Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5487 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 5487 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 01/03/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 5762/2018 R.G. proposto da:
NOME, NOME, NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME elettivamente domiciliati in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato RAGIONE_SOCIALE (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
contro
ricorrenti-
nonchè
STELLA NOME
– intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 4782/2017 depositata il 16/11/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/12/2023 dal Consigliere COGNOME NOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 5 luglio 2012, NOME, NOME e NOME COGNOME convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Pavia NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME per sentire dichiarata aperta la successione di NOME COGNOME, deceduta in data 26 aprile 2012, in forza del testamento olografo del 2.6.2005. Esposero che la de cuius aveva istituito erede il marito, NOME, prevedendo a suo carico l’obbligo morale di riscrivere il testamento, dopo la sua morte, e di istituire eredi essi attori, determinando le rispettive quote.
Poiché il NOME NOME era premorto in data 28.7.2011, i convenuti, costituendosi, eccepirono la nullità della scheda testamentaria, sostenendo che gli attori non fossero stati istituiti eredi in sostituzione del coniuge.
Il Tribunale accolse la domanda.
Pur ritenendo che l’istituzione di erede del marito fosse inefficace in ragione della sua premorienza, emergeva dal testamento la volontà della de cuius di escludere i fratelli dalla successione, beneficiando, invece, i cognati. L’obbligo morale posto in capo al coniuge trovava, invero, la sua ragion d’essere nell’intima convinzione della premorienza della testatrice.
La Corte d’appello di Milano accolse l’appello di NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME NOME, e, per l’effetto, rigettò la domanda.
Premesso che il testatore può disporre del suo patrimonio indicando anche un’altra persona in sostituzione dell’erede istituito, qualora questi non possa o non voglia accettare l’eredità, la Corte ritenne necessario che vi fosse una doppia istituzione di erede, nel senso che gli eredi siano chiamati in ordine successivo. Nel caso di specie, questa condizione non si era verificata in quanto il testamento non indicava in modo puntuale la volontà della testatrice di disporre del patrimonio in favore dei cognati; al contrario, vi era l’istituzione di un erede universale, il marito, con l’imposizione dell’obbligo morale di disporre del patrimonio in favore dei cognati della testatrice.
NOME, NOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
NOME NOME, NOMENOME NOMENOME NOMENOME NOMENOME NOMENOME NOMENOME NOME NOME NOME COGNOME hanno resistito con controricorso.
NOME è rimasto intimato.
Il Sostituto Procuratore della Repubblica in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO ha chiesto il rigetto del ricorso.
In prossimità dell’udienza, i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.5 c.p.c., l’omesso esame dell’eccezione di inammissibilità con riferimento all’atto di citazione in appello promosso dalla difesa di NOME COGNOME, quale procuratore speciale di COGNOME NOME, per violazione dell’art. 342 cpc, in quanto l’atto d’appello non argomenterebbe in paragrafi le censure mosse alla sentenza di primo
grado e non indicherebbe le parti della sentenza censurate. Nel rigettare l’eccezione, la Corte avrebbe considerato non l’atto di appello di NOME COGNOME ma quello degli altri appellanti, nei cui confronti non era stata sollevata alcuna eccezione di inammissibilità.
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 n. 3 cpc in quanto, pur volendosi ammettere che il giudice di seconde cure abbia esaminato l’atto d’appello di COGNOME NOME, la sentenza sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 342 cpc. Detto atto di gravame, si sostiene, sarebbe privo di specificità perché indicherebbe solo genericamente le ragioni del dissenso rispetto alla sentenza impugnata, senza il minimo riferimento alle parti della sentenza non condivise e senza esporre argomentazioni da contrapporre al ragionamento logico-giuridico svolto dal Tribunale.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., l’inammissibilità dell’appello proposto da tutti gli appellanti per inscindibilità delle cause. Secondo i ricorrenti, l’azione sarebbe diretta a far valere un rapporto giuridico sostanzialmente unitario, con la conseguenza che l’eventuale accoglimento dell’eccezione di inammissibilità, ai sensi del 342 cpc, dell’appello di COGNOME NOME comporterebbe la reviviscenza della sentenza di primo grado, stante l’inscindibilità dell’azione.
I motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono inammissibili sotto diversi profili.
Errata è la censura relativa all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che riguarda un ‘fatto storico’ in senso naturalistico e non l’omessa pronuncia in ordine ad un’eccezione di carattere processuale (Cass. Sez. Unite 8053 e 8054/2014).
In proposito, deve darsi continuità al principio di diritto, secondo cui l’omessa pronuncia su un motivo di appello o un’eccezione integra la violazione dell’art.112 c.p.c. e non già l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in quanto il motivo di gravame non costituisce un fatto principale o secondario, bensì la specifica domanda sottesa alla proposizione dell’appello; ne consegue che, ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art.360, , comma 1, n. 5, nel testo riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art.54, conv., con modif., dalla L. n.134 del 2012, il motivo deve essere dichiarato inammissibile (Sez. 6-3, Ord. n. 6835 del 2017).
Il motivo difetta di specificità nella parte in cui deduce la violazione dell’art.342 c.p.c. in quanto, pur trattandosi di una violazione di carattere processuale, il ricorrente avrebbe dovuto riportare nel ricorso i motivi d’appello formulati dalla controparte, deducendo le ragioni per le quali essi avrebbero difettato di specificità. Secondo l’insegnamento di questa Corte, anche laddove vengano denunciati con il ricorso per cassazione errores in procedendo, in relazione ai quali la Corte di cassazione è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, si prospetta preliminare a ogni altra questione quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto. Solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità, quindi, diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di questa ultima valutazione la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali (Cassazione civile, sez. III, 23/03/2017, n. 7406; Cass. 10.1.2012, n.86; Cass. 21.5.2004, n.9734).
Nel caso di specie, i ricorrenti si limitano a censurare l’inammissibilità dell’appello promosso dalla difesa di NOME COGNOME, quale procuratore speciale di COGNOME NOME, per mancanza di specificità – perché non argomenterebbe in paragrafi le censure mosse alla sentenza di primo grado e non farebbe riferimento alle parti della sentenza ritenute errate – senza riportare il contenuto della sentenza di primo grado e l’atto d’appello, in modo d consentire alla Corte di cogliere la carenza di specificità. Tale adempimento si rendeva necessario tanto più che , alla luce dell’orientamento di questa Corte, ai fini della specificità dei motivi d’appello richiesta dall’art.342 c.p.c., l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno del gravame, può sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, non essendo necessaria l’allegazione di profili fattuali e giuridici aggiuntivi, purché ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice (Cass. Sez. Unite, 16/11/2017 n.27199, Cassazione civile sez. II, 28/10/2020, n.23781).
Nel caso di specie, infatti, la Corte d’appello ha recepito l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte, sostenendo che l’appello consentiva di cogliere l ragioni del dissenso relative alla sentenza di primo grado.
Con il quarto motivo di ricorso, si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art 159 cpc e 161 c.p.c.; i ricorrenti deducono che i fratelli COGNOME, nel costituirsi nel giudizio di primo grado e negli atti di citazione in appello, si erano limitati a contestare l’efficacia della scheda testamentaria, senza mai svolgere un’autonoma domanda di
accertamento della loro qualità di eredi nei confronti dei ricorrenti. L’omessa indicazione del petitum comporterebbe la nullità della comparsa di costituzione e tale vizio, non essendo stato sanato, si sarebbe esteso alla sentenza d’appello, che, pur negando la qualità di eredi agli attori, non l’avrebbe riconosciuta ai convenuti. Difettando la sentenza del comando giudiziale, essa risulterebbe affetta da nullità. Il motivo è infondato.
La domanda giudiziale di NOME, NOME e NOME COGNOME aveva ad oggetto la dichiarazione di apertura della successione di NOME COGNOME e la devoluzione dell’eredità sulla base delle disposizioni contenute nel testamento olografo del 2.6.2005. I convenuti, rientranti nella categoria dei successibili, hanno eccepito l’inefficacia del testamento senza svolgere alcuna altra domanda e la Corte d’appello, accertata l’inefficacia del testamento, ha correttamente rigettato la domanda degli attori, senza statuire sulla loro qualità di eredi dei convenuti, in assenza di specifica domanda.
Il contenuto della sentenza era corrispondente alla domanda e determinato nel contenuto.
Con il quinto motivo di ricorso, si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., la violazione dell’art. 457 cc., per non avere la Corte d’appello devoluto l’eredità dando prevalenza alla disposizione testamentaria, con ulteriore violazione degli artt. 1362 e 1367 cc, per inosservanza del principio di interpretazione e conservazione delle disposizioni testamentarie. Nel caso in esame, l’interpretazione del giudice di merito sarebbe in contrasto con le regole in materia di interpretazione del testamento, che consentirebbe anche il ricorso ad elementi estrinseci, pur di dare attuazione alla volontà della testatrice. Nel caso di specie, emergerebbe in modo chiaro la volontà della testatrice di escludere i cognati dall’eredità e,
nell’interpretazione del testamento avrebbe dovuto tenersi conto che si trattava di testamento olografo, redatto da persona priva di preparazione tecnico- giuridica, tale da non per comprendere i limiti e l’operatività della sostituzione ordinaria ex art.688 c.c.
Il motivo è infondato.
Secondo l’insegnamento di questa Corte, nell’interpretazione del testamento il giudice deve accertare, secondo il principio generale di ermeneutica enunciato dall’art.1362 c.c., applicabile, con gli opportuni adattamenti, anche in materia testamentaria, quale sia stata l’effettiva volontà del testatore comunque espressa, considerando congiuntamente, e in modo coordinato, l’elemento letterale e quello logico dell’atto unilaterale mortis causa , salvaguardando il rispetto del principio di conservazione del testamento (Cass. 14.10.2013, n.23278). Soltanto qualora dal testo dell’atto non emerga con certezza l’effettiva intenzione del de cuius e la portata della disposizione, l’interprete può, in via sussidiaria, ricorrere alla valutazione di elementi estrinseci al testamento, seppure sempre riferibili al testatore, quali ad esempio la sua cultura, la mentalità, il suo ambiente di vita, le sue condizioni fisiche (Cass. Civ., Sez. II, 24.4.2018, n.10075).
Si è quindi precisato che (così Cass. 20204/2005) qualora dall’indagine di fatto riservata al giudice di merito risulti già chiara, in base al contenuto dell’atto, la volontà del testatore, non è consentito – alla stregua del primario criterio ermeneutico della letteralità – il ricorso ad elementi tratti “aliunde” ed estranei alla scheda testamentaria.
Ribadito il principio per cui l’accertamento della volontà testamentaria, risolvendosi in una indagine di fatto da parte del
giudice di merito, è insindacabile in sede di legittimità, è evidente l’infondatezza della censura mossa dai ricorrenti.
La scheda testamentaria così riportava le ultime volontà: “Io sottoscritta, COGNOME NOME – nata il DATA_NASCITA a Lozzo Atesino (PD) e residente a Vigevano, INDIRIZZO – nelle mie piene facoltà mentali, nomino mio erede universale mio marito COGNOME NOME. Impongo al mio erede l’obbligo morale di riscrivere testamento con il quale, come da reciproci accordi, tutto il patrimonio venga assegnato, dopo lasua morte, nel modo seguente….’.
Nel testamento erano indicati come beneficiari gli attori, con determinazione delle rispettive quote.
La Corte d’appello ha ritenuto che l’istituzione di erede riguardasse solo il coniuge, con interpretazione plausibile, che ha tenuto conto, in primo luogo del dato letterale, mancando nell’atto una previsione espressa di devoluzione dell’eredità ai cognati.
La de cuius non aveva espressamente istituito eredi i cognati, in forza del meccanismo della sostituzione ex art.688 c.c., ma aveva fatto riferimento all’obbligo morale del marito di ‘ riscrivere il testamento ‘, nel rispetto dei ‘reciproci accordi’.
Nell’interpretare la volontà della testatrice, la Corte di merito si è soffermata sull’appropriatezza del lessico nella parte in cui distingue l’istituzione di erede del coniuge dal suo obbligo morale di beneficiare i cognati nell’esercizio delle sue ultime volontà, ovvero nel ‘riscrivere il testamento’.
Del resto, la volontà del testatore, che deve guidare l’interprete nell’interpretazione del testamento, non può confliggere con le disposizioni di legge in materia di sostituzione ordinaria, che richiede una doppia istituzione di eredità in modo espresso, mentre, nel caso
in esame, la testatrice non ha sostituito i cognati all’erede ma ha disposto che l’erede doveva riscrivere il testamento secondo accordi pregressi accordi intercorsi tra di loro.
La sostituzione deve essere oggetto di un’esplicita disposizione del testatore, il quale provvede ad una designazione in subordine per il caso in cui l’istituito non possa acquistare l’eredità o il legato; in tale ipotesi, è lo stesso testatore ad indicare il criterio di soluzione per il caso in cui il designato alla successione non possa o non voglia succedere, prevalendo sia sulla rappresentazione che sull’accrescimento.
Il caso di specie non è riconducibile all’ipotesi in cui il testatore nomini un erede in via primaria ed un altro erede in via subordinata, realizzando la chiamata in sostituzione una chiamata originaria ed autonoma, che dipende dalla prima designazione solo in termini alternativi, nel senso che essa ha effetto se la prima designazione non si realizza.
A tali principi di diritto si è uniformata la Corte d’appello, che correttamente non ha ravvisato un’ipotesi di sostituzione ordinaria, non avendo la testatrice designato gli eredi nell’ipotesi in cui il coniuge non volesse o non potesse accettare ma obbligandolo moralmente (e non giuridicamente, previsione che esclude una sostituzione fidecommissaria: Cassazione civile sez. II, 15/07/1985, n.4137) a beneficiare i cognati.
La chiara interpretazione letterale del testamento, secondo la plausibile interpretazione del giudice di merito, rende altrettanto plausibilmente ultronea l’indagine in ordine agli elementi estrinseci al testamento, da utilizzare solo in via sussidiaria.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del DPR 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione