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Sospensione unilaterale rapporto di lavoro e contributi

Un ente previdenziale ha richiesto il pagamento di contributi insoluti a un ente di formazione fallito, che aveva sospeso i dipendenti dopo la revoca del suo accreditamento. La Cassazione ha stabilito che la sospensione unilaterale del rapporto di lavoro è illegittima se l’azienda non prova un’impossibilità assoluta e non a lei imputabile di ricevere la prestazione lavorativa. La perdita di un accreditamento per colpa dell’azienda rientra nel normale rischio d’impresa e non giustifica la sospensione, mantenendo vivo l’obbligo di versare i contributi.

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Sospensione unilaterale del rapporto di lavoro: Obbligo contributivo anche senza prestazione?

La sospensione unilaterale del rapporto di lavoro da parte del datore è una questione delicata, specialmente quando le difficoltà economiche, come la perdita di un accreditamento, colpiscono l’azienda. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce che tale decisione non esonera automaticamente dall’obbligo di versare i contributi previdenziali. Vediamo nel dettaglio i principi affermati dalla Suprema Corte.

Il caso: revoca dell’accreditamento e sospensione dei lavoratori

Un noto ente di formazione, a seguito della revoca del proprio accreditamento da parte dell’autorità regionale, decideva di sospendere unilateralmente i rapporti di lavoro con i propri dipendenti. Successivamente, l’ente veniva dichiarato fallito. L’ente previdenziale nazionale presentava quindi una domanda di insinuazione al passivo del fallimento per ottenere il pagamento dei contributi non versati durante il periodo di sospensione dei lavoratori.

La decisione del Tribunale

In prima istanza, il Tribunale rigettava la richiesta dell’ente previdenziale. La decisione si basava sulla constatazione che la revoca dell’accreditamento aveva, di fatto, impedito all’ente di formazione di proseguire la sua attività, giustificando così la sospensione dei rapporti di lavoro e, di conseguenza, il mancato versamento dei contributi.

Sospensione unilaterale rapporto di lavoro: i principi della Cassazione

L’ente previdenziale ha impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione, la quale ha ribaltato la pronuncia del Tribunale. La Suprema Corte ha affermato principi di diritto cruciali in materia.

L’onere della prova a carico del datore di lavoro

Il punto centrale della decisione è che il datore di lavoro non può sospendere liberamente il contratto, salvo in casi eccezionali di impossibilità totale o parziale della prestazione lavorativa, come previsto dal Codice Civile. Fondamentalmente, è l’azienda a dover dimostrare che si è verificata una “assoluta impossibilità, a lui non imputabile, di collaborare all’adempimento della prestazione dovuta”. Non basta una semplice difficoltà economica o gestionale.

Il rischio d’impresa e la revoca dell’accreditamento

La Corte ha specificato che eventi riconducibili alla gestione imprenditoriale, come la revoca di un accreditamento, rientrano nel normale rischio d’impresa. Il Tribunale aveva errato nel non verificare se tale revoca fosse dipesa da un comportamento negligente o da irregolarità gestionali dell’ente stesso. Se la perdita dell’accreditamento è imputabile all’azienda, non può essere usata come scudo per sottrarsi agli obblighi retributivi e contributivi. Una sospensione basata su una causa imputabile all’imprenditore è illegittima.

Le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sul principio che, a fronte di una sospensione illegittima, il rapporto di lavoro non viene interrotto. Il dipendente conserva il diritto alla retribuzione, anche se non ha materialmente lavorato, perché la mancata prestazione è dovuta a una scelta del datore di lavoro. Di conseguenza, se la retribuzione è dovuta, lo è anche la relativa obbligazione contributiva. L’obbligo di versare i contributi è strettamente legato all’esistenza di un rapporto di lavoro e alla spettanza della retribuzione, non all’effettivo svolgimento dell’attività lavorativa.

Le conclusioni

La Cassazione ha accolto il ricorso, cassando il decreto del Tribunale e rinviando la causa a quest’ultimo, in diversa composizione, per una nuova valutazione. Il giudice del rinvio dovrà accertare se l’impossibilità di ricevere la prestazione dei lavoratori fosse o meno imputabile a colpe gestionali dell’ente di formazione. Questa ordinanza rafforza la tutela dei lavoratori e riafferma che il rischio d’impresa, comprese le conseguenze di una cattiva gestione, non può essere scaricato sui dipendenti né sull’ente previdenziale attraverso la sospensione degli obblighi retributivi e contributivi.

Un datore di lavoro può sospendere unilateralmente i contratti dei dipendenti se perde un’importante commessa o accreditamento?
No, non automaticamente. Secondo la Corte, il datore di lavoro può farlo solo se dimostra che la perdita ha creato un’impossibilità assoluta di ricevere la prestazione lavorativa e che tale impossibilità non è a lui imputabile, ad esempio per negligenza o irregolarità nella gestione.

In caso di sospensione unilaterale del rapporto di lavoro illegittima, il datore di lavoro deve versare i contributi previdenziali?
Sì. Se la sospensione è illegittima, il lavoratore conserva il diritto alla retribuzione. Poiché l’obbligo contributivo è legato alla retribuzione dovuta, anche i contributi devono essere versati, indipendentemente dal fatto che il dipendente abbia effettivamente lavorato.

A chi spetta dimostrare che la sospensione del rapporto di lavoro era giustificata da un’impossibilità oggettiva?
L’onere della prova spetta interamente al datore di lavoro. È l’azienda che deve provare in giudizio la sussistenza di un’ipotesi di impossibilità della prestazione lavorativa totale o parziale, assoluta e non imputabile a sua colpa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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