Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 153 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 153 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 06/01/2025
La Corte di Appello di Bologna ha rigettato il gravame proposto averso la sentenza del Tribunale di Piacenza, che aveva rigettato le domande proposte da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (medici che avevano prestato la loro attività per il servizio di continuità assistenziale presso l’Azienda USL di Piacenza), volte ad ottenere l’accertamento del loro diritto all’aumento di retribuzione per tutte le ore di svolgimento del servizio di continuità a ssistenziale per l’attività ambulatoriale prestata.
La Corte territoriale ha condiviso la statuizione del primo giudice, secondo cui l’art. 67 dell’ACN del 23.3.2005, la tipologia di interventi richiesta al medico di ‘guardia medica’ è onnicomprensiva di tutti gli interventi ritenuti appropriati, riconosciuti tali sulla base di apposite linee guida nazionali o regionali in relazione al quadro clinico prospettato dall’utente o dalla centrale operativa; ha inoltre evidenziato che il medico può eseguire prestazioni ambulatoriali definite nell’ambito deg li Accordi Regionali.
Ha osservato che nel caso previsto dall’Accordo regionale per la Regione Emilia Romagna del 2006, in cui le Aziende USL attivino un ambulatorio di Medicina generale, per una dimensione oraria, preferibilmente diurna, ritenuta congrua alle esigenze locali e che permetta ai cittadini di ricevere le prestazioni proprie della medicina
generale, e pertanto, non necessariamente domiciliari, si avrà una prestazione aggiuntiva del medico, da retribuire con la maggiore indennità, atteso che l’Ambulatorio di Medicina Generale è certamente un quid pluris rispetto alle normali prestazioni del medico di guardia medica ed ha funzioni strutturali di presidio territoriale permanente, funzionale a facilitare l’accesso territoriale e ridurre gli accessi impropri in Pronto Soccorso.
Ha precisato che tale servizio ambulatoriale deve essere necessariamente istituito con un modello organizzativo deciso a monte, ed in tal caso il medico addetto a tale attività per la quale a norma di contratto è previsto un compenso orario pari ad € 22,72 fino a marzo 2015 e ad € 27,22 da aprile 2015, percepisce un compenso orario pari ad € 32,00.
Ha ritenuto indimostrata la circostanza che gli ambulatori (o meglio le sedi di servizio assegnate dall’Azienda) fossero completamente strutturati e dunque totalmente assimilabili ad ambulatori di Medicina Generale, e dunque che nelle 48 ore di operatività del turno della guardia medica i pazienti dei vari territori della provincia di Piacenza fossero liberi di accedere agli ambulatori del presidio di guardia medica ed ivi ricevere prestazioni ambulatoriali e visite.
Ha escluso che la certificazione prodotta dai medici appellanti, relativa allo svolgimento di prestazioni ambulatoriali, comprovasse che erano obbligati a rendere tali prestazioni, atteso che i medici avrebbero potuto agire nell’ambito della loro d iscrezionalità in particolari situazioni di necessità ove le condizioni strutturali lo consentivano.
Averso tale sentenza NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L’Azienda USL di Piacenza, oltre a resistere con controricorso, ha proposto ricorso incidentale condizionato.
DIRITTO
Con il primo motivo il ricorso principale denuncia nullità della sentenza e/o del procedimento ex art. 360, comma primo, n. 4 cod. proc. civ., error in procedendo , per lesione del principio di oralità artt. 420 e 429 cod. proc. civ., art. 24 e 111, comma 2, Cost. per non essere stata celebrata in grado di appello udienza alcuna ex art. 83, commi 6 e 7, del d.l. n. 18/2020 e art. 36, comma 1, d.l. n. 23/2020.
Con il secondo motivo il ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. ci., dell’art. 67 dell’ACN 23.3.2005 e dell’Accordo regionale, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che nell’ambito dell’attività di continuità assistenziale, la tipologia di interventi richiesti al medico di ‘guardia medica’ sia onnicomprensiva, e che il sanitario sia pertanto tenuto a svolgere anche l’attività ambulatoriale, senza corresponsione di compenso aggiuntivo.
Con il terzo motivo il ricorso principale denuncia nullità della sentenza e/o del procedimento ex art. 360, comma primo, n. 4 cod. proc. civ. e violazione degli artt. 112, 115, 345 e 421 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che i ricorrenti non abbiano provato lo svolgimento dell’attività ambulatoriale; omesso esame d i elementi istruttori di carattere decisivo.
4 . Con l’unico motivo, il ricorso incidentale condizionato denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 legge n. 241/1990, degli artt. 16, 17, 18 e 19 RD n. 2440/1923, dell’art. 50 legge n. 833/1978, dei principi di attività provvedimentale espressa, di copertura di spesa, di imparzialità e buon andamento.
Sostiene che l’Ambulatorio di medicina generale era stato istituito presso il P.S. dell’ospedale di Piacenza, con il riconoscimento dell’incremento retributivo ai medici che avevano chiesto di essere incardinati nel suddetto nuovo servizio attivato, mentre non era stato
istituito alcun ambulatorio di medicina generale presso le sedi di continuità assistenziale.
L’eccezione di tardività del ricorso è fondata .
I ricorrenti, medici di continuità assistenziale, sostengono l’applicabilità della sospensione feriale, in quanto la presente controversia ha ad oggetto il rapporto di lavoro in convenzione dai medesimi instaurato con l’Amministrazione .
Nella memoria deducono che alle controversie in materia di pubblico impiego, devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, non si applica l’eccezione alla sospensione dei termini nel periodo feriale, prevista solo per le controversie di lavoro di competenza del giudice ordinario; evidenziano che solo per queste ultime controversie i termini processuali, compreso quello per proporre appello, rimangono sospesi nel periodo dall’1 al 31 agosto di ciascun anno.
L’assunto non è condivisibile.
Il rapporto intercorrente tra le AA.SS.LL. e il medico c.d. a rapporto convenzionale, anche a seguito dell’entrata in vigore della legge istitutiva del S.S.N., ha natura libero professionale, per cui, come è stato più volte affermato, ai sensi dell’art. 409, n. 3, c.p.c., la cognizione sulle relative controversie rientra nella giurisdizione del giudice ordinario.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo chiarito che i rapporti tra medici convenzionati esterni e le unità sanitarie locali, disciplinati dall’art. 48 della legge n. 833/1978 e dagli accordi collettivi nazionali stipulati in attuazione di tale norma, pur se costituiti in vista dello scopo di soddisfare le finalità istituzionali del servizio sanitario nazionale, dirette a tutelare la salute pubblica, corrispondono a rapporti libero-professionali parasubordinati che si svolgono di norma su un piano di parità, non esercitando l’ente pubblico nei confronti del medico convenzionato alcun potere autoritativo, all’infuori di quello di sorveglianza, né potendo incidere unilateralmente, limitandole o degradandole ad interessi legittimi, sulle posizioni di diritto soggettivo nascenti, per il professionista,
dal rapporto di lavoro autonomo; ne consegue che costituito il detto rapporto di lavoro, le controversie che hanno ad oggetto i diritti dei quali il medico lamenti la lesione da parte della ASL, appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario (Cass. S.U. n. 20344/2005).
La causa è stata trattata e decisa con il rito lavoro (come si evince dalla sentenza impugnata, pronunciata dalla Corte d’appello di Bologna Sezione Lavoro, dall’iscrizione dell’appello al Registro Generale Lavoro e dalle stesse affermazioni dei ricorrenti in punto di dichiarazione di valore della controversia: v. pag. 1 del ricorso).
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, alla controversia che, pur non riguardando un rapporto compreso tra quelli indicati dall’art. 409 o dall’art. 442 c.p.c., sia stata trattata con il rito del lavoro, non è applicabile il regime della sospensione dei termini di impugnazione nel periodo feriale, giacché il rito adottato dal giudice assume una funzione enunciativa della natura della controversia, indipendentemente dall’esattezza della relativa valutazione, e perciò detto rito costituisce per le parti criterio di riferimento anche ai fini del computo dei termini per la proposizione dell’impugnazione, secondo il regime previsto dall’art. 3 della legge n. 742 del 1969 (Cass. n. 24649/2007; Cass. n. 21442/2019).
Questa Corte ha inoltre affermato che l ‘identificazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale deve essere compiuta in base al principio dell’apparenza, vale a dire, con riferimento esclusivo alla qualificazione dell’azione effettuata dal giudice nello stes so provvedimento, indipendentemente dall’esattezza di essa nonché da quella operata dalla parte.
Il cd. principio dell’apparenza si applica anche agli effetti del regime della sospensione feriale, indipendentemente dalla correttezza della qualificazione del giudice della sentenza da impugnare, dovendo l’impugnazione di un provvedimento giurisdizionale e ssere proposta nelle forme ed entro i termini previsti dalla legge rispetto alla domanda così
come qualificata dal giudice, le cui determinazioni sul punto assumono, indipendentemente dall’esattezza della relativa valutazione, funzione enunciativa della natura della vertenza, così da assicurare il massimo grado di certezza al regime dei termini di impugnazione (v. Cass. n. 24833/2017 e la giurisprudenza ivi richiamata).
Inoltre questa Corte ha da tempo negato la fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge n. 742 del 1969 (che esclude le controversie di lavoro e quelle in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie dalla sospensione dei termini durante il periodo feriale) per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.; ha in particolare escluso che la suddetta norma sia idonea a ledere i diritti di difesa dei pubblici dipendenti, e ciò tanto più in riferimento al termine (ora semestrale) cd. lungo di cui all’art. 327 cod. proc. civ., che consente, nella prospettiva di una ordinata programmazione della propria attività, un adeguato lasso di tempo per l’impugnazione del difensore (Cass. n. 21003/2015, la quale ha richiamato la sentenza n. 130 del 1974 e le ordinanze n. 61 del 1985 e n. 61 del 1992; Cass. n. 3192/2009 della Corte costituzionale; Cass. n. 21363/2010).
Tali principi sono trovano applicazione anche con riferimento al termine breve previsto dall’art. 325 cod. proc. civ., atteso che il principio dell’apparenza in dipendenza del rito è stato previsto proprio a tutela delle posizioni delle parti.
È inoltre pacifico che nel presente giudizio non trova applicazione la sospensione straordinaria covid, che ai sensi dell’art. 36 d.l. n. 23/2020 era terminata in data 11 maggio 2020.
Nel caso di specie la sentenza impugnata è stata notificata in data 14.7.2020; ai sensi dell’art. 325 cod. proc. civ. il termine breve per l’impugnazione è di sessanta giorni.
Il ricorso per cassazione è datato 8.10.2020 ed il ricorso per cassazione è stato posto in notifica e notificato in data 13.10.2020.
10 . L’impugnativa è dunque intervenuta dopo che il termine era spirato.
Il ricorso principale va pertanto dichiarato inammissibile, assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
13 . Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per il ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato, e condanna il ricorrente principale a rifondere le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 6000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per il ricorrente principale, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro