Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13843 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 13843 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 36128 -2019 proposto da:
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE – RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME;
– controricorrenti – avverso la sentenza n. 391/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 20/05/2019 R.G.N. 2225/2016;
Oggetto
Minimale contributivo
R.G.N. 36128/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 24/04/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/04/2024 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
Con sentenza n.391/19, la Corte d’appello di Lecce confermava la pronuncia di primo grado che aveva respinto, in parte, l’opposizione proposta dalla società RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE avverso un avviso di addebito e precedente verbale unico di accertamento, emessi dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE per mancato pagamento del minimale contributivo in riferimento ad alcuni lavoratori.
Per quanto qui di interesse, la Corte d’appello rilevava che: a) era stata acquisita la prova del pagamento di retribuzioni inferiori a quelle previste dal contratto collettivo di lavoro, in quanto la società non aveva mai specificamente contestato il relativo rilievo, formulato nel verbale di accertamento, e nemmeno le risultanze della consulenza contabile svolta d’ufficio, che quantificava le somme evase; b) i contributi andavano pagati anche nel caso di sospensione dell’attività lavorativa concordata tra datore e lavoratore, in base alla giurisprudenza di legittimità; la sentenza cita la pronuncia di questa Corte n.4690/2019.
Avverso la sentenza, la società RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE ricorre per tre motivi.
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in proprio e quale procuratore speciale della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, resiste con controricorso.
All’adunanza camerale il collegio riservava il termine di 60 giorni per il deposito del presente provvedimento.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, la società RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE deduce nullità della sentenza per violazione degli artt.132 e 118 disp.att. c.p.c. per non avere la Corte motivato le ragioni del rigetto del gravame, ed essendosi limitata a richiamare, per relationem, Cass. n.4690/19.
Con il secondo motivo di ricorso, la società RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE deduce violazione e falsa applicazione degli artt.414 e 416 c.p.c., in combinato disposto con l’art.2697 c.c., per avere la Corte invertito l’onere probatorio, non considerando che spettava all’RAGIONE_SOCIALE dimostrare i fatti costitutivi della propria pretesa. Con il terzo motivo di ricorso, la società RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE deduce violazione e falsa applicazione dell’art.1 d.l. n.338/89 conv., con modif., in l. n.389/89, dell’art.12 l. n.153/69, nonché degli artt.2, co.25 l. n.549/95 e 29, co.1 d.l. n.244/95, per non avere la Corte ritenuto che la sospensione dell’attività lavorativa concordata tra datore e lavoratore, sebbene non comunicata all’ente previdenziale, escludesse l’obbligo di pagamento della contribuzione.
Il primo motivo è infondato.
Per costante giurisprudenza di questa Corte la nullità della sentenza per violazione dell’art.132 c.p.c. sussiste quando il vizio investe l’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, mentre resta
esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. S.U. n.8053/14, Cass.n.23940/17).
La sentenza impugnata non incorre in alcuna di tali anomalie, poiché lascia chiaramente intendere il percorso logico-giuridico posto a base della decisione. In particolare, la Corte ha ritenuta acquisita la prova del pagamento di retribuzioni inferiori a quelle previste dal contratto collettivo di lavoro, in quanto la società non aveva mai specificamente contestato il relativo rilievo formulato nel verbale di accertamento e nemmeno le risultanze della consulenza contabile svolta d’ufficio, che quantificava le somme evase. Ha poi escluso la possibilità di sospendere l’obbligo contributivo in caso di sospensione concordata dell’attività lavorativa. In proposito, va rilevato che l’adesione al precedente di questa Corte n.4690/19 non vale a rendere nulla la motivazione, poiché redatta solo per relationem . La Corte ha, infatti, mostrato di far proprie le argomentazioni rese nel citato precedente di legittimità, che dunque costituiscono autonoma ragione decisoria della pronuncia, peraltro calate entro la fattispecie concreta, di cui la Corte dà conto esaminando il contenuto del motivo d’appello.
Il secondo motivo è parimenti infondato.
Non sussiste alcuna violazione dell’art.2697 c.c. commessa dalla Corte. La sentenza, infatti, non afferma che l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE fosse esonerato dal dimostrare il pagamento di retribuzioni per importi inferiori a quelle previste dal CCNL. La Corte ha bensì ritenuto che l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE avesse fornito la relativa prova. In particolare, la prova è stata ritenuta acquisita dalla sentenza impugnata attraverso la
mancata contestazione della società dei rilievi mossi dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE nel verbale unico di accertamento in cui si contestava il pagamento di retribuzioni inferiori a quelle previste dal CCNL, in uno alla mancata contestazione delle risultanze di c.t.u. in cui si dava atto dell’evasione contributiva fondata anche sul pagamento di retribuzioni inferiori ai minimi.
Trattasi di una valutazione in punto di prova non contestabile alla luce di una pretesa violazione dell’art.2697 c.c.
Quanto poi al fatto che, in realtà, la mancata contestazione non si ebbe mai da parte della società, trattasi di rilievo inammissibile per genericità. In modo non autosufficiente, il motivo non si incarica di trascrivere o riportare in modo specifico il contenuto degli atti difensivi di primo grado, da cui doveva evincersi l’avanzata contestazione.
Infine, infondato è anche il terzo motivo.
La sospensione dell’attività lavorativa frutto di un accordo tra datore e lavoratore, non rileva e non si riverbera sul rapporto previdenziale, in seno al quale la contribuzione continua ad essere dovuta nonostante tale accordo. Nel settore edile, cui appartiene la ricorrente, i casi di esclusione dal pagamento dei contributi sono legati ad ipotesi tassativamente previste di sospensione dell’attività lavorativa, individuate dall’art.29 d.l. n.244/95 e dal relativo d.m. 16.12.1996 (art.1). Al di fuori di tali casi, e quindi anche nel caso di sospensione concordata, l’obbligo contributivo continua a permanere intatto (Cass.4690/19, Cass.22178/21, Cass.15552/22).
Tale orientamento, cui va data continuità in questa sede, è stato correttamente applicato dalla sentenza impugnata, che dunque merita conferma.
Conclusivamente, il ricorso va respinto con condanna alle spese di lite secondo soccombenza.
P.Q.M.
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio di cassazione, liquidate in €4000 per compensi, €200 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, atteso il rigetto del ricorso, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.