Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8162 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8162 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12071/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 1084/2018, depositata il 6/03/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
PREMESSO CHE
Con ricorso del 7 febbraio 2000, NOME COGNOME proponeva denunzia di nuova opera nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, deducendo che la società stava per costruire un fabbricato che, in base alla concessione edilizia, avrebbe leso i suoi diritti di veduta, limitando anche la servitù di passaggio in favore del suo fondo; la ricorrente, quindi, chiedeva la sospensione dei lavori con condanna di MA.PE ad arretrare l’erigenda costruzione. Il Tribunale di Nola, ritenuti esistenti i requisiti del fumus bonis iuris e del periculum in mora , sospendeva l’esecuzione dei lavori e fissava il termine per l’inizio del giudizio di merito, che era iniziato da NOME, costituendosi, proponeva domanda riconvenzionale volta a ottenere l’eliminazione delle vedute dal fondo COGNOME, in quanto poste a distanza illegale, e il risarcimento dei danni derivati dalla sospensione dei lavori. Nel corso del processo NOME rinunciava alla concessione edilizia e ne chiedeva e otteneva una nuova.
Con la sentenza n. 63/2011 il Tribunale di Nola accertava che la costruzione che la società convenuta aveva inteso realizzare non violava la disciplina in materia di distanze legali; accoglieva la domanda riconvenzionale di COGNOME volta all’accertamento della illegittimità delle vedute esercitate da NOME e condannava NOME alla eliminazione delle medesime e al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, causati dall’esecuzione del provvedimento di sospensione dei lavori.
La sentenza è stata impugnata da COGNOME, con atto articolato in cinque motivi. La Corte d’appello di Napoli -con la sentenza 6 marzo 2018, n. 1084 -ha rigettato il gravame con l’eccezione del quinto motivo, che censurava la condanna al risarcimento dei danni. Ad avviso della Corte d’appello, considerato
che il provvedimento giudiziario di sospensione dei lavori (del 14 marzo 2000) era stato successivo al provvedimento amministrativo emesso dal Comune (del 25 gennaio 2000) e che d’altro canto COGNOME, quando venne a conoscenza del rilascio della nuova concessione edilizia in favore di RAGIONE_SOCIALE, aveva chiesto nel corso del giudizio la cessazione della materia del contendere, nessun addebito per la mancata prosecuzione dei lavori poteva essere imputato a COGNOME e la domanda di condanna generica al risarcimento dei danni causati a NOME dalla sospensione lavori andava quindi rigettata.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione RAGIONE_SOCIALE Resiste con controricorso NOME COGNOME.
Memoria è stata depositata dalla controricorrente e dalla ricorrente.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in tre motivi.
Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio: la Corte d’appello ha obliterato l’esame di elementi che l’avrebbero portata a decidere diversamente. Tra gli elementi non considerati vi è il fatto che la sospensione amministrativa era stata determinata da un esposto-diffida di COGNOME; la circostanza che la medesima ha posto in essere una ‘strenua, continua, ininterrotta opposizione’ alla prosecuzione dei lavori, compresi quelli collegati alla nuova concessione edilizia; il fatto che la precedente concessione era come ha affermato il Tribunale ed è stato confermato in appello pienamente legittima e non ledeva affatto né la servitù di passaggio né gli asseriti diritti di luce e veduta; la circostanza che si è verificato un incidente di esecuzione in quanto, iniziati i lavori di cui alla nuova concessione edilizia, COGNOME notificò un’istanza per procedere all’esecuzione forzata dell’ordinanza di sospensione dei lavori, a fronte della quale la ricorrente fu costretta a
depositare istanza di revoca della medesima ordinanza di sospensione dei lavori. In conclusione, la condotta processuale di NOME era andata ben oltre la legittima difesa a tutela del proprio diritto, ma si era concretizzata in un ‘accanimento ai limiti dell’abuso del diritto’.
Il secondo motivo contesta violazione e falsa applicazione dell’art. 1171 c.c. per avere la Corte d’appello rigettato la domanda risarcitoria generica di MA.PE, sull’asserito errato presupposto che ‘nessun addebito per la mancata prosecuzione dei lavori potesse imputarsi alla COGNOME‘; l’art. 1171 c.c. prevede un risarcimento collegato alla sospensione dell’opera che, nel proseguo di merito, si sia rivelata infondata ed ingiusta, il che è avvenuto nel caso in esame, ove la Corte d’appello ha confermato la decisione di primo grado in relazione all’accertamento che la costruzione erigenda non violava la disciplina in materia di distanze.
Il terzo motivo denuncia ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 88 e 91 c.p.c., nonché violazione ed errata applicazione delle tariffe professionali e/o dei parametri in relazione alla conclusione del singolo grado di giudizio, in specie gli artt. 1 e 4 della tariffa vigente per il giudizio di primo grado di cui al d.m. 127/2004’: la compensazione di un terzo delle spese e dei compensi è stata conseguenza del parziale accoglimento dell’appello; la parziale compensazione è stata errata in quanto la sentenza di primo grado andava totalmente confermata, in quanto la corretta applicazione del principio di causalità imponeva una soccombenza totale di COGNOME; in ogni caso, la pronuncia della Corte territoriale non ha considerato che il valore della controversia era di euro 100.000, così che i diritti e gli onorari, che andavano distinti per i due gradi di giudizio, dovevano avere una liquidazione congrua e non inferiore ai minimi; pertanto, la Corte avrebbe dovuto liquidare per il secondo grado importi di gran lunga superiori a quelli liquidati.
Il primo motivo è fondato.
La Corte d’appello ha riformato il capo della sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda di condanna generica al risarcimento del danno causato dalla sospensione dei lavori considerando due circostanze: il fatto che alla data di concessione del provvedimento giudiziario di sospensione dei lavori i medesimi risultassero già sospesi dal provvedimento amministrativo del Comune e il fatto che COGNOME, venuta a conoscenza del rilascio della nuova concessione edilizia, avesse chiesto la cessazione della materia del contendere. Da queste due circostanze, afferma la Corte, consegue la mancata imputabilità a NOME della sospensione dei lavori. La Corte non ha però considerato le ulteriori circostanze pure evidenziate dalla ricorrente, circostanze che sono state dedotte nei giudizi di merito (v. il ricorso alle pagg. 9 e ss. e poi a pag. 15), tra cui l’opposizione della originaria attrice alla ripresa dei lavori, la proposizione di un ricorso per ottenere l’esecuzione forzata dell’ordinanza di sospensione dei lavori, il suo ruolo nella vicenda amministrativa (di autrice dell’esposto) e la accertata legittimità della prima concessione edilizia.
Si rende necessario un nuovo esame di tali fatti.
La fondatezza del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo e del terzo motivo del ricorso.
II. La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione al motivo accolto e la causa deve essere rinviata alla Corte d’appello di Napoli, che riesaminerà la fondatezza della domanda di condanna generica al risarcimento dei danni causati dalla sospensione dei lavori alla luce delle ulteriori circostanze dedotte nei giudizi di merito e nel motivo del ricorso per cassazione, tenendo presente che la responsabilità derivante dall’esecuzione di una misura cautelare, ove venga successivamente accertata l’inesistenza del diritto a tutela della quale essa è stata richiesta ed eseguita, dà luogo, a carico del procedente, a responsabilità ai sensi dell’art. 96, comma secondo c.p.c., per la cui configurabilità è
sufficiente che il suddetto procedente abbia agito senza la normale prudenza (cfr., in relazione all’esecuzione di un sequestro conservativo, Cass. n. 12177/2000).
Il giudice di rinvio provvederà anche in relazione alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione