Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24974 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24974 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 14395-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 361/2022 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 11/04/2022 R.G.N. 508/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
09/07/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Fatti di causa
Oggetto
Altre ipotesi rapporto privato
R.G.N. 14395/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 09/07/2025
CC
NOME COGNOME premesso di avere lavorato dal 2002 alle dipendenze dell’Associazione RAGIONE_SOCIALE di Agrigento in virtù di un contratto a tempo indeterminato, esponeva che in data 29.8.2014 l’ Associazione le aveva comunicato di avere disposto unilateralmente la sospensione dell’attività lavorativa e che in data 15.10.2014 l’aveva collocata in mobilità per esubero di personale, senza attivare il previo esame congiunto con le organizzazioni sindacali; riferiva, altresì che durante lo svolgimento del rapporto di lavoro non le era stato mai concesso il completamento del monte ore, sebbene l’Associazione avesse proceduto a nuove assunzioni, in violazione dell’art. 2 co. 2 legge L.R. n. 25/1993; adiva, pertanto, il Tribunale di Agrigento affinché l’ente fosse condannato a completare l’orario di lavoro fino alla misura di trentasei ore settimanali, con il riconoscimento forfettario del risarcimento del danno e, previo accertamento della illegittimità del collocamento in mobilità, la ONAPLI fosse condannata al pagamento, anche a titolo risarcitorio, delle retribuzioni maturate durante i periodi sia di illegittima sospensione che di collocamento in mobilità.
L’adito Tribunale rigettava le domande.
La Corte di appello di Palermo, con la sentenza n. 361/2022, in riforma della pronuncia di primo grado condannava la RAGIONE_SOCIALE a corrispondere a NOME un importo mensile di euro 920,00, per ogni mese, a decorrere dal 25.8.2014 a quello della riammissione in servizio, oltre accessori.
I giudici di seconde cure, dato atto che sul rigetto della domanda di completamento del monte ore non vi era stata impugnazione ed escluso che, nella fattispecie, vi fosse stato un provvedimento di licenziamento (con inapplicabilità della
relativa disciplina) rilevavano che la direttiva della Regione Sicilia n. 84904/2014, in materia di salvaguardia occupazionale e di agevolazione del riassorbimento degli operatori della formazione professionale in eccedenza, e il CCNL di categoria prevedev ano l’onere di sottoporre al previo esame congiunto delle organizzazioni sindacali la lista dei lavoratori da inserire negli elenchi della mobilità orizzontale, escludendo ogni forma di sospensione unilaterale del rapporto di lavoro, per cui il provvedimento di sospensione dell’agosto del 2014 non era giustificato; secondo la Corte distrettuale, anche il provvedimento di collocamento in mobilità dell’ottobre 2014 non era stato preceduto, sia pure con le modalità ivi previste, dal previo esame con le organizzazioni sindacali, per cui era anche esso illegittimo nonostante la sottoscrizione della scheda di messa in mobilità da parte della lavoratrice; si precisava, infine, che non era necessaria alcuna messa in mora, in ordine ai provvedimenti adottati dall’Ass ociazione e che il danno andava quantificato in euro 920,00 mensili (retribuzione mensile netta) per i periodi di illegittima sospensione/messa in mobilità.
Avverso la sentenza di secondo grado la RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi cui resisteva con controricorso NOME COGNOME
La controricorrente depositava memoria.
Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
Ragioni della decisione
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, si denuncia la violazione dell’art. 112 cpc per omessa pronuncia sulla eccezione di decadenza dell’azione proposta dalla
originaria ricorrente, per essere stata impugnata la mobilità oltre i termini di cui agli artt. 6 e 7 legge n. 604/1966.
Il motivo è infondato.
Il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato ex art. 112 c.p.c., ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. n. 28308/2017; Cass. n. 7653/2012).
Orbene, in primo luogo deve rilevarsi che, sulla inapplicabilità dell’istituto della decadenza, nella fattispecie in esame, vi è stato un rigetto implicito da parte dei giudici di seconde cure i quali, non ritenendo che gli atti di sospensione e di messa in mobilità costituissero provvedimenti di recesso datoriale, hanno considerato in sostanza inapplicabile la disciplina dei licenziamenti, ivi compresa quella regolante la decadenza: tecnicamente, quindi, non si verte in una ipotesi di omessa pronuncia. In secondo luogo, qualora l’eccezione di decadenza fosse da riferire alla scheda di mobilità firmata dalla lavoratrice, va, invece, osservato che la questione, posta in questi termini, è nuova e, inoltre, la Corte territoriale ha comunque sottolineato che quella scheda (peraltro non prodotta in grado di appello) non aveva alcun valore né in termini di effetti sananti né quale accettazione della sospensione degli effetti del rapporto di lavoro.
Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, si censura la violazione di norme sulla impossibilità sopravvenuta dell’esecuzione delle obbligazioni contrattuali (art. 1463 e ss. cod. civ.) o, in subordine, sull’inadempimento incolpevole di tali obbligazioni (art. 1256 cod. civ.) nonché la violazione dell’art. 1218 cod. civ. (anche in relazione all’art. 1176 cod. civ.) e la violazione degli artt. 1175 e 1375 cod. civ. in materia di buona fede nei rapporti obbligatori e nella esecuzione dei contratti. Si obietta che la Corte territoriale, nel ritenere illegittimi i provvedimenti dell’agosto e dell’ottobre 2014, aveva ignorato lo stato di impossibilità dell’ONAPLI di adempiere alle obbligazioni nascenti a suo carico dai contratti di lavoro in corso a seguito del mancato finanziamento dei corsi di formazione professionale da tenere dopo il 2014; si deduce, inoltre, che con la sottoscrizione della scheda di mobilità i lavoratori erano consapevoli delle problematiche radicali che affliggevano l’Ente e che anche il meccanismo sanzionatorio applicato era privo di qualsiasi valutazione sulla situazione della ONAPLI e sulle circostanze ad essa non imputabili che l’avevano portata ad assumere i provvedimenti impugnati.
Il motivo non è meritevole di accoglimento.
Da un lato, infatti, si tratta di questioni non affrontate dalla Corte territoriale e in relazione alle quali non è stato dedotto il ‘dove’, il ‘come’ ed il ‘quando’ esse siano state sottoposte ai giudici del merito (Cass. n. 3473/2025) negli stessi sensi in cui sono state qui prospettate.
Dall’altro, va sottolineato che le censure non colgono nel segno della ratio decidendi che ha ravvisato, nella fattispecie, la violazione dell’obbligo procedimentale previsto dalla direttiva n. 84904 del 7.11.2014.
Le difficoltà economiche che affliggevano l’Ente comunque non lo esoneravano, come hanno sottolineato i giudici di seconde cure, dal previo esame delle organizzazioni sindacali sulla formazione degli elenchi dei lavoratori da inserire nelle liste di mobilità.
Quello sottoposto con la censura attiene, quindi, ad un profilo che si pone su di un piano successivo, riguardante il merito della scelta, rispetto al vizio procedurale, di natura formale, rilevato dalla Corte di appello.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 luglio 2025
La Presidente
Dott.ssa NOME COGNOME