Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4732 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4732 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/02/2024
sul ricorso 12514/2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del Legale Rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO COGNOME NOME;
-ricorrente – contro
Regione Abruzzo in persona del Presidente pro tempore, domiciliata ex lege in INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato da cui è difesa per legge;
-controricorrente – nonché da
Regione Abruzzo in persona del Presidente pro tempore, domiciliata ex lege in INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato da cui è difesa per legge;
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Legale Rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO
-controricorrente – avverso la sentenza n. 1699/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 18/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/11/2023 dal cons. NOME COGNOME;
Rilevato che
con sentenza n. 276/2018, il Tribunale di L’Aquila rigettò la domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE per la condanna della Regione Abruzzo al pagamento della somma di 8.617.626,00 euro (oltre accessori e risarcimento dei danni), a titolo di conguaglio dei contributi regionali spettanti all’attrice -per gli esercizi dal 2004 al 2012- quale concessionaria dei servizi di trasporto pubblico locale; in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dalla Regione, il Tribunale condannò l’attrice a restituire alla convenuta somme erogate in eccedenza, ammontanti a 1.489.983,94 euro;
con sentenza n. 1699/2019, la Corte di Appello di L’Aquila ha confermato la decisione di primo grado, salvo ritenere inammissibile la domanda della Regione di restituzione dei contributi erogati in eccesso (che ha comunque accertato nel minor importo di 164.323,00);
ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, la RAGIONE_SOCIALE (che ha provveduto tempestivamente a rinnovare nei confronti dell’Avvocatura Generale dello Stato la notifica del ricorso originariamente indirizzato alla Avvocatura Distrettuale);
un successivo ricorso, affidato a due motivi, è stato proposto dalla Regione Abruzzo;
entrambe le parti hanno resistito, con controricorso, al ricorso avversario;
i ricorsi sono stati avviati alla trattazione in adunanza camerale, ex art. 380-bis.1 c.p.c..
Considerato, quanto al ricorso della RAGIONE_SOCIALE, che:
con il primo motivo, la ricorrente ha denunciato la violazione dell’art. 342 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c., censurando la decisione impugnata nella parte in cui ha dichiarato parzialmente inammissibile l’appello, per difetto di specificità di alcuni motivi;
richiamato e trascritto il contenuto dei primi quattro motivi di appello, la ricorrente sostiene che -col primo motivo- aveva rilevato che « la prospettazione contabile e giuridica della Regione era stata puntualmente contestata dall’azienda di trasporto nella prima memoria ex art. 183 c.p.c.»; che -col secondo motivo- aveva evidenziato «che i fatti ex adverso opposti -integranti eccezione di pagamento, giacché inerenti ad acconti asseritamente versati in eccesso- dovevano essere provati dalla Regione stessa, che invece non aveva assolto a tale onere contrariamente a quanto disposto dall’art. 2697, co. 2 c.c. »; che -col terzo motivo«era stato contestato che il Tribunale si fosse in concreto astenuto da una decisione di diritto, affidandosi a valutazioni probabilistiche ed empiriche nel decidere in pro della Regione»; assume che «le censure in parola -poiché attinenti alla delimitazione del complessivo perimetro di valutazione della questione giuridicanon presupponevano la formale indicazione delle parti del ‘ provvedimento impugnato ‘» e che «nessun vacuo formalismo s’imponeva», in conformità a Cass., S.U. n. 27199/2017; che, quanto al quarto motivo di appello, con cui era stata censurata l’adesione alla metodologia di calcolo sostenuta dalla Regione, la società appellante aveva adeguatamente contestato l’opzione per un criterio non normativamente previsto, sostenendo la necessità -discendente dalla normativa puntualmente richiamata- di determinare i costi standard sulla base dei costi effettivi del trasporto; che, quanto alla scelta del Tribunale di accordare preferenza al criterio della rivalutazione (ai fini dell’adeguamento dei costi), il rilievo sull’asserita carenza dei ‘dati necessari’ « non necessitava di specifica contestazione o, comunque, a tutto concedere, la contestazione era di fatto assorbita in quella principale svolta sulla preferenza accordata ad un metodo di calcolo non conforme alla legge»;
il motivo è infondato, proprio alla luce dei requisiti indicati dalla richiamata Cass., S.U. n. 27199/2017, che, pur escludendo la
necessità di utilizzo di formule sacramentali, richiede all’appellante di affiancare a una ‘pa r te volitiva’ (volta a indicare chiaramente le questioni e i punti contestati) una ‘parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice»: invero, per quanto i motivi di appello individuassero le questioni e i punti sui quali si appuntavano le censure (con ciò risultando soddisfatto il requisito ‘volitivo’ ), difettava, tuttavia, un adeguato sviluppo della parte argomentativa volta alla confutazione delle ragioni addotte dal primo giudice; parte argomentativa che (sulla base degli stralci di appello riprodotti) risulta -invero- alquanto sintetica e formulata in termini prevalentemente assertivi, non sufficienti a connotare l’impugnazione della necessaria specificità;
col secondo motivo , la ricorrente denuncia l’ «omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., ovvero violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4», assumendo che «la decisione impugnata è viziata anche perché carente di qualsiasi cenno all’istanza di rinnovazione della consulenza tecnica proposta dalla difesa di COGNOME nell’atto di appello»;
il motivo è inammissibile: il mancato riscontro alla istanza di rinnovazione della c.t.u. (che, di per sé, non esclude un rigetto implicito) non è deducibile sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo, né è sindacabile alla stregua dell’art. 115 c.p.c. , giacché, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., per tutte, Cass. n. 11892/2016; Cass., S.U. n. 16598/2016, in motivazione; Cass. n. 27000/2016; Cass. S.U. n. 20867/2020), la violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., ricorre solo allorché si deduca che il giudice di merito abbia posto alla base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali (salva la possibilità di ritenere provati i fatti non specificamente contestati e di far ricorso alle nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza);
col terzo motivo, la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 6 L. n. 151/1981 e 56 L.R. n. 62/1983, in relazione alla questione del «monte percorrenze chilometriche da assumere come moltiplicatore di calcolo del costo standard»; premesso che secondo la concessionaria doveva tenersi conto delle percorrenze autorizzate effettivamente svolte anno per anno, mentre per la Regione rilevavano solo quelle ab origine preventivate negli atti concessori, e rilevato che la Corte territoriale aveva ritenuto di valorizzare le percorrenze ‘rientranti nel tetto autorizzato’ (anche alla luce dell’esigenza di assicurare il controllo della finanza pubblica), la ricorrente sostiene che «le percorrenze ‘effettive’ svolte in più da RAGIONE_SOCIALE rispetto a quelle preventivate negli atti concessori, erano autorizzate dalla stessa Regione, spesso a seguito di disposizioni ricevute di volta in volta dallo stesso ente territoriale per soddisfare specifiche esigenze dell’utenza»; aggiunge che «se il concedente le ha autorizzate -o finanche le ha unilateralmente disposte- è evidente che ha previamente valutato la corrispondente provvista a bilancio» e che «da nessuna parte era emerso che il limite di stanziamento delle risorse pubbliche fosse stato sforato»;
il motivo è inammissibile per difetto di specificità, in quanto non evidenzia per quali ragioni e in quali termini risulterebbe integrata la violazione delle norme indicate in rubrica, che viene postulata sulla base di assunti fattuali (circa la preventiva autorizzazione da parte della Regione di percorrenze ulteriori rispetto a quelle previste dagli atti concessori) che non sono scrutinabili in sede di legittimità e che, per di più, sono dedotti senza riferimento a specifiche risultanze documentali (in violazione art. 366, n. 6 c.p.c.), non essendo, peraltro, sufficiente a dimostrare l’avvenuta preventiva autorizzazione il mero dato che la Regione abbia riconosciuto che vi sia stata un’ eccedenza chilometrica;
nel complesso, il ricorso va, pertanto, rigettato.
Considerato, quanto al ricorso della Regione Abruzzo, che:
i due motivi censurano la sentenza nella parte in cui ha ritenuto inammissibile la domanda riconvenzionale della Regione diretta alla restituzione dei contributi erogati in eccedenza nel periodo considerato (che la Corte ha quantificato in 164.323,00 euro);
al riguardo, la sentenza impugnata ha affermato che:
la soc. COGNOME aveva eccepito l’inammissibilità della domanda rilevando che l’art. 49 della L.R. n. 62/1983 stabilisce che, ove l’importo dei contributi erogati risulti eccedere il contributo spettante all’impresa, l’eccedenza viene considerata quale acconto sui contributi per gli anni successivi, salva la facoltà della Giunta Regionale di provvedere al recupero di tale eccedenza; facoltà di cui non risultava che la Giunta si fosse avvalsa;
si trattava di un’eccezione che, «attenendo all’autorizzazione all’azione, ai sensi de l l’art. 182 c.p.c., è proponibile in ogni stato e grado del giudizio ed è rilevabile di ufficio»;
nel caso, non poteva essere «concesso alla Regione un termine per la regolarizzazione della sua posizione processuale, ai sensi dell’art. 182 c.p.c.», in quanto, non essendovi stato rilievo d’ufficio, la Regione era onerata di replicare all’eccezione di controparte «producendo la delibera di Giunta che l’autorizzava a proporre la domanda riconvenzionale di restituzione delle eccedenze»;
da ciò conseguiva che la domanda di restituzione doveva essere dichiarata inammissibile, «fermo l’accertamento del credito della Regione, come sopra quantificato»;
col primo motivo, la Regione denuncia la violazione degli artt. 112, 182 e 183 c.p.c.: assume che la Corte ha erroneamente riferito l’eccezione della soc. COGNOME all’art. 182 c.p.c. e, quindi, alla legitimatio ad processum e sostiene che «non siamo sul piano processuale della autorizzazione a stare in giudizio, bensì su quello sostanziale della sussistenza delle condizioni dell’azione dedotta in giudizio con la domanda riconvenzionale», di talché «l’eccezione, sollevata dall’attuale resistente soltanto con l’atto di appello, doveva
essere considerata tardiva, perché formulata oltre il termine che l’articolo 183 c.p.c. stabilisce ai fini della precisazione del ‘ thema decidendum”;
col secondo motivo , la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 182 cpc, dell’art. 1 della L. Regione Abruzzo n. 9 del 2000 e dell’art. 49 della L. Regione Abruzzo n. 62 del 1983»: premesso che, a norma della L.R. n. 9/2000, la rappresentanza, il patrocinio e l’a ssistenza della Regione Abruzzo sono -di regolaaffidati all’Avvocatura Generale dello Stato e che l’art. 49 della L.R. n. 62/1983 non richiede che la Giunta Regionale eserciti la facoltà di chiedere immediatamente il recupero dell’eccedenza attraverso una deliberazione, assume che la scelta della Regione di optare per il recupero delle eccedenze poteva considerarsi «implicita nella richiesta dell’Avvocatura dello Stato di proporre la domanda riconvenzionale nel giudizio promosso dalla società RAGIONE_SOCIALE e non richiedeva ulteriori esternazioni»;
entrambi i motivi -che possono essere esaminati congiuntamentevanno disattesi, pur dovendosi correggere la motivazione della sentenza impugnata (ex art. 384, ult. co. c.p.c.);
invero:
è corretto il rili evo della Regione secondo cui l’eccezione della RAGIONE_SOCIALE non atteneva al piano processuale, ma concerneva il difetto della condizione sostanziale dell’azione di recupero;
proprio per ché attinente ad una condizione dell’azione , deve ritenersi che quella della soc. RAGIONE_SOCIALE non integrasse un’eccezione in senso stretto, bensì una eccezione in senso lato (se non addirittura una mera difesa) proponibile in qualsiasi momento e non soggetta, quindi, a preclusioni;
nel merito, l’eccezione (o difesa) è fondata, dal momento che la disposizione dell’ultimo comma dell’art. 49 L.R. Abruzzo n. 62/1983, secondo cui l’importo eccedente «è considerato quale acconto sui
contributi degli esercizi successivi», individua una regola rispetto alla quale la facoltà della Giunta di provvedere al recupero costituisce un’eccezione che comporta una specifica attivazione dell’organo regionale; attivazione che deve, quindi, esprimersi in una deliberazione ad hoc , che costituisce il necessario presupposto della domanda giudiziale e che, nel caso, è mancata;
deve conseguentemente ritenersi che correttamente la Corte di appello abbia statuito nel senso della inammissibilità della riconvenzionale, pur dovendosi correggere la motivazione nei termini di cui sopra;
al rigetto di entrambi i ricorsi consegue la compensazione dele spese di lite;
sussistono le condizioni per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta entrambi i ricorsi e compensa le spese di lite.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di entrambe le ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Roma, 15.11.2023