Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1384 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1384 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14127/2018 R.G . proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COMUNE DI COGNOME , domiciliato ex lege in Roma, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonché contro
AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI SALERNO ,
elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonché contro
COGNOME NOME COGNOME NOME
-intimati- avverso la sentenza della Corte d’appello di Salerno n. 311/2017 depositata il 4.4.2017.
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26.10.2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione notificato il 20.3.2006, la società RAGIONE_SOCIALE ( breviter: RAGIONE_SOCIALE) ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Salerno la Provincia di Salerno, il Comune di Bellizzi, l’arch. NOME COGNOME e l’ing.NOME COGNOME esponendo di aver stipulato, in seguito a licitazione privata, un contratto di appalto con la Provincia di Salerno ( breviter: Provincia) per la realizzazione di un polo sperimentale presso il Comune di Bellizzi; che i lavori dovevano essere completati entro un anno dalla consegna, avvenuta il 20.10.2003; che tuttavia in data 3.11.2003 essa aveva comunicato alla direttrice dei lavori ing. COGNOME e alla responsabile del procedimento, arch.COGNOME l’impossibilità di proseguire l’opera per la presenza di un manufatto erroneamente rappresentato in mappa; che la direttrice dei lavori aveva disposto la sospensione;
di aver ricevuto l’ordine di ripresa dei lavori sei mesi dopo; di aver manifestato la volontà di risolvere il contratto se non le fosse stato riconosciuto il diritto al rimborso dei maggiori costi derivanti dal prolungamento della sospensione oltre i termini di legge ai sensi dell’art. 24, comma 4, del d.m. 145/2000; che in data 4.7.2005 la Provincia aveva disposto la rescissione del contratto.
L’attrice ha chiesto l’annullamento della risoluzione disposta dalla Provincia, l’accertamento della risoluzione per esclusiva responsabilità della Provincia; la condanna dei convenuti, anche in solido, al risarcimento dei danni, quantificati in € 120.000,00; la condanna della Provincia o degli altri convenuti al pagamento dei lavori già effettuati e dei materiali utili depositati in cantiere; l’accertamento che la risoluzione doveva avvenire ai sensi dell’art. 24, comma 4, del d.m. 145/2000; la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni, lo svincolo della prestata polizza fideiussoria.
Si è costituita in giudizio la Provincia, chiedendo il rigetto delle domande attoree e in subordine l’accertamento della esclusiva responsabilità del Comune di Bellizzi.
Si è costituita in giudizio l’arch.COGNOME eccependo preliminarmente il proprio difetto di legittimazione passiva e in subordine chiedendo il rigetto delle domande.
Si è costituito in giudizio il Comune di Bellizzi, eccependo preliminarmente il proprio difetto di legittimazione passiva e chiedendo il rigetto delle domande, proponendo altresì domanda riconvenzionale per il risarcimento dei danni subiti.
L’ing.NOME COGNOME è rimasta contumace.
Con sentenza n.513 del 3.3.2009 il Tribunale di Salerno ha respinto la domanda della RAGIONE_SOCIALE condannandola al pagamento delle spese a favore delle parti costituite.
Avverso la predetta sentenza di primo grado ha proposto appello la RAGIONE_SOCIALE a cui hanno resistito gli appellati Provincia e
Comune, che hanno proposto appello incidentale condizionato, nonché l’arch.COGNOME che ha rilevato il passaggio in giudicato della decisione di primo grado nei suoi confronti.
La Corte di appello di Salerno con sentenza del 4.4.2017 ha respinto il gravame, con la condanna dell’appellante alla rifusione delle spese delle controparti.
La Corte di appello: a) ha rilevato che la pronuncia di primo grado non era stata impugnata con specifico motivo quanto al difetto di passiva legittimazione dell’arch.COGNOME e del Comune di Bellizzi, con il conseguente passaggio in giudicato sul punto; b) ha affermato che le cause che avevano determinato la sospensione dei lavori (presenza di lastre in cemento armato e imprevista e imprevedibile friabilità del terreno in fondazione non riscontrata in seguito alle prove penetrometriche, come emergeva da non contestata relazione di sopralluogo) rientravano nella previsione dell’art.133, comma 1, del d.p.r. 554/1999; c) ha osservato che la sospensione era stata disposta in relazione a detta norma e non per la diversa ipotesi di cui all’art.24 d.m. 145/2000; d) ha affermato che la maggior onerosità delle materie prime lamentata dall’impresa non era imputabile alla stazione appaltante; e) ha aggiunto che l’impresa aveva preso preventivamente visione dell’appalto e dello stato dei luoghi e studiato il progetto ritenuto adeguato e realizzabile, previo sopralluogo; f) ha osservato che l’impresa non aveva iscritto riserva per contestare l’errore progettuale; g) ha ritenuto legittima la risoluzione disposta dalla Provincia in data 25.9.2003 in seguito alla mancata ripresa dei lavori.
Avverso la predetta sentenza, non notificata, con atto notificato il 3.5.2018 ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, svolgendo cinque motivi.
Con atto notificato il 6.6.2018 ha proposto controricorso la Provincia di Salerno, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.
Con atto notificato il 11.6.2018 ha proposto controricorso il Comune di Bellizzi, ribadendo il proprio difetto di legittimazione passiva.
Le intimate arch.COGNOME e ing.COGNOME non si sono costituite in sede di legittimità.
Le parti hanno presentato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art.360, n.3 e n.5, cod.proc.civ., la ricorrente RAGIONE_SOCIALE denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt.27, 35, 37, 133 del d.p.r. 554 del 1999 e degli artt.24 e 25 del d.m. 145 del 2000, nonché omessa o insufficiente motivazione su di un fatto controverso decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, nonché, ancora, omessa individuazione degli elementi integranti l’errore o l’omissione progettuale.
In particolare, la ricorrente lamenta che la eccessiva friabilità dei terreni di fondazione, asseritamente risultante dal verbale di sopralluogo del 10.11.2003, sia stata ricondotta alla fattispecie di cui al comma 1 dell’art.133 del d.p.r. 554 del 1999 e non già a quella del comma 2, come si sarebbe a suo parere dovuto.
Tale evenienza infatti, secondo la ricorrente, ricadeva in quanto previsto dall’art. 25 della legge n.109 del 1994, lettera d), ossia in un errore o in una omissione del progetto esecutivo pregiudicante la realizzazione dell’opera, che non costituiva fatto imprevisto e imprevedibile e che avrebbe dovuto emergere dalle prove e dalle previste relazioni geologica, geotecnica e idrologica.
Il riferimento operato dalla ricorrente al mezzo di cui all’art.360, comma 1, n.5, cod.proc.civ., che configura allo stato l’unico vizio motivazionale denunciabile per cassazione (omesso esame di fatto decisivo discusso tra le parti), ridotto al c.d. «minimo
costituzionale», non trova ulteriore esplicazione in parte argomentativa e comunque non individua alcun fatto storico decisivo discusso inter partes e non esaminato dalla Corte di appello.
Inoltre la ricorrente denuncia con formula superata normativamente una motivazione « insufficiente ».
In ogni caso (vedi infra ) la denuncia del vizio motivazionale non è consentita dalla presenza di una doppia pronuncia conforme dei giudici del merito in ordine alle medesime questioni di fatto ex art.348 ter , comma 5, cod.proc.civ.
La ricorrente deduce inoltre una falsa applicazione di legge per l’avvenuta sussunzione della rilevata friabilità del terreno di fondazione, ritenuta erronea.
Secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente l’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle
risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (Sez. 1, n. 640 del 14.1.2019; Sez. 1, n. 3340 del 5.2.2019; Sez. 3, n. 7187 del 4.3.2022).
8. L’articolo 133 del d.p.r. 21.12.1999 n.554, recante il Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici 11.2.1994, n. 109 e successive modificazioni in tema di « Sospensione e ripresa dei lavori » nel primo comma disponeva: « Qualora circostanze speciali impediscano in via temporanea che i lavori procedano utilmente a regola d’arte, il direttore dei lavori ne ordina la sospensione, indicando le ragioni e l’imputabilità anche con riferimento alle risultanze del verbale di consegna .»
Il successivo comma 2, aggiungeva « Fuori dei casi previsti dal comma 1 il responsabile del procedimento può, per ragioni di pubblico interesse o necessità, ordinare la sospensione dei lavori nei limiti e con gli effetti previsti dal capitolato generale. »
Nel comma 3 era poi previsto che il direttore dei lavori, con l’intervento dell’appaltatore o di un suo legale rappresentante, compilasse il verbale di sospensione, indicando le ragioni che avevano determinato l’interruzione dei lavori e che tale verbale dovesse essere inoltrato al responsabile del procedimento entro cinque giorni dalla data della sua redazione.
L’art.25 della legge quadro dei lavori pubblici dell’11.2.1994 n.109 (c.d. legge «Merloni»), allora vigente in tema di « Varianti in corso d’opera » disponeva che le varianti in corso d’opera potessero essere ammesse, sentiti il progettista ed il direttore dei lavori, esclusivamente per uno dei seguenti motivi:
« a) per esigenze derivanti da sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari;
per cause impreviste e imprevedibili accertate nei modi stabiliti dal regolamento di cui all’art. 3, o per l’intervenuta possibilità di utilizzare materiali, componenti e tecnologie non esistenti al momento della progettazione che possono determinare, senza aumento di costo, significativi miglioramenti nella qualità dell’opera o di sue parti e sempre che non alterino l’impostazione progettuale; b-bis) per la presenza di eventi inerenti la natura e specificità dei beni sui quali si interviene verificatisi in corso d’opera, o di rinvenimenti imprevisti o non prevedibili nella fase progettuale;
nei casi previsti dall’art. 1664, secondo comma, del codice civile; d) per il manifestarsi di errori o di omissioni del progetto esecutivo che pregiudicano, in tutto o in parte, la realizzazione dell’opera ovvero la sua utilizzazione; in tal caso il responsabile del procedimento ne dà immediatamente comunicazione all’Osservatorio e al progettista .»
In buona sostanza, la ricorrente sostiene che la scoperta postuma in fase iniziale dei lavori dell’eccessiva friabilità del terreno fondativo presupponeva a monte un errore progettuale, e rientrava quindi nella lettera d) del predetto art.25, ma non nella lettera b), prima parte, sicché doveva trovare applicazione il comma 2 e non il comma 1 dell’art.133 del regolamento attuativo del 1999.
Tuttavia i giudici del merito hanno ritenuto, fra l’altro in modo conforme, con la conseguente preclusione della denuncia di vizio motivazionale ex art.348 ter , comma 5, cod.proc.civ., che nel caso concreto si fosse verificata una sorpresa geologica per il rilievo, non previsto e non prevedibile, della rammentata friabilità eccessiva del terreno.
La ricorrente, quindi, lungi dal denunciare un vizio sussuntivo della fattispecie nella norma, in realtà contesta l’accertamento di fatto sotteso all’applicazione della regula juris .
Si deve quindi rammentare che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici e delle risultanze istruttorie operata dal giudice di merito (Sez. U, n. 34476 del 27.12.2019; Sez. 6 – 5, n. 29404 del 7.12 .2017; Sez. 5, n. 19547 del 4.8.2017; Sez. 1, n. 5987 del 4.3.2021).
Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art.360, n.3, n.4 e n.5, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 115 e 116 cod.proc.civ. nonché omessa valutazione delle risultanze istruttorie di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, erronea e contraddittoria motivazione sul rigetto della richiesta di c.t.u. ai fini della decisione, specificare ritualità, contenuto e finalità quindi della forma e sostanza finalizzata alla decisività ( sic, testualmente), nullità per omessa pronuncia sulla prevalenza del verbale di sopralluogo notificato a mezzo fax.
Il motivo presenta plurimi vizi comportanti inammissibilità: mescolanza indistricabile di motivi diversi e disomogenei, vizio di motivazione dedotto con riferimento al testo previgente dell’art. 360, n. 5 c.p.c., richiesta di valutazioni di puro merito, difetto di autosufficienza circa il momento ed il luogo di produzione delle «due versioni» del verbale di sopralluogo
In primo luogo con la censura la ricorrente mescola inammissibilmente in modo inestricabile mezzi eterogenei, riconducibili al vizio di violazione di legge, all’ error in procedendo e al vizio motivazionale ( ut supra, precluso)
La ricorrente si duole, nella sostanza, del fatto che agli atti vi sarebbero due diverse versioni del verbale di sopralluogo del 10.11.2003 prot. 16523 a firma ing.NOME COGNOME, clamorosamente differenti nel punto 2, e di pari valenza probatoria pubblicistica, in quanto l’una trasmessa dal telefax del Comune di Bellizzi (la 1) e l’altra (la 2) protocollata dal Comune di Salerno, mai trasmessa all’impresa.
Solo nella prima versione si parlerebbe della rilevata presenza di un fabbricato di civile abitazione non rappresentato in mappa, realizzato prima del 1970, mentre nella seconda si faceva riferimento alla eccessiva friabilità del terreno.
Al di là della formulazione del motivo, appena stigmatizzata, la censura pecca di autosufficienza per la totale assenza di riferimenti a) alla localizzazione in atti dei due documenti citati; b) al momento e alle modalità della loro produzione in giudizio; c) al momento e alle modalità della discussione giudiziale di tale asserito contrasto, che se esistente, ben avrebbe legittimato la proposizione di una querela di falso.
In particolare -e decisivamente -la parte ricorrente non fornisce alcuna indicazione della collocazione e della produzione della c.d. «versione 1», che inficerebbe il testo considerato in motivazione dalla Corte territoriale.
Solo per completezza appare opportuno aggiungere che il giudizio sulla necessità e utilità di disporre una consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la cui decisione è, di regola, incensurabile in Cassazione, tanto più allorché il giudice disponga di elementi istruttori e di cognizioni proprie, integrati da presunzioni e da nozioni di comune esperienza, sufficienti a dar conto della soluzione adottata, purché motivi il mancato accoglimento dell’istanza ( Sez. 3, n. 11143 del 16.7.2003; Sez. 1, n. 16980 del 25.7.2006; Sez. L, n. 37027 del 16.12.2022 ). Nella specie, la Corte d’appello ha motivato, al
riguardo, avendo ritenuto che gli elementi addotti a sostegno dell’istanza – non avendo carattere tecnico – dovessero « trovare riscontro sulla base del contenuto degli atti del rapporto contrattuale ».
Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art.360, n.3 e n.5, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art.31 del d.m. 145 del 2000 e manifesta contraddittorietà della motivazione con omessa valutazione di fatto decisivo.
Poiché la riserva deve essere iscritta nel primo atto successivo a quello dell’insorgenza del fatto , e il fatto sorge con la sospensione dei lavori, non sarebbe dato comprendere ove la ricorrente avrebbe dovuto iscrivere la propria riserva.
Inoltre poiché il fatto lamentato era la protrazione ultra-semestrale, certamente la ricorrente non avrebbe potuto iscrivere la riserva prima del decorso dei sei mesi.
Infine il verbale di sospensione non recava alcuna menzione della specifica ragione della sospensione dei lavori, mentre il verbale di sopralluogo non era mai stato sottoscritto dall’appaltatore.
Il motivo è inammissibile, sia per la ridetta contaminazione fra mezzi di ricorso eterogenei, sia per la deduzione, non meglio esplicitata e comunque preclusa ex art.348ter , comma 5, cod.proc.civ., di omesso esame di fatto decisivo.
In ogni caso l’art.31, comma 2, del d.m. 145/2000 disponeva che « Le riserve devono essere iscritte a pena di decadenza sul primo atto dell’appalto idoneo a riceverle, successivo all’insorgenza o alla cessazione del fatto che ha determinato il pregiudizio dell’appaltatore. In ogni caso, sempre a pena di decadenza, le riserve devono essere iscritte anche nel registro di contabilità all’atto della firma immediatamente successiva al verificarsi o al cessare del fatto pregiudizievole. Le riserve non espressamente confermate sul conto finale si intendono abbandonate .»
La ricorrente si contraddice rispetto al motivo precedente, con cui aveva assunto il carattere immediatamente pregiudizievole della sospensione, non legittimata dal rilievo della eccessiva friabilità del terreno di fondazione.
Ora, invece, sembra sostenere che la sospensione, originariamente legittima, sarebbe divenuta illegittima perché protratta oltre i sei mesi, cosa questa che giustificherebbe la mancata iscrizione della riserva al momento della sospensione disposta il 10.11.2013.
Se fosse stato vero che la sospensione dei lavori era dovuta al fatto dell’amministrazione appaltante, che non aveva erroneamente rilevato, nel progetto definitivo, la friabilità del terreno, la sospensione era illegittima ab origine , per cui la riserva avrebbe dovuto essere iscritta già nel verbale di sospensione.
In tema di appalto di opere pubbliche, ai fini della tempestività dell’iscrizione di riserva avente a oggetto la contestazione dell’ordine di sospensione dei lavori e della richiesta di risarcimento dei conseguenti danni, si deve distinguere l’ipotesi in cui l’illegittimità della sospensione sia originaria, nel qual caso l’appaltatore deve inserire la riserva nello stesso verbale di sospensione, da quella in cui l’illegittimità emerga in un momento successivo, sia perché originariamente legittima, diventi solo successivamente illegittima, sia perché l’idoneità della stessa a produrre pregiudizio emerga in epoca successiva alla sua adozione, nel qual caso l’appaltatore può apporre la riserva anche nel verbale di ripresa dei lavori (Sez. 1, n. 113 del 4.1.2022).
Il riferimento all’art.24 del d.m. 145/2000 non coglie comunque il segno.
La predetta norma dispone:
« 1. E’ ammessa la sospensione dei lavori, ordinata dal direttore dei lavori, ai sensi dell’art. 133, comma 1, del regolamento nei casi di avverse condizioni climatiche, di forza maggiore, o di altre circostanze speciali che impediscono la esecuzione o la
realizzazione a regola d’arte dei lavori stessi; tra le circostanze speciali rientrano le situazioni che determinano la necessità di procedere alla redazione di una variante in corso d’opera nei casi previsti dall’art. 25, comma 1, lettere a ), b ), b- bis ) e c ) della legge, queste ultime due qualora dipendano da fatti non prevedibili al momento della conclusione del contratto.
La sospensione disposta ai sensi del comma 1 permane per il tempo necessario a far cessare le cause che hanno comportato la interruzione dell’esecuzione dell’appalto. Nel caso di sospensione dovuta alla redazione di perizia di variante, il tempo deve essere adeguato alla complessità ed importanza delle modifiche da introdurre al progetto.
L’appaltatore che ritenga cessate le cause che hanno determinato la sospensione temporanea dei lavori ai sensi dei commi 1 e 2, senza che la stazione appaltante abbia disposto la ripresa dei lavori stessi, può diffidare per iscritto il responsabile del procedimento a dare le necessarie disposizioni al direttore dei lavori perché provveda a quanto necessario alla ripresa. La diffida ai sensi del presente comma è condizione necessaria per poter iscrivere riserva all’atto della ripresa dei lavori, qualora l’appaltatore intenda far valere l’illegittima maggiore durata della sospensione.
Nei casi previsti dall’art. 133, comma 2, del regolamento, il responsabile del procedimento determina il momento in cui sono venute meno le ragioni di pubblico interesse o di necessità che lo hanno indotto a sospendere i lavori. Qualora la sospensione, o le sospensioni se più di una, durino per un periodo di tempo superiore ad un quarto della durata complessiva prevista per l’esecuzione dei lavori stessi, o comunque quando superino sei mesi complessivi, l’appaltatore può richiedere lo scioglimento del contratto senza indennità, se la stazione appaltante si oppone allo scioglimento,
l’appaltatore ha diritto alla rifusione dei maggiori oneri derivanti dal prolungamento della sospensione oltre i termini suddetti.
Salvo quanto previsto dall’ultimo periodo del comma precedente, per la sospensione dei lavori, qualunque sia la causa, non spetta all’appaltatore alcun compenso o indennizzo.
In ogni caso, e salvo che la sospensione non sia dovuta a cause attribuibili all’appaltatore, la sua durata non è calcolata nel tempo fissato dal contratto per l’esecuzione dei lavori.
Alla sospensione parziale dei lavori ai sensi dell’art. 133, comma 7, del regolamento, si applicano i commi 1, 2 e 5; essa determina altresì il differimento dei termini contrattuali pari ad un numero di giorni determinato dal prodotto dei giorni di sospensione per il rapporto tra ammontare dei lavori non eseguiti per effetto della sospensione parziale e l’importo totale dei lavori previsto nello stesso periodo secondo il programma dei lavori redatto dall’impresa. »
È del tutto evidente la ragione per cui la Corte di appello non ha ritenuto applicabile l’invocato art.24, comma 4, che presuppone infatti che la sospensione sia riconducibile al comma 2, dell’art.133 del d.p.r. 554/1999 (sospensione volontaria), e non al primo comma della stessa norma, e cioè alla sospensione per circostanze speciali comportanti la necessità di variante in corso d’opera.
Ad ogni buon conto, l’art. 24 d.m. 145/2000, quarto comma, è fuori campo e non può essere invocato nella specie, avendo i giudici di merito concordemente escluso che fosse applicabile l’art. 133, comma 2, come dianzi detto.
Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art.360, n.3 e n.5, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art.133 del d.p.r. 554.1999 e dell’art.24 d.m. 145 del 2000, omessa insufficiente motivazione su un punto decisivo del giudizio, manifesta contraddittorietà della motivazione
con omessa valutazione di fatto decisivo (superamento del lasso di tempo di sei mesi tra la sospensione e l’ordine di ripresa).
La ricorrente osserva che il verbale di sospensione era del 10.11.2003 e che l’ordine di ripresa era del 7.6.2004, mentre alla data del 10.5.2004 erano già trascorsi i sei mesi previsti dalla legge.
Valgono al riguardo tutte le considerazioni critiche espresse con riferimento al precedente motivo nei § da 15 a 18, richiamate integralmente.
Inoltre, se è vero che l’ordine finale non ottemperato di ripresa dei lavori è del 7.6.2004 (sentenza impugnata, pag.11, penultimo capoverso), già in data 7.4.2004 era stata comunicata l’immediata ripresa dei lavori (pag.11, ultimo capoverso).
Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex art.360, n.4, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art.112 cod.proc.civ. e omessa pronuncia su specifiche domande da essa proposte, e cioè: incompetenza della Giunta provinciale ad adottare la risoluzione contrattuale, violazione del giusto procedimento e delle relative fasi procedimentali, mancata predisposizione dello stato di consistenza lavori, richiesta di pagamento delle lavorazioni eseguite, svincolo della polizza fideiussoria definitiva.
Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.
Le domande proposte dall’attrice erano state integralmente rigettate dalla sentenza di primo grado.
Inoltre, a ben vedere, alcuni fra gli argomenti indicati non configurano domande giudiziali ma semmai eccezioni.
In ogni caso, il ricorrente non indica di aver proposto specifici motivi di appello al riguardo, suscettibili di giustificare l’accoglimento delle predette domande o eccezioni.
Né, peraltro, tali motivi specifici risultano dal testo della sentenza impugnata o dal ricorso, sicché il rigetto dell’appello porta
inevitabilmente con sé e giustifica la conferma del rigetto delle domande ed eccezioni da parte del giudice di primo grado.
24. Il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, quanto al difetto di legittimazione passiva del Comune di Bellizzi e dell’arch. NOME COGNOME è stato dichiarato dalla sentenza impugnata (pag.8) in difetto di impugnazione sul punto e tale statuizione non è stata censurata in questa sede.
25. Per i motivi esposti occorre rigettare il ricorso, proposto sulla base di motivi inammissibili o infondati, e condannare la ricorrente al pagamento delle spese in favore della Provincia di Salerno controricorrente, liquidate come in dispositivo.
Nulla compete in punto spese al Comune di Bellizzi, evocato per mera litis denuntatio, senza proposizione di alcuna domanda nei suoi riguardi.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, occorre dar atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente Provincia di Salerno, liquidate nella somma di € 7.000,00 per compensi, € 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione