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Spatium adimplendi: non si detrae dalla fase esecutiva

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26311/2024, ha stabilito un principio fondamentale in materia di equa riparazione per irragionevole durata del processo (Legge Pinto). Nel caso di un ritardo nella fase esecutiva, il periodo di grazia concesso all’amministrazione per pagare spontaneamente, noto come spatium adimplendi, non può essere detratto dalla durata del processo esecutivo stesso. Questo perché tale periodo si colloca temporalmente prima dell’avvio dell’azione coattiva. La Corte ha inoltre precisato che per i ritardi nella fase di ottemperanza, il soggetto responsabile è il Ministero dell’Economia.

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Pubblicato il 22 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Spatium Adimplendi: Non Si Sottrae dalla Durata della Fase Esecutiva

L’ordinanza n. 26311/2024 della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale per chiunque si trovi a dover ottenere il pagamento di un indennizzo dallo Stato per l’eccessiva durata di un processo. La Corte chiarisce la corretta interpretazione dello spatium adimplendi, il periodo di grazia concesso all’amministrazione, stabilendo che esso non può essere detratto due volte a danno del creditore. Vediamo nel dettaglio la vicenda e i principi affermati.

I Fatti del Caso

Un gruppo di cittadini, dopo aver ottenuto un indennizzo per l’irragionevole durata di un giudizio amministrativo (primo ricorso “Pinto”), non riceveva il pagamento dovuto. Di conseguenza, erano costretti ad avviare un ulteriore procedimento, un giudizio di ottemperanza, per forzare l’amministrazione a pagare. Anche questa seconda fase, quella esecutiva, si protraeva per un tempo irragionevole (circa 2 anni e 5 mesi).

I cittadini presentavano quindi un nuovo ricorso per equa riparazione (un “Pinto su Pinto”) per il ritardo subito nella fase esecutiva. La Corte d’Appello, pur riconoscendo il ritardo, aveva ridotto l’indennizzo, sottraendo dalla durata totale un periodo di 6 mesi e 5 giorni, identificato come spatium adimplendi. Insoddisfatti, i cittadini ricorrevano in Cassazione, sostenendo che tale detrazione fosse illegittima.

Spatium Adimplendi e la Decisione della Cassazione

Il cuore della questione risiede nella natura dello spatium adimplendi. La legge prevede che, una volta ottenuta una condanna al pagamento di un indennizzo Pinto, il creditore debba attendere sei mesi prima di poter iniziare un’azione esecutiva. Questo periodo serve a dare all’amministrazione il tempo di pagare spontaneamente.

L’errore della Corte d’Appello, secondo la Cassazione, è stato considerare questo periodo come parte della durata ragionevole del processo esecutivo. La Suprema Corte ha chiarito che lo spatium adimplendi è un periodo pre-procedurale. Esso si consuma interamente prima che la fase esecutiva possa legittimamente iniziare. Pertanto, detrarre nuovamente questo lasso di tempo dalla durata del processo esecutivo equivarrebbe a penalizzare ingiustamente il creditore, che si vedrebbe costretto a subire un’attesa di sei mesi senza che questo tempo venga considerato ai fini del calcolo del ritardo indennizzabile.

La Legittimazione Passiva Corretta

L’ordinanza ha colto l’occasione per ribadire un altro importante principio procedurale. Nei casi di ritardo processuale che si articolano in più fasi, è necessario individuare correttamente l’amministrazione responsabile per ciascuna fase.

La Corte ha specificato che:
– Per il ritardo nella fase di cognizione (il processo originario), il responsabile è il Ministero della Giustizia.
– Per il ritardo nella fase di esecuzione tramite giudizio di ottemperanza, il responsabile del pagamento e quindi del ritardo è il Ministero dell’Economia.

Di conseguenza, la Cassazione ha cassato la decisione impugnata e ha rinviato la causa alla Corte d’Appello, ordinando non solo di ricalcolare l’indennizzo senza detrarre lo spatium adimplendi, ma anche di integrare il contraddittorio chiamando in causa il Ministero dell’Economia.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione motiva la sua decisione basandosi su una logica sequenziale e sulla tutela del creditore. Il legislatore ha introdotto lo spatium adimplendi come un termine dilatorio posto a favore dello Stato, differendo l’avvio della procedura coattiva. Questo periodo si colloca necessariamente a monte della fase esecutiva. Una volta trascorso inutilmente, la fase esecutiva inizia e la sua durata deve essere calcolata dal suo effettivo inizio alla sua conclusione. Scomputare nuovamente quei sei mesi dalla durata della procedura esecutiva sarebbe illogico e contrario al principio di equa riparazione, poiché si tratterebbe di una duplicazione del periodo di grazia a totale svantaggio del cittadino. La struttura del processo, che vede una fase di cognizione e una successiva (ed eventuale) di esecuzione, implica che i ritardi debbano essere imputati alle amministrazioni competenti per ciascuna fase, garantendo così che ogni Ministero risponda per le proprie inefficienze.

Le Conclusioni

Questa pronuncia rafforza la tutela dei cittadini nei confronti dell’inerzia della Pubblica Amministrazione. Stabilisce in modo inequivocabile che lo spatium adimplendi non può essere utilizzato per ridurre l’indennizzo dovuto per i ritardi nella fase di pagamento. È un periodo di attesa obbligatorio per il creditore, non un “bonus” di tempo da scontare dalla durata irragionevole della successiva fase esecutiva. La decisione sottolinea inoltre la necessità di una corretta individuazione delle responsabilità all’interno della macchina statale, un passo fondamentale per garantire la piena ed effettiva giustizia.

Lo spatium adimplendi può essere detratto dalla durata della fase esecutiva in un ricorso per Legge Pinto?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che lo spatium adimplendi è un periodo che precede l’avvio dell’azione esecutiva e, pertanto, non può essere scomputato dalla durata di quest’ultima ai fini del calcolo dell’indennizzo.

Perché il creditore sarebbe penalizzato due volte se lo spatium adimplendi venisse detratto?
Perché il creditore deve già attendere obbligatoriamente sei mesi (lo spatium adimplendi) prima di poter iniziare l’esecuzione forzata. Se questo stesso periodo venisse poi sottratto dalla durata del processo esecutivo, il creditore subirebbe un’ulteriore riduzione del risarcimento per un ritardo di cui non è responsabile.

Chi è il Ministero responsabile per i ritardi nella fase di esecuzione (ottemperanza)?
La Corte ha chiarito che, mentre il Ministero della Giustizia è responsabile per i ritardi nella fase di cognizione del processo presupposto, il Ministero dell’Economia è il soggetto legittimato passivo per i ritardi relativi alla fase di ottemperanza (esecuzione del pagamento).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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