non poteva essere fondata sul giudicato perché la sentenza era stata resa fra altre parti e riguardava l’illegittimità astratta del regolamento aziendale e non le singole posizioni lavorative, non contenendo specifici accertamenti in concreto.
Il ricorso, poi, pur non confutando la pronuncia gravata ove esclude il vincolo del giudicato, insiste sulla ritenuta illegittimità del regolamento aziendale, sul fatto che questo avrebbe autorizzato l’attività in esame e sulla natura non straordinaria, ma aggiuntiva, del lavoro de quo . In questo modo, però, non coglie la ratio decidendi della sentenza contestata, che si fonda, invece, sul carattere straordinario della prestazione della quale è chiesto il pagamento, prescindendo del tutto dalla sentenza n. 57 del 2017 del Tribunale di Pordenone e dal regolamento dichiarato illegittimo.
Inoltre, l’atto di impugnazione non individua le norme di legge o di contratto che il giudice di appello avrebbe violato.
Al riguardo, secondo la giurisprudenza (Cass., SU, n. 18607/2023), il ricorrente ha l’onere di indicare puntualmente, a pena di inammissibilità, le norme asseritamente violate e l’esatto capo della pronunzia impugnata, prospettando altresì le argomentazioni intese a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, siano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie, secondo l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte
soluzioni ( ex multis , Cass., n. 635/2015; Cass., n. 26307/2014; Cass., n. 16038/2013; Cass., n. 22348/2007; Cass., n. 5353/2007; Cass., n. 4178/2007; Cass., n. 828/2007); ove rilevanti, inoltre, vanno indicati anche gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività della violazione, ai fini di consentire alla Suprema Corte la corretta sussunzione del fatto nelle norme che si assumono violate o erroneamente applicate (Cass., n. 16872/2014; Cass., n. 15910/2005).
Il vizio di violazione di legge deve essere dedotto, pertanto, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni, intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo date affermazioni in diritto, contenute nella sentenza impugnata, debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità: pertanto, è inammissibile la denuncia di violazione e falsa applicazione di una serie di articoli, ove essendo la stessa meramente enunciata nella rubrica del motivo, ma non trovando sviluppo argomentativo nel corpo del medesimo (Cass., SU, n. 25392/2019). Il vizio va argomentato mediante valutazione comparativa fra opposte soluzioni, evidenziandosi le ragioni per cui non si condividono quelle esposte nel provvedimento impugnato (Cass., n. 287/2016; Cass., n. 16760/2015; Cass., n. 16038/2013; Cass., n. 3010/2010).
Nella specie, però, il ricorrente non ha assolto all’onere di specificità su di lui gravante.
Con il secondo motivo le ricorrenti contestano l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso e difetto di motivazione nella parte in cui la corte territoriale aveva rigettato la domanda di pagamento per non avere controparte adempiuto alla sentenza n. 57/2017 e per avere continuato a operare le decurtazioni di orario e di retribuzione nei loro confronti.
La censura è inammissibile, in quanto si fonda sempre sulla dichiarazione di illegittimità del Regolamento operata dalla citata sentenza del Tribunale di Pordenone.
Con il terzo motivo le ricorrenti contestano la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 111 Cost. per apparenza della motivazione della sentenza impugnata.
La censura è inammissibile, essendo stata la decisione gravata comunque motivata.
Il ricorso è dichiarato inammissibile.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna le ricorrenti a rifondere le spese di lite, che liquida in € 1.800,00 per compenso professionale e in € 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge e alle spese generali nella misura del 15%;
-ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 5 marzo