Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. L Num. 8006 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 8006 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/03/2025
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 14270-2020 proposto da:
NOME COGNOME, domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
COMUNE DI COGNOME MONZESE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
risarcimento
pubblico impiego
R.G.N. 14270/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 19/02/2025
CC
avverso la sentenza n. 1803/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 03/12/2019 R.G.N. 599/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/02/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE:
1. nell’originario ricorso monitorio NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano azionato la sentenza n. 1602/2017 con cui la Corte d’appello di Milano aveva dichiarato l’illegittimità dei licenziamenti loro intimati dal Comune di Cologno Monzese condannando l’ente in menzione al risarcimento ex art. 18 della legge n. 300/1970 in misura pari alle retribuzioni lorde maturate dal dì del recesso sino a quello del raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia;
il Tribunale di Monza, nell’accogliere l’opposizione del Comune, aveva escluso il diritto all’erogazione delle rivendicate somme lorde, gravando sul datore di lavoro l’obbligo di effettuare le ritenute fiscali e previdenziali stabilite per legge anche per gli importi erogati ex art. 18 legge n. 300/1970, cit.;
contro
la sentenza i lavoratori hanno proposto appello sostenendo che il loro rapporto era cessato per superati limiti di età già molti anni prima della declaratoria di illegittimità del recesso sicché il Tribunale aveva errato nel ritenere il Comune ‘sostituto d’imposta’ , in quanto, per effetto della pregressa cessazione dei rapporti, le obbligazioni fiscali e previdenziali gravano direttamente sui destinatari delle erogazioni, da
pagarsi perciò ‘ al lordo ‘ (per €. 219.395,66 per Rainaldi ed €. 211.097,07 per Zunica) e non ‘ al netto ‘ (per €. 109.324,00 per Rainaldi ed €. 105.185,00 per Zunica);
la Corte d’appello, citando Cass. n. 2407/2019 e altre pronunce in termini, confermava la sentenza del Tribunale affermando che l’obbligo di effettuare le ritenute in questione grava pur sempre sul datore di lavoro che adempia alla condanna in relazione a indennità traenti comunque origine nel rapporto di lavoro, comprese quelle dovute a risoluzione del rapporto per illegittimo comportamento datoriale, e ciò indipendentemente dalla circostanza che il rapporto sia in corso o cessato al tempo della pronuncia di illegittimità del recesso;
contro
tale sentenza propongono ricorso per cassazione i lavoratori con sette motivi, cui si oppone con controricorso (illustrato da memoria) il Comune di Cologno Monzese.
CONSIDERATO CHE:
col primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 19 della legge n. 218/1952 e si afferma che la giurisprudenza di legittimità richiamata nella sentenza impugnata atteneva a situazioni ove il rapporto di lavoro era stato ripristinato una volta annullato il licenziamento, sicché si poteva ritenere persistente il rapporto in capo al lavoratore ed al datore di lavoro il quale ultimo trattiene, quale sostituto di imposta, «il contributo a carico del lavoratore sulla retribuzione corrisposta …alla scadenza del periodo di paga cui il contributo si riferisce»;
con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 17 del t.u.i.r. e si precisa che nella specie si trattava di redditi a tassazione separata, perché erogati in un periodo successivo rispetto a quello normale di retribuzione, la cui imposta era da calcolare dunque in misura diversa rispetto agli altri redditi; se però, con la cessazione del rapporto, il datore di lavoro non riveste più la qualifica di sostituto di imposta, è lo stesso lavoratore che deve determinare l’imposta dovuta e riportare nella dichiarazione le somme percepite e versare l’imposta relativa, nella misura del 20%, a titolo d’acconto;
con il terzo motivo si deduce «vizio di motivazione con riferimento alla problematica enunciata che attiene al calcolo e liquidazione delle somme dovute a rapporto di lavoro cessato e non ad altre questioni» e vizio di «omessa motivazione con riferimento al pagamento delle indennità dovute ai ricorrenti ed al loro importo effettivo»; la Corte d’appello, con motivazione apparente, ‘girava intorno al problema’ senza affrontarlo, e cioè se dopo anni dalla cessazione del rapporto sia ancora individuabile un datore di lavoro e sia ancora presente la figura del sostituto di imposta ancor più a fronte di somme erogate a titolo risarcitorio;
con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione del d.P.R. n. 600 del 1973, articolo 64 comma 1 (recante ‘Sostituto e responsabile d’imposta’); le disposizioni di legge non prevedono la figura del sostituto di imposta a rapporto di lavoro ormai cessato da anni;
con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 51 bis del d.l. n 69 del 2013, conv., con modif., dalla legge n. 98/2013; la citata normativa ha previsto, a decorrere dal 2014, che i soggetti titolari di redditi da lavoro dipendente, in assenza di un sostituto d’imposta, possono adempiere agli obblighi fiscali presentando l’apposita dichiarazione «modello 730» e la relativa scheda ai fini del 5 e 8 per mille; il Comune aveva effettuato pagamenti al Fisco con criteri neanche esaminati in contraddittorio, trattenendo contributi non dovuti in relazione a rapporti di lavoro ormai cessati; la mancata ammissione della c.t.u. contabile, pur richiesta, si traduceva in un vizio di motivazione della sentenza;
con il sesto motivo si denuncia, ai sensi dell’articolo 360 n. 4 e n. 5 cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo, in riferimento alla mancata ammissione della c.t.u. contabile che era indispensabile ed il giudice d’appello era tenuto a disporla, cosa che non aveva fatto senza motivare a riguardo;
con il settimo, ed ultimo, motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 115 cod. proc. civ., in quanto il giudice del merito deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti, il che sta a significare che deve sempre ammettere le prove ammissibili e rilevanti qualora la richiesta sia formulata ai sensi del codice di rito;
il ricorso ruota tutt ‘intorno all’affermazione dell’ erroneo pagamento «delle retribuzioni globali di fatto maturate dalla data del recesso alla data del raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia», siccome corrisposte al lavoratore ‘al
netto’, e non ‘al lordo’ delle ritenute fiscali e previdenziali, sulla base dell’assunto che, essendo il rapporto di lavoro cessato da tempo al momento dell’emissione della sentenza (n. 1602/2017) che dichiarava l’illegittimità del licenziamento, fosse conseguentemente venuta meno, in capo alla parte datoriale, la qualità di ‘sostituto di imposta’;
9. in proposito, questa Sezione ha più volte ribadito il principio secondo cui l’accertamento e la liquidazione dei crediti pecuniari del lavoratore per differenze retributive debbono essere effettuati al lordo delle ritenute fiscali (ex aliis: Cass., Sez. L, 11 febbraio 2011, n. 3375; Cass., Sez. L, 13 settembre 2013, n. 21010); ed ha aggiunto, nel solco di tale impostazione, che «per quanto concerne le ritenute fiscali esse non possono essere detratte dal debito per differenze retributive, giacchè la determinazione di esse attiene non al rapporto civilistico tra datore di lavoro e lavoratore, ma a quello tributario tra contribuente ed erario, e dovranno essere pagate dal lavoratore soltanto dopo che il lavoratore abbia effettivamente percepito il pagamento delle differenze retributive dovutegli» (Cass., Sez. L, n. 18044 del 14 settembre 2015);
altre pronunce di questa Sezione hanno, tuttavia, affermato che «il lavoratore ha diritto a ricevere l’intero importo retributivo che va decurtato delle trattenute fiscali e previdenziali dovute per legge, il cui versamento sia stato effettivamente adempiuto dal datore di lavoro, in qualità di sostituto di imposta» (Cass., Sez. L, n. 30683 del 18 ottobre 2022; Cass., Sez. L, n. 14502 del 28/5/2019), pervenendo a
conclusioni non dissimili rispetto a quelle della Sezione V della Corte di legittimità, laddove, indistintamente, ed anche per tutte le indennità conseguite dal lavoratore a titolo di risarcimento dei danni consistenti nella perdita di redditi, comprese quelle per la risoluzione del rapporto per illegittimo comportamento datoriale, prevede l’assoggettamento a tassazione separata e a ritenuta d’acconto (Cass., Sez. T, nn. 3582/2003, 22803/2006, 10972/2009, 2196/2012, 20482/2013);
10. ciò premesso, si ravvisa dunque l’opportunità che l’esame della questione sopra evidenziata avvenga all’esito di udienza pubblica che, nell’attuale assetto del giudizio di legittimità, costituisce il ‘luogo’ privilegiato nel quale devono essere assunte, in forma di sentenza e mediante più ampia e diretta interlocuzione tra le parti e tra queste e il P.M., le decisioni con peculiare rilievo di diritto (v. Cass. n. 6274/2023; Cass. n. 19115/2017);
P.Q.M.
La Corte: rinvia a nuovo ruolo per la fissazione dell’udienza pubblica. Si comunichi.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19